< Il Sogno di una notte d'estate
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Atto quinto

NOTA



«.....Si possono paragonare insieme il Sogno di una notte d’estate o il Sogno della notte di San Giovanni, se così meglio piacesse (Midsummer Night’s Dream), e la Tempesta (The Tempest), poichè in questi due drammi il mondo meraviglioso degli spiriti è messo in comunicazione col mondo degli uomini, e in entrambi si vede una potenza soprannaturale che opera ugualmente sulle passioni gravi degli esseri sensati e sui bizzarri capricci dei pazzi. È verosimile che il Sogno di una notte d’estate sia stato composto nella giovinezza di Shakspeare, e la Tempesta molto più tardi. Onde i critici, supponendo che la maturità dello ingegno debba crescere insieme cogli anni, diedero a quest’ultimo dramma la preferenza assoluta sopra l’altro. Ma io non saprei accordarmi con essi, e il merito di queste due opere mi sembra talmente bilanciato, che solo il gusto personale può sentenziare in favore piuttosto dell’una che dell’altra. La superiorità della Tempesta è parvente, rispetto all’originalità ed alla profondità de’ caratteri. Non si potrebbe ammirare abbastanza la maestria con cui il poeta tratta i suoi spedienti, apparecchia i suoi mezzi e sa destramente nascondere il ponte che gli serve a costruire il suo aereo edifizio. Il Sogno di una notte d’estate, invece, è avvivato da una feconda sorgente d’invenzioni ardite e brillanti; l’accozzamento de’ contrarii pare vi si sia formato senza sforzo e quasi col sussidio di un’opera accidentale del genio; tutto è lieve e trasparente, e questa lanterna magica sì vivamente colorita sparisce in un batter d’occhi. Il mondo delle Fate somiglia qui a quei leggiadri arabeschi ove gentili genietti adorni il dorso d’ali di farfalla posano sopra bocce di fiori. Il crepuscolo, il chiaror della luna, la rugiada, le fragranze della primavera sono l’elemento di questi Silfi delicati; essi cooperano colla natura per ismaltare di vivaci fiorellini e di screziati insetti i suoi ricchi tappeti di verzura; aleggiano pure nella sfera degli uomini, ma solamente quai fanciullini furbetti e capricciosi, per esercitarvi una influenza ora nociva, ed ora salutare. Il loro più vivo sdegno si sfoga con una maliziuola, e le loro passioni, spogliate d’ogni qualità terreste, non sono che un vaneggiamento ideale. In questo dramma, l’amore anche presso a’ mortali si armonizza con ciò che è presso gli Spiriti, val dire una malìa poetica, il cui effetto può essere dissipato e ristabilito da un talismano opposto. Il disegno consta di differenti parti. Le nozze di Teseo e d’Ipolita, la contesa di Oberon e di Titania, la fuga dei quattro amanti, finalmente le prove drammatiche degli artieri; e questi fili diversi s’intrecciano in un modo così bello e così facile, che sembra che gli uni s’attengano agli altri e formino naturalmente un tessuto. Ben si comprende che non bisogna aver meraviglia di nulla in una foresta abitata dalle Fate. Oberon, re de’ Silfi, vuol calmare gli affanni di quattro amanti sventurati ed impiega uno Spirito inferiore, il quale inviluppa ogni cosa distribuendo i filtri a controsenso. Nasce allora una confusione di gelosie, di sdegni, di impeti, a cui solamente Oberon può metter fine; ciò che da ultimo fa di buon grado. Egli si mostra più maligno verso Titania, la regina sua sposa, poichè l’innamora di un cattivo attor tragico chiamato Bottom, al quale ha imposta una testa di ciuco. Dal che si vede che il poeta si compiace nell’accozzare il fantastico col volgare, cosa che costituisce l’essenza del genere grottesco. La metamorfosi di questo Bottom è una metafora presa nel senso letterale. Ma lo stupore che a lui reca la grande ammirazione che ispira alla regina, allorchè, oltre al conoscere la propria stolidezza, sente d’avere per giunta una testa di giumento; tale stupore, dico, è la cosa più comica del mondo. Teseo ed Ipolita non sono in questo dramma che una superba cornice: essi rappresentano soltanto il loro grado, ma lo fanno con molta pompa; ed il romoroso arrivo del greco eroe e dell’amazzone che attraversano la foresta con gran codazzo di cacciatori, produce sopra l’imaginazione l’effetto della luce del mattino quand’ella dissipa le visioni notturne. Non è senza ragione che il poeta ha scelta l’avventura di Piramo e Tisbe pel soggetto della tragedia degli artieri, perocchè essa è in armonia colla parte grave del dramma stesso. In fatti vi si vede egualmente il ritrovo che si danno due amanti in una foresta, ed i fatali errori prodotti da una sorte avversa; e una ridicola imitazione rende la fine dello spettacolo lieta come una parodìa».

(Schlegel, Corso di lett. dramm.)





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