Questo testo è completo. |
◄ | XIV | XVI | ► |
XV
Ond’io ritorno omai
per dir come trovai
le tre a gran dilizia
1360in casa di Giustizia,
che son sue discendenti
e nate di parenti.
E io m’andai da canto
e dimora’vi tanto,
1365ched io vidi Larghezza
mostrar con gran pianezza
ad un bel cavalero,
come nel suo mistero
si dovesse portare.
1370E dicea, ciò mi pare:
«Se tu vuoli esser mio,
di tanto t’afid’io,
che nullo tempo mai
di me mal non avrai,
1375anzi, sarai tuttore
in grandezza e in onore;
ché giá om per larghezza
non venne in poverezza.
Ver’è, ch’assai persone
1380dicon ch’a mia cagione
hanno l’aver perduto,
e ch’è loro avenuto,
perché son larghi stati,
ma troppo sono errati;
1385ché, como è largo quegli
che par che s’acapigli
per una poca cosa
ove onor grande posa,
e ’n un’altra bruttezza
1390fará sí gran larghezza,
che fie dismisuranza?
Ma tu sapie ’n certanza
che null’ora che sia
venir non ti poria
1395la tua ricchezza meno,
se ti tieni al mio freno
nel modo ch’io diragio.
Ché quelli è largo e sagio
che spende lo danaro
1400per salvar lo gostaro.
Però in ogne lato
ti membri di tuo stato,
e spendi allegramente,
e non vo’ che sgomente,
1405se piú che sia ragione
despendi ale stagione;
anz’è di mio volere
che tu di non vedere
t’infinghe ale fiate,
1410se danari o derrate
ne vanno per onore:
pensa che sia ’l migliore.
E se cosa adivenga
che spender ti convenga,
1415guarda che sia intento,
sí che non paie lento;
ché dare tostamente
è donar doppiamente,
e dar come sforzato
1420perde lo don e ’l grato,
ché molto piú risplende
lo poco chi lo spende
tosto e a larga mano,
che que’ che da lontano,
1425e tardi, e con durezza
dispende gran ricchezza.
Ma tuttavia ti guarda
d’una cosa che ’mbarda
la gente piú che ’l grado:
1430ciò è gioco di dado.
Ché non è di mia parte
chi si gitta in quell’arte,
anz’è disviamento
e grande strugimento.
1435Ma tanto dico bene,
se talor ti convene
giocar per far onore
ad amico o segnore,
che tu giuochi al piú grosso,
1440e non dire: ‘Io non posso’.
Non abie in ciò vilezza,
ma lieta gagliardezza.
E se tu perdi posta,
paia che non ti costa;
1445non dicer villania,
né mal motto che sia.
Ancor, chi s’abandona
per astio di persona
e per sua vanagloria,
1450esce dela memoria;
e spender malamente
non m’agrada neente.
E molto m’è rubello
chi dispende in bordello
1455e va perdendo ’l giorno
in femine d’intorno.
Ma chi di suo bon core
amasse per amore
una donna valente,
1460se talor largamente
dispendesse o donasse,
non sí che follegiasse,
ben lo si puote fare,
ma nol voglio aprovare.
1465E tengo grande scherna,
chi dispende in taverna;
e chi in ghiottornia
si getta, o in beveria,
è pegio ch’omo morto,
1470e ’l suo distruge a torto.
E ho visto persone
ch’a comperar capone,
pernice e grosso pesce,
lo spender no ll’incresce;
1475ché, come vol sien cari,
pur truovansi danari,
sí paga ’mmantenente,
e crede che la gente
lí li ponga in larghezza;
1480ma ben è gran vilezza
ingoiar tanta cosa,
chi giá fare non osa
conviti, né presenti,
ma colli propi denti
1485mangia e divora tutto.
Ecco costume brutto!
Mad io, s’io m’avedesse
ch’egli altro ben facesse,
unqua di ben mangiare
1490no llo dovrei blasmare.
Ma chi ’l nasconde e fuge,
e consuma e distruge,
solo che ben si pasce,
certo in mal punto nasce.
1495Àcci gente di corte
che sono use ed acorte
a sollazzar la gente,
ma domandan sovente
danari e vestimenti.
1500Certo, se tu ti senti
lo poder di donare,
ben dèi cortesegiare,
guardando d’ogne lato
di ciascun lo suo stato.
1505Ma giá non ubliare,
se tu puoi megliorare
lo dono in altro loco,
non ti vinca per gioco
lusinga di buffone;
1510guarda loco e stagione.
Ancora abbi paura
d’improntare a usura,
ma se ti pur convene
aver per spender bene,
1515prego che rende ivaccio,
ché non è bel procaccio,
né piacevol convento
di diece vender cento.
Giá d’usura che dái
1520nulla grazia non hai,
né ’n ciò non ha larghezza,
ma tua gran pigrezza.
Ben forte mi dispiace,
e gran noia mi face
1525donzello e cavalero
che, quando un forestero
passa per la contrada,
non lascia che non vada
a farli conpagnia
1530in casa e per la via,
e gran cose promette;
ma altro non vi mette.
Cosí ten questa mena;
e chi lo ’nvita a cena,
1535terrebe ben lo ’nvito;
non farebe convito,
servigio, né presente.
Ma sai che m’è piagente,
quando vene un forese,
1540di farli ben le spese,
secondo che s’aviene;
ché ’l presentar ritiene
amore ed innoranza,
conpagnia ed usanza.
1545E sai ch’io molto lodo
che tu a ogne modo
abi di belli arnesi,
e privati, e palesi,
sì che ’n casa e di fore
1550si paia ’l tuo onore.
E se tu fai convito,
o corredo bandito,
fai provedutamente
che non falli neente.
1555Di tutto inanzi pensa,
e quando siedi a mensa,
non fare un laido piglio,
non chiamare a consiglio
siniscalco o sergente,
1560ché da tutta la gente
sarai scarso tenuto,
e non ben proveduto.
Omai t’ho detto assai;
perciò ti partirai,
1565e dritto per la via
ne va a Cortesia,
e pregai da mia parte
che ti mostri su’ arte.
Ché giá non vegio lume
1570sanza suo bon costume».