< Il Tesoretto (Assenzio, 1817)
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XIV
XIII XV

XIV.


Et i’, ch’avea volere

  Di più certo savere
La natura del fatto,
  Mi mossi sanza patto
Di domandar fidanza:
  E trassemi a l’avanza
De la corte maggiore,
  Che v’è scritto ’l tenore
D’una cotal sentenza:
  Qui dimora Prudenza;
Cui la gente ’n volgare
  Suole senno chiamare.

E vidi ne la corte,

  Là dentro da le porte
Quattro donne reali,
  Con corti principali
Tenean ragione, et uso.
  Poi mi tornai là giuso
Ad un altro palaggio;
  E vidi ’n bello staggio
Scritto per sottiglianza;
  Qui sta la Temperanza;
Cui la gente tal’ura
  Suole chiamar Misura.
E vidi là d’intorno
  Dimorare a soggiorno
Cinque gran Principesse;
  E vidi, ch’elle stesse
Tenean gran parlamento
  Di ricco insegnamento.
Poi ne l’altra magione
  Vidi ’n un gran petrone
Scritto per sottigliezza;
  Qui dimora Fortezza,
Cui tal’or per usaggio
  Valenza di coraggio
La chiama alcuna gente.
  Poi vidi immantenente
Quattro ricche Contesse,
  E genti rade, e spesse,
Che stavano ad udire
  Ciò, ch’elle voglion dire.
E partendomi un poco
  I’ vidi ’n altro loco
La Donna ’ncoronata
  Per una camminata,
Che menava gran festa,

  E tal’or gran tempesta.
E vidi, che lo scritto
  Ch’era di sopra scritto
In lettera dorata
  Diceva: I’ son chiamata
Giustizia in ogne parte.
  Vidi da l’altra parte
Quattro maestri grandi;
  Et a li lor comandi
Stavano obbedienti
  Quasi tutte le genti.
Così s’io non mi sconto
  Eran venti per conto
Queste Donne reali,
  Che de le principali
Son nate per legnaggio,
  Sì come detto v’aggio.

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