< Il Tesoretto (Assenzio, 1817)
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III
II IV

III.


Ma tornando a la mente,

     Mi volsi, e posi mente
Intorno a la montagna;
     E vidi turba magna
Di diversi animali,
     Ch’i’ non so ben dir quali:
Ma uomini, e muliere,
     Bestie, serpenti, e fiere,
E pesci a grandi schiere;
     E di tutte maniere
Uccelli voladori,
     Et erba, e frutti, e fiori,
E pietre, e margherite,
     Che son molto gradite;
Et altre cose tante,
     Che null’uomo parlante
Le porria nominare,
     Nè ’n parte divisare.
Ma tanto ne so dire
     Ch’i’ le vidi obbedire;
Finire, e cominciare,
     Morire, e generare;
E prender lor natura,
     Sì com’una figura,
Ch’i’ vidi, comandava.
     Et ella mi sembiava
Come fosse ’ncarnata,
     Talora sfigurata;
Talor toccava ’l cielo,
     Sì, che parea suo velo:
E talor lo mutava,

     E talor lo turbava.
E tal suo mandamento

     Movea ’l firmamento;
E talor si spandea,
     Sì, che ’l mondo parea
Tutto ne le sue braccia.
     Or le ride la faccia,
Un’ora cruccia, e duole,
     Poi torna come suole.
Et io ponendo mente
     A l’alto convenente,
Et a la gran potenza
     Ch’avea, e la licenza;
Usci’ di reo pensiero,
     Ch’i’ aveva ’n primiero.
Et éi proponimento
     Di fare un ardimento,
Per gire in sua presenza
     Con degna reverenza:
In guisa, che vedere
     La potessi, e savere
Certanza di suo stato:
     E poi ch’io l’éi pensato,
N’andai davanti a lei,
     E dirizzai gli occhi miei
A mirar suo cor saggio;
     E tanto vi diraggio,
Che troppo par gran festa
     Il capel de la testa;
Sì, ch’io credea, che ’l crine
     Fusse d’un oro fine
Partito sanza trezze;
     E l’altre sue bellezze,
Ch’al volto son congionte

     Sotto la bianca fronte.
Li belli occhi, e le ciglia,

     E le labbra vermiglia,
E lo naso affilato,
     E lo dente argentato,
La gola biancicante,
     E l’altre beltà tante
Composte, et assettate,
     E ’n suo loco ordinate,
Lascio, che non le dica,
     Non certo per fatica,
Nè per altra paura.
     Ma lingua, nè scrittura
Non saria sufficiente
     A dir compitamente
Le bellezze, ch’avea,
     Nè quant’ella potea
E ’n aera, e ’n terra, e ’n mare,
     E ’n fare, et in disfare,
E ’n generar di nuovo,
     O di concetto, o d’uovo,
O d’altra comincianza,
     Ciascuna a sua sembianza,
E vidi in sua fattura,
     Ched ogne creatura,
Ch’avea cominciamento,

     Veniva a finimento.
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