< Il Saggiatore (Favaro)
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Capitolo XLIX
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"Dum Galilæus... cum non abiiciantur."

Passi ora V. S. Illustrissima alla terza proposizione, la quale legga e rilegga tutta con attenzione: dico con attenzione, acciò tanto più manifestamente si conosca poi, quanto artificiosamente vada pure il Sarsi continuando suo stile di voler, coll’alterare levare ed aggiungere e più col divertire il discorso e meschiarlo con cose aliene dal proposito, offuscar la mente del lettore, sì che in ultimo, tra le cose da sé confusamente apprese, gli possa restar qualche opinione che il signor Mario non abbia così stabilita la sua dottrina, che altri non v’abbia potuto trovar che opporre.

Essendo stata opinione di molti ch’una fiammella ardente apparisca assai maggiore in certa distanza perch’ella accenda, ed in conseguenza renda egualmente splendida, buona parte dell’aria sua circonvicina, onde poi da lontano e l’aria accesa e la vera fiammella appariscano un lume solo; il signor Mario, confutando questo, disse che l’aria non s’accendeva né s’illuminava, e che l’irraggiamento, per cui si faceva l’ingrandimento, non era intorno alla fiammella, ma nella superficie dell’occhio nostro. Il Sarsi, volendo trovar che opporre a cotal vera dottrina, in vece di render grazie al signor Mario d’avergli insegnato quello che di sicuro gli era sino allora stato ignoto, si fa innanzi, e si pone a voler provare come contro al detto del signor Mario, l’aria s’illumina: nella quale impresa egli, per mio parere, erra in molte maniere.

E prima, dove il signor Mario, redarguendo il detto di quei filosofi, disse che l’aria non s’accendeva né s’illuminava, il Sarsi mette sotto silenzio quella parte dell’accendersi, e solo tratta dell’illuminarsi: onde il signor Mario con ragion può dire al Sarsi d’aver parlato d’una cosa, ed esso aver preso ad impugnarne un’altra; aver parlato, dico, dell’aria circonvicina alla fiammella e dell’illuminazione che le può venire dal suo accendersi, e quello aver parlato dell’illuminazione che senza incendio viene sopra l’aria vaporosa, posta in qualsivoglia distanza dall’oggetto illuminante. Inoltre, egli medesimo sul primo ingresso dice che i corpi diafani non s’illuminano, tra i quali mette nel primo luogo l’aria, e poi soggiunge che, mescolata con vapori grossi e potenti a reflettere il lume, ella ben s’illumina. Adunque, signor Sarsi, sono i vapori grossi, e non l’aria, quelli che s’illuminano. Voi mi fate sovvenir di quello che diceva che il grano gli faceva venir capogiroli e stornimenti di testa, quando però v’era mescolato del loglio. Ma è il loglio, in buon’ora, e non il grano, quello ch’offende. Voi volete insegnarci che nell’aria vaporosa s’illumina l’aurora, che mill’altri ed il signor Mario stesso l’ha in sei luoghi scritto innanzi a voi. Ma che più? voi medesimo in questo medesimo luogo dite che io l’ammetto insino intorno alla Luna ed a Giove; adunque tutte le prove ed esperienze di aurora, d’aloni, di parelii e di Luna ascosta dopo qualche parete sono superflue, non avendo noi già mai dubitato, non che negato, che i vapori diffusi per aria, le nuvole e la caligine s’illuminano. Ma che volete voi, signor Sarsi, far poi di cotale illuminazione? dir forse (come in effetto dite) che per essa appariscano i primarii oggetti illuminanti maggiori? e come non v’accorgete voi che, quando ciò fusse vero, bisognerebbe che il Sole e la Luna si mostrassero grandi quanto tutta l’aurora e gli aloni interi, imperò che cotanta è l’aria vaporosa che del lume loro è fatta partecipe? Voi dunque, signor Sarsi, perché avete trovato scritto (dico così, perché voi stesso citate i filosofi e gli autori d’ottica per confermare ed autorizare cotali proposizioni) che la region vaporosa s’illumina, ed oltre a ciò che il Sole e la Luna vicini all’orizonte appariscono, mediante tal regione vaporosa, maggiori che inalzati verso il mezo cielo, vi siete persuaso che da cotale illuminazione dependa il loro apparente ingrandimento. È vera l’una e l’altra proposizione, cioè che l’aria vaporosa s’illumina, e che il Sole e la Luna presso all’orizonte, mercé della region vaporosa, appariscono maggiori; ma è falso il connesso delle due proposizioni, cioè che la maggioranza dependa dall’esser tal regione illuminata, e voi vi sete molto ingannato, e toglietevi da così erronea opinione; imperocché non pel lume de’ vapori, ma per la figura sferica dell’esterna loro superficie, e per la lontananza maggiore di quella dall’occhio nostro quando gli oggetti son più verso l’orizonte, appariscono essi oggetti maggiori della lor commune apparente grandezza, e non i luminosi solamente, ma qualunque altro posto fuor di tal regione. Traponete tra l’occhio vostro e qualsivoglia oggetto una lente convessa cristallina in varie lontananze: vedrete che quando essa lente sarà vicino all’occhio, poco si accrescerà la specie dell’oggetto veduto; ma discostandola, vedrete successivamente andar quella ingrandendosi. E perché la region vaporosa termina in una superficie sferica, non molto elevata sopra il convesso della Terra, le linee rette che tirate dall’occhio nostro arrivano alla detta superficie, sono disuguali, e minima di tutte la perpendicolare verso il vertice, e dell’altre di mano in mano maggior sono le più inclinate verso l’orizonte che verso il zenit. Quindi anco (e sia detto per transito) si può facilmente raccorre la causa dell’apparente figura ovata del Sole e della Luna presso all’orizonte, considerando la gran lontananza dell’occhio nostro dal centro della Terra, ch’è lo stesso che quello della sfera vaporosa; della quale apparenza, come credo che sappiate, ne sono stati scritti, come di problema molto astruso, interi trattati, ancor che tutto il misterio non ricerchi maggior profondità di dottrina che l’intender per qual ragione un cerchio veduto in maestà ci paia rotondo, ma guardato in iscorcio ci apparisca ovato.

Ma ritornando alla materia nostra, io non so con che proposito dica il signor Sarsi, esser cosa ridicolosa il dire che l’alba e i crepuscoli ed altri simili splendori si generino nell’umore sparso sopra l’occhio, e molto più ridicoloso se alcuno dicesse che guardando noi verso il vertice, avessimo gli occhi più secchi che guardando l’orizonte, e che però la Luna e ’l Sole ci paresser minori in quel luogo che in questo: non so, dico, a che fine sieno introdotte queste sciocchezze, non si trovando chi già mai l’abbia dette. Ma mentre il Sarsi ci figura per troppo semplici, veggiamo se forse cotal nota più ad esso che a noi s’accommodi. Qui si tratta di quello irraggiamento avventizio per lo quale le stelle ed altri lumi inghirlandandosi appariscono assai maggiori che se fussero visti i loro piccoli corpicelli spogliati di tali raggi, tra i quali, perché sono poco men lucidi della prima e vera fiammella, resta esso corpicello indistinto, in modo che ed esso e l’irraggiamento si mostra come un sol oggetto grande e risplendente. A parte di questo irraggiamento ed ingrandimento vuole il Sarsi mettere il lume che per refrazzione si produce nell’aria vaporosa, e vuole che per questo il Sole e la Luna si mostrino maggiori verso l’orizonte che elevati in alto, e, quel ch’è peggio, vuole che l’istesso abbiano creduto molti altri filosofi: il che è falso, né ànno sì altamente errato. E che questo sia grandissimo errore, lo doveva molto speditamente mostrare al Sarsi la grandissima distinzione che si vede tra le luci del Sole e della Luna e l’altro splendore circunfuso, dentro al quale incomparabilmente più lucido e meglio determinato questo e quel luminare si discerne: il che non accade dell’irraggiamento delle stelle, tra ’l quale il corpicello della stella resta da pari splendore ingombrato ed indistinto.

Ma sento il Sarsi che risponde e dice, che quel Sole e Luna grandi non sono i corpi reali nudi e schietti, ma uno aggregato e composto del piccol corpo reale e dell’irraggiamento che l’inghirlanda e racchiude in mezo con luce non minore della primaria, onde ne risulta il gran disco apparente tutto egualmente splendido. Ma se questo è, signor Sarsi, perché non si mostra la Luna così grande nel mezo del cielo ancora? vi manca forse l’aria vaporosa atta ad illuminarsi? Io non so quello che voi foste per rispondere, né me lo potrei immaginare, perché non si potendo contra a un vero venir con altro che con fallacie e chimere, le quali, come voi sapete, sono infinite, io non potrei indovinar la vostra eletta. Ma per troncarle tutte in una volta e cavar voi ed altri, se vi fussero, d’errore, basti, a farvi toccar con mano che la gran Luna che voi vedete nell’orizonte è la schietta e nuda, e non aggrandita per altra luce avventizia e circunfusa, basti, dico, il vedere le sue macchie sparse per tutto il suo disco sino all’estrema circonferenza nella guisa a capello che si mostra nel mezo del cielo; ché se fusse come avete creduto voi, le macchie nella Luna bassa e grande si doverebbon veder raccolte tutte nella parte di mezo, lasciando la ghirlanda intorno lucida e senza macchie. Adunque, non per isplendore aggiunto, ma per uno ingrandimento di tutta la specie nel refrangersi nella remota superficie vaporosa, si mostrano il Sole e la Luna maggiori bassi che alti.

Or vedete, signor Sarsi, quanto è facil cosa l’atterrare il falso e sotenere il vero. Questa pur troppo grand’evidenza della falsità di molte proposizioni che si leggono nel vostro libro, non mi lascia interamente credere che voi non l’abbiate compresa; e vo pensando che possa essere che, conoscendovi voi internamente dalla realtà delle ragioni convinto, vi riduciate per ultimo partito a far prova se l’avversario, col creder vere quelle cose che voi stesso conoscete false, si ritirasse e cedesse; e che perciò voi arditamente le portiate avanti, imitando quel giocatore che, vedendosi d’aver a carte scoperte perduto l’invito, tenta con altro soprinvito maggiore di far credere all’avversario gran punto quello che piccolissimo vede egli stesso, onde, cacciato dal timore, ceda e se ne vada. E perché io veggo che voi vi siete alquanto intrigato tra questi lumi primarii, refratti e reflessi ne’ vapori o nell’occhio, comportate voi, come scolare, ch’io, come professore e maestro vecchio, vi sviluppi ancora un poco meglio.

Per tanto sappiate che dal Sole, dalla Luna e dalle stelle, corpi tutti risplendenti e costituiti fuori e molto lontani dalla superficie della region vaporosa, esce splendore che perpetuamente illumina la metà di tal regione; e di questo emisferio illuminato l’estremità occidentale ci arreca la mattina l’aurora, e la parte opposta ci lascia la sera il crepuscolo: ma niuna di queste illuminazioni accresce o scema o in modo alcuno altera l’apparente grandezza del Sole, Luna e stelle, che perpetuamente si ritrovano nel centro o vogliamo dir nel polo di questo emisferio vaporoso da loro illuminato; del quale le parti direttamente traposte tra l’occhio nostro e ’l Sole o la Luna ci si mostrano più splendide dell’altre che di grado in grado da queste parti di mezo più si discostano, lo splendor delle quali va di mano in mano languendo; e questo è quel lume che dà segno dell’appressamento della Luna allo scoprirsi, mentre dopo qualche tetto o parete ci si nasconde. Una simile illuminazione si fanno intorno intorno anco le fiammelle poste dentro alla sfera vaporosa; ma questa è tanto debile e languida, che se di notte asconderemo un lume dopo qualche parete e poi ci anderemo movendo per iscoprirlo, difficilmente scorgeremo splendore alcuno circunfuso o vedremo altra luce sin che si scuopra la fiamma principale; e questo debolissimo lume nulla assolutamente accresce la visibile specie di essa fiammella. Ci è un’altra illuminazione, fatta per refrazzione nella superficie umida dell’occhio, per la quale l’oggetto reale ci si mostra circondato da un cerchio luminoso, ma inferiore assai di splendore alla primaria luce; e questo si mostra allargarsi per maggiore o minore spazio, non solamente secondo la maggiore o minor copia d’umore, ma secondo la cattiva o buona disposizion dell’occhio: il che ho io in me stesso osservato, che per certa affezzione cominciai a vedere intorno alla fiamma della candela uno alone luminoso e di diametro di più d’un braccio, e tale che mi celava tutti gli oggetti posti di là da esso; scemando poi l’indisposizione, scemava la grandezza e la densità di questo alone, ma però me ne resta ancora molto più di quello che veggono gli occhi perfetti: e questo alone non s’asconde per l’interposizion della mano o d’altro corpo opaco tra la candela e l’occhio, ma resta sempre tra la mano e l’occhio, sin che non si occulta il lume stesso della candela. Per questo lume parimente non s’ingrandisce la specie della fiammella, del cui splendore egli è assai men chiaro. Ci è un terzo splendore vivacissimo e chiaro quasi al par dell’istesso lume principale, il qual si produce per reflessione de’ raggi primarii fatta nell’umidità de gli orli ed estremità delle palpebre, la qual reflessione si distende sopra ’l convesso della pupilla: della qual produzzione abbiamo argomento sicuro dal mutar noi la positura della testa; imperò che secondo che noi la inclineremo, alzeremo, o vero terremo dirittamente opposta all’oggetto luminoso, lo vederemo irraggiato nella parte superiore solamente, o nell’inferiore solamente, o in ambedue; ma dalla destra o dalla sinistra già mai non vederemo comparirgli raggi, perché le reflessioni fatte verso gli angoli dell’occhio non possono arrivar sopra la pupilla, sotto l’orizonte della quale, mediante la piegatura delle palpebre su la sfera dell’occhio, esse parti angolari si ritrovano; e se altri, calcando colle dita sopra le palpebre, allargherà l’occhio e discosterà gli orli di quelle dalla pupilla, non vedrà raggi né sopra né sotto, avvenga che le reflessioni fattein essi orli non vanno sopra la pupilla. Questo solo è quello irraggiamento per lo quale i piccoli lumi ci appariscono grandi e raggianti, e nel quale la real fiammella resta ingombrata ed indistinta. L’altre illuminazioni non ànno, signor Sarsi, che far nulla, nulla pænitus, nell’ingrandimento, perché sono tanto inferiori di luce al lume primario, che ben sarebbe cieco affatto chi non vedesse il termine confine e distinzione tra l’uno e l’altro; oltre che (come di sopra ho detto) il disco del Sole e quel della Luna, quando per tale illuminazione s’ingrandissero, dovrebbono mostrarsi grandi quanto gl’immensi cerchi delle loro aurore. Però quando voi dite che non negate, quella corona raggiante esser affezzion dell’occhio, ma che non perciò ho io ancora provato che qualche parte non dependa dall’aria circunfusa illuminata, toglietevi dal troppo miseramente mendicar sussidii così scarsi. Che volete che faccia quel debolissimo lume mescolato con quei fulgentissimi raggi reflessi dalle palpebre? aggiunge quel che farebbe il lume d’una torcia a quel del Sole meridiano. Di questo lume sparso per l’aria vaporosa io ve ne voglio conceder non solamente quella piccola parte che voi domandate, ma quanto abbraccia tutta l’aurora e ’l crepuscolo e tutto l’emisferio vaporoso; e di questo voglio che il corpo luminoso né per telescopio né per altro mezo possa già mai essere spogliato; e voglio ancora, per vostra compitissima soddisfazzione, ch’ei venga dal telescopio ingrandito come tutti gli altri oggetti, sì che non pure adegui tutta l’aurora, ma mille volte maggiore spazio, se mille volte tanto si potesse comprendere coll’occhiale; ma niuna di queste cose solleva punto né voi né ’l vostro Maestro, che avreste bisogno, per mantenimento della vostra principal conclusione (ch’è che le stelle fisse, per esser lontanissime, non ricevono accrescimento veruno dal telescopio), avreste bisogno, dico, che la stella ed il suo irraggiamento fusse una cosa medesima, o almeno che l’irraggiamento fusse realmente intorno alla stella; ma né quello né questo è vero, ma bene è egli nell’occhio, e le stelle ricevono accrescimento tanto quanto ogn’altro oggetto veduto col medesimo strumento, come puntualissimamente scrisse e dimostrò il signor Mario.

Questi altri vostri diverticoli, d’arie vaporose illuminate e di Soli e Lune alte e basse, son, come si dice, pannicelli caldi, e un voler fuggir la scuola e cercar di deviare il lettore dal primo proposito. E fra l’altre vostre molte diversioni, questa che fate in mostrar con assai lungo discorso come per l’interposizion del dito non s’impedisca la vista della fiammella, e quel che dite del filo sottile e del corpo interposto minor della pupilla, son tutte cose vere, ma, per mio avviso, nulla attenenti al proposito che si tratta: il che veggo che internamente avete conosciuto voi medesimo ancora, atteso che, quando era il tempo dell’applicazione di queste cose alla materia e di chiuder la conclusione, voi fate punto, e lasciandoci sospesi passate ad altro proposito, e cercate, pur per via di discorso, provar cosa di cui cento esperienze chiarissime sono in contrario; e ben che voi veggiate, guardando col telescopio, la stella di Saturno terminatissima e di figura diversissima dall’altre, il disco di Giove e quel di Marte, e massime quando è vicino a Terra, perfettamente rotondi e terminati, Venere a suoi tempi corniculata ed esattissimamente delineata, i globetti delle stelle fisse, e massime delle maggiori, molto ben distinti, e finalmente mille fiammelle di candele, poste in gran distanza, così ben dintornate come da vicino, dove, senza il telescopio, l’occhio libero niuna di cotali figure distingue, ma tutte le vede ingombrate da raggi stranieri e tutte sotto una stessa figura radiante, con tutto ciò pur volete che ’l telescopio non le mostri senza raggi, persuaso da certi vostri discorsi, de i quali io non sarei in obligo di scoprir le fallacie, avendo per me l’esperienza in contrario; tuttavia, per vostra utilità, le accennerò così brevemente.

E per venir con ogni maggior chiarezza al mio intento, io vi domando, signor Sarsi, onde avvenga che Venere si circonda sì fattamente di questi raggi ascitizii e stranieri, che tra essi perde in modo la sua real figura, ch’essendo stata dalla creazion del mondo in qua mille e mille volte cornicolata, mai da vivente alcuno non è stata osservata né veduta tale, ma sempre è apparsa d’una stessa figura, se non dapoi ch’io primieramente col telescopio scopersi le sue mutazioni? il che non accade della Luna, la quale coll’occhio libero mostra le sue diversità di figure, senza notabile alterazione che dependa dall’irraggiamento avventizio. Non rispondete, ciò accadere mediante la gran lontananza di Venere e la vicinanza della Luna; perché io vi dirò che quello che accade a Venere, accade ancora alle fiammelle delle candele, le quali, in distanza di cento braccia solamente, confondono la lor figura tra i raggi e la perdono non men di Venere. Se volete risponder bene, bisogna che diciate, ciò derivare dalla piccolezza del corpo di Venere in relazione all’apparente grandezza di quel della Luna, e che vi figuriate, la lunghezza di quei raggi che si producono nell’occhio esser, verbigrazia, per quattro diametri di Venere, che non saranno poi la decima parte del diametro della Luna: ora figuratevi la piccolissima falce di Venere, inghirlandata di una chioma che se le sparga e distenda intorno intorno in distanza di quattro suoi diametri, ed insieme la grandissima falce della Luna con una chioma non più lunga della decima parte del suo diametro; non doverà esservi difficile a intendere come la forma di Venere del tutto si perderà tra la sua capellatura, ma non già quella della Luna, la quale pochissimo s’altererà: ed accade in questo quello a punto che accaderebbe in vestire una formica di pelle d’agnello, di cui la configurazione delle piccoline membra in tutto e per tutto si perderebbe tra la lunghezza de i peli, sì che l’istessa apparenza farebbe che se fusse un bioccolo di lana; nulla dimeno l’agnello, per la sua grandezza, assai distinte mostra le membra sue sotto la pecorile spoglia. Ma dirò, di più, che ricevendo il capillizio splendido, che risiede nell’occhio, la limitazion del suo spargimento dalla costituzion dell’occhio stesso più che dalla grandezza dell’oggetto luminoso (e così veggiamo stringendo le palpebre, sì che appariscano surger dall’oggetto luminoso raggi molto lunghi, non si veggono maggiori quei che vengono dalla Luna, che quei di Venere o d’una torcia o d’una fiaccola), figuratevi una determinata grandezza d’una capellatura; nel mezo della quale se voi intenderete essere un piccolissimo corpo luminoso, perderà la sua figura, coronato di troppo lunghi crini; ma ponendovi un corpo maggiore e maggiore, finalmente potrà il simulacro reale occupar tanto nell’occhio, che poco o niente gli avanzi intorno del capillizio; e così l’immagine, verbigrazia, della Luna potrà esser che ingombri nell’occhio spazio maggiore della commune irradiazione. Stante queste cose, intendete il disco reale, per essempio, di Giove occupar sopra la nostra luce un cerchietto, il cui diametro sia la ventesima parte dello spargimento della chioma raggiante, onde in sì gran piazza resta indistinto il piccolissimo cerchietto reale: viene il telescopio, e m’aggrandisce la specie di Giove in diametro venti volte; ma già non ingrandisce l’irraggiamento, che non passa per li vetri: adunque io vedrò Giove non più come una piccolissima stella radiante, ma come una Luna rotonda, ben grande e terminata. E se la stella sarà assai più piccola di Giove, ma di splendore molto fiero e vivo, qual è, per essempio, il Cane, il cui diametro non è la decima parte di quel di Giove, nulla di meno la sua irradiazione è poco minor di quella di Giove, il telescopio, accrescendo la stella ma non la chioma, fa che, dove prima il piccolissimo disco tra sì ampio fulgore era impercettibile, già fatto in superficie 400 e più volte maggiore, si può distinguere ed assai ben figurare. Con tal fondamento andate discorrendo, ché potrete disbrigarvi per voi stesso da tutti gl’intoppi.

E rispondendo alle vostre instanze, quando dal signor Mario e da me è stato detto che ’l telescopio spoglia le stelle di quel coronamento risplendente, ciò è stato profferito non con intenzione d’avere a stare a sindicato di persone così puntuali come siete voi, che, non avendo altro dove attaccarvi, vi conducete sino a dannar con lunghi discorsi chi prende il termine usitatissimo d’infinito per grandissimo. Quando noi abbiamo detto che il telescopio spoglia le stelle di quello irraggiamento, abbiamo voluto dire ch’egli opera intorno a loro in modo che ci fa vedere i lor corpi terminati e figurati come se fussero nudi e senza quello ostacolo che all’occhio semplice asconde la lor figura. È egli vero, signor Sarsi, che Saturno, Giove, Venere e Marte all’occhio libero non mostrano tra di loro una minima differenza di figura, e non molto di grandezza seco medesimi in diversi tempi? e che coll’occhiale si veggono, Saturno come appare nella presente figura , e Giove e Marte in quel modo sempre, e Venere in tutte queste forme diverse? e, quel ch’è più meraviglioso, con simile diversità di grandezza? sì che cornicolata mostra il suo disco 40 volte maggiore che rotonda, e Marte 60 volte quando è perigeo che quando è apogeo, ancor che all’ occhio libero non si mostri più che 4 o 5? Bisogna che rispondiate di sì, perché queste son cose sensate ed eterne, sì che non si può sperare di poter per via di sillogismi dare ad intendere che la cosa passò altrimenti. Or, l’operare col telescopio intorno a queste stelle in modo che quell’irraggiamento, che perturbava l’occhio libero ed impediva l’esatta sensazione, la qual opera è cosa massima e d’ammirabili e grandissime consegnenze, è quello che noi abbiam voluto significare nel dire spogliar le stelle dell’irraggiamento, che son parole solamente di niun momento, di niuna conseguenza: le quali se a voi, che siete ancora scolare, danno fastidio, potrete mutarle a vostro beneplacito, come cambiaste già quello nostro accrescimento nel vostro transito dal non essere all’essere.

A quello che voi dite, parervi pur ragionevole che, sì come l’oggetto lucido, venendo per lo mezo libero, produce nell’occhio l’irraggiamento, egli debba ancor far l’istesso quando viene passando per li cristalli del telescopio; rispondo concedendovelo liberamente, e dicovi che accade a punto l’istesso de gli oggetti veduti col telescopio che de’ veduti senza: e sì come il disco di Giove, per essempio, veduto coll’occhio libero rimane per la sua piccolezza perduto nell’ampiezza del suo irraggiamento, ma non già quello della Luna, che colla sua gran piazza occupa sopra la nostra pupilla spazio maggiore del cerchio raggiante, per lo che ella si vede rasa, e non crinita; così, facendomi il telescopio arrivar sopra l’occhio il disco di Giove sei cento e mille volte maggiore della specie sua semplice, fa ch’egli colla sua ampiezza ingombri tutta la capellatura de’ raggi, e comparisca simile ad una Luna piena: ma il disco piccolissimo del Cane, ben che mille volte ingrandito dal telescopio, non però adegua ancora la piazza radiosa, sì che ci apparisca tosato del tutto; nientedimeno, per essere i raggi verso l’estremità alquanto men forti e tra loro divisi, resta egli visibile, e tra la discontinuazion de’ raggi si vede assai commodamente la continuazion del globetto della stella, il quale con uno strumento che più e più l’accrescesse, più e più sempre distinto e meno irraggiato ci si mostrerebbe. Sì che la cosa, signor Sarsi, sta così, e questo effetto ci venne chiamato uno spogliar Giove del suo capillizio: le quali parole se non vi piacciono, già vi si è dato licenza che le mutiate ad arbitrio vostro, ed io vi do parola d’usar per l’avvenire la vostra correzzione; ma non v’affaticate in voler mutar la cosa, perché non farete niente.

E già che voi in questo fine replicate che pure è necessario conceder che l’aria circunfusa s’illumini, e che perciò la stella apparisca maggiore; ed io torno a replicarvi che i vapori circunfusi s’illuminano, ma non perciò il corpo luminoso s’accresce punto, essendo che il lume de’ vapori è incomparabilmente minore della primaria luce: per lo che il corpo lucido, se è grande, resta nudo, e se è piccolo, rimane, col suo irraggiamento fatto nell’occhio, terminatissimo e distintissimo tra ’l debolissimo lume dell’aria vaporosa. E vi replico ancora, poi che voi medesimo me ne porgete replicata occasione, che totalmente deponghiate quella falsa opinione che ’l Sole e la Luna presso all’orizonte si mostrino maggiori per una ghirlanda d’aria illuminata che s’aggiunga al lor disco, perché questa è una grandissima semplicità, come di sopra ho detto e provato. E per non lasciar cosa intentata per cavarvi d’errore e far che voi restiate capace di questo negozio, alle vostre ultime parole, dove voi dite che vedendosi pur pel telescopio essi raggi luminosi intorno alle stelle, non si potrà ridurre il minimo ricrescimento di quelle nella perdita di questi, essendo che non si perdono; vi rispondo che l’accrescimento è grandissimo, come in tutti gli altri oggetti, e che il vostro errore sta (come sempre si è detto) nel paragonar voi la stella insieme con tutto il suo irraggiamento, visto coll’occhio libero, col corpo solo della stella veduto, collo strumento, distinto dalla sua piazza radiosa, della quale egli talvolta compar maggiore e tal volta eguale, secondo la grandezza della stella vera e la moltiplicazion del telescopio; e quando comparisce minor di esso irraggiamento, tuttavia si scorge il suo disco, come ho detto, tra l’estremità della capellatura. Ed una accommodatissima riprova dell’accrescimento grande, come in tutti gli altri oggetti, è il pigliar Giove coll’occhiale avanti giorno, e andarlo seguitando sino al nascer del Sole e più oltre ancora; dove si vede il suo disco, pel telescopio, sempre grande nell’istesso modo: ma quel che si vede coll’occhio libero, crescendo il candor dell’aurora si va sempre diminuendo, sì che vicino al nascer del Sole quel Giove che nelle tenebre superava d’assai ogni stella della prima grandezza, si riduce ad apparir minore di quelle della quinta e della sesta, e finalmente, ridottosi quasi ad un punto indivisibile, nascendo il Sole, si perde del tutto: nulla dimeno, sparito all’occhio libero, si séguita egli pur di vederlo tutto il giorno grande e ben circolato; ed io ho uno strumento che me lo mostra, quando è vicino alla Terra, eguale alla Luna veduta liberamente. Non è dunque cotal ricrescimento minimo o nullo, ma grande, come di tutti gli altri oggetti.

Io vi voglio, signor Sarsi, pigliare alla stracca, se non potrò prendervi correndo. Volete voi una nuova dimostrazione, per prova che gli oggetti in tutte le distanze crescono nella medesima proporzione? Sentitela. Io vi domando se, posti quattro, sei o dieci oggetti visibili in varie lontananze, ma in guisa però che tutti si veggano nella medesima linea retta, sì che il più vicino occupi tutti gli altri, vi domando, dico, se tenendo l’occhio nel medesimo luogo e riguardando i medesimi oggetti co ’l telescopio, voi gli vedrete pur posti in linea retta o no, sì che il vicino non vi asconda più gli altri, ma ve gli lasci vedere? Credo pur che voi risponderete ch’ei vi compariranno per linea retta, essendo realmente per linea retta disposti. Ora, stante questo, immaginatevi quattro, sei o dieci bacchette diritte, tra di lor paralelle, poste in distanze disuguali dall’occhio, ed esse di lunghezze pur disuguali, e le più lontane maggiori, e di mano in mano le più vicine minori, in modo che gli estremi termini loro si veggano posti in due linee rette, una a destra e l’altra a sinistra; pigliate poi il telescopio, e riguardatele con esso: già, per la concession fatta, i medesimi termini, tanto i destri quanto i sinistri, si vedranno pure in due linee rette come prima, ma aperte in maggiore angolo. E come ciò sia, signor Sarsi, questo, appresso i geometri, si domanda ricrescer tutte quelle linee secondo la medesima proporzione, e non ricrescer più le vicine che le lontane. Cedete dunque, e tacete.

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