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III.
Mi volsi, e posi mente
Intorno a la montagna;
E vidi turba magna
Di diversi animali,
Ch’i’ non so ben dir quali:
Ma uomini, e muliere,
Bestie, serpenti, e fiere,
E pesci a grandi schiere;
E di tutte maniere
Uccelli voladori,
Et erba, e frutti, e fiori,
E pietre, e margherite,
Che son molto gradite;
Et altre cose tante,
Che null’uomo parlante
Le porria nominare,
Nè ’n parte divisare.
Ma tanto ne so dire
Ch’i’ le vidi obbedire;
Finire, e cominciare,
Morire, e generare;
E prender lor natura,
Sì com’una figura,
Ch’i’ vidi, comandava.
Et ella mi sembiava
Come fosse ’ncarnata,
Talora sfigurata;
Talor toccava ’l cielo,
Sì, che parea suo velo:
E talor lo mutava,
Movea ’l firmamento;
E talor si spandea,
Sì, che ’l mondo parea
Tutto ne le sue braccia.
Or le ride la faccia,
Un’ora cruccia, e duole,
Poi torna come suole.
Et io ponendo mente
A l’alto convenente,
Et a la gran potenza
Ch’avea, e la licenza;
Usci’ di reo pensiero,
Ch’i’ aveva ’n primiero.
Et éi proponimento
Di fare un ardimento,
Per gire in sua presenza
Con degna reverenza:
In guisa, che vedere
La potessi, e savere
Certanza di suo stato:
E poi ch’io l’éi pensato,
N’andai davanti a lei,
E dirizzai gli occhi miei
A mirar suo cor saggio;
E tanto vi diraggio,
Che troppo par gran festa
Il capel de la testa;
Sì, ch’io credea, che ’l crine
Fusse d’un oro fine
Partito sanza trezze;
E l’altre sue bellezze,
Ch’al volto son congionte
E le labbra vermiglia,
E lo naso affilato,
E lo dente argentato,
La gola biancicante,
E l’altre beltà tante
Composte, et assettate,
E ’n suo loco ordinate,
Lascio, che non le dica,
Non certo per fatica,
Nè per altra paura.
Ma lingua, nè scrittura
Non saria sufficiente
A dir compitamente
Le bellezze, ch’avea,
Nè quant’ella potea
E ’n aera, e ’n terra, e ’n mare,
E ’n fare, et in disfare,
E ’n generar di nuovo,
O di concetto, o d’uovo,
O d’altra comincianza,
Ciascuna a sua sembianza,
E vidi in sua fattura,
Ched ogne creatura,
Ch’avea cominciamento,