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"Illud præterea a Galilæo Aristoteli obiicitur, male illum ex cometis prædicere, annum fore non admodum pluvium, sed siccum potius, ventorum etiam ingentem vim ac Terræ motus portendi. Cum enim, inquit, cometæ nihil aliud Aristoteli sint nisi ignes, huiusmodi exhalationum veluti eluones voracissimi, si nullas reliquias ab iisdem relinquendas dixeris, longe sapientius pronunciaris. Sed ego longe aliter sentiendum existimo. Nam si qua in urbe per fora ac vias magnam frumenti vim dispersam negligenter haberi, aut si forte vilissima quæque capita ac plebeculæ sordes opipare semper epulari videas; an non inde tantam rei frumentariæ ac totius annonæ facultatem sapienter arguas, ut nulla ibidem in longum tempus metuenda sit inopia? Ita plane dicendum. Atqui halituum sedes angustis ut plurimum terminis, ac veluti in horreo frumentum, includitur; neque ad illas plagas, quibus vorax flamma dominatur, facile producitur, nisi quando eorumdem ingens copia inferioribus sedibus capi non potest, aut forte iidem, sicciores ac rariores effecti, omnem aqueam exuerint qualitatem. Quare non inepte Aristoteles ex cometis, hoc est ex huiusmodi exhalationibus ad ignem usque, adeo non parce sed affluenter, productis, intulit, inferiora hæc omnia iisdem maxime abundare. Neque hinc sequitur, ab eo igne nullas eorumdem halituum reliquias relinquendas: is enim ea tantum absumit, quæ supra non capaces inferioris sedis angustias ad ignis plagam elevantur; qui postea ignis non in alienas regiones irrumpit, sed suo semper fixus in regno ea sibi vindicat quæ propius ad illum accesserint aut, quasi ab humidioribus impressionibus transfuga, ad illum defecerint: et propterea potuit Aristoteles hinc etiam ventos, sicciorem anni temperiem, aliaque huiusmodi prænunciare. De nostro certe cometa si quis tale aliquid prædixisset, potuisset ab eventu ipso id egregie confirmare; nam et annus siccior solito extitit, insolentes ventorum vehementesque flatus experti sumus, Terræ motibus magna Italiæ pars concussa, idque alicubi non parvo urbium atque oppidorum damno. Quid igitur? an non sapienter ut, alia multa, hæc etiam Aristoteles enunciavit?"
L’essempio in virtù del quale crede il Sarsi di poter difendere Aristotile e mostrar l’obiezzione del signor Mario invalida, a me par che non molto s’assesti al caso essemplificato. Che il veder per le strade e per le piazze copia di biade arguisca esser di quelle maggiore abbondanza che quando non se ne veggono, ha molto ben del ragionevole, imperò che è in potere ed in arbitrio de i padroni l’esporle ed il celarle, e, di più, il farne mostra non le consuma o diminuisce punto; i quali due particolari non ànno luogo nel caso della cometa. E per avventura essempio più proporzionato sarebbe se alcuno dicesse in cotal modo: che l’isola Cuba abbondi di cinnamomi e cannelle, ce ne sia grand’argomento il sapere che gl’isolani fanno fuoco di quelle continuamente. Il discorso è concludente, perché, essendo in arbitrio loro l’arderle o no, quando ne avesser penuria l’userebbon per condimento solamente, come noi. Ma quando venisse avviso che i mesi passati per certo accidente si fusse attaccato fuoco nella gran selva de’ cinnamomi, e che gl’isolani non furono potenti ad estinguer le fiamme, ritrovandosi in questo tempo assai lontani dal luogo, sì ch’ella irreparabilmente arse; se alcun mercante da tale accidente insolito volesse a i nostri aromatarii pronosticare una straordinaria abbondanza, poi che, dove per l’ordinario se ne abbruciano a fascetti, questa volta si è fatto a boscaglie intere; io credo ch’ei verrebbe reputato persona molto semplice: e quello che vedendo dalle fiamme divorar le biade mature della sua possessione, si rallegrasse e si promettesse d’essere per empire assai più del solito i suoi granai, poi che ve n’è da abbruciare a moggia, credo che sarebbe tenuto stolto affatto. La materia di che si fa la cometa o è della medesima di che si producono i venti, o è diversa: se è diversa, non si può dalla copia di quella arguire abbondanza di questa, più che se alcuno dal veder molt’uva si promettesse gran ricolta d’olio; se è dell’istessa, attaccato che vi sia il fuoco, arderà tutta. ==Pagina:Le opere di Galileo Galilei VI.djvu/379==