< Il Trecentonovelle
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CI CIII

Uno tavernaio di Settimo, non potendo mettere e appiccare un porco alla caviglia, grida accurr’uomo e fa trarre tutto il paese: giunta la moltitudine, domanda aiuto, ed èlli fatto.

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Presso a Settimo è un luogo in su la strada che si chiama la Casellina, e sempre v’è stato un tavernaio che ha tagliato carne, e fra l’altre, bonissime vitelle e gran porci. Avvenne per caso che, essendovi un beccaio grassissimo, non è gran tempo, comprò un porco grassissimo, che pesava libbre quattrocento; e una mattina per tempissimo, avendolo morto, abbruciato e concio, volendolo appiccare alla caviglia, e levarlo da terra, per niuno modo il poté fare; e aiuto non avea, se non d’una sua donna, che gli avea aiutato insino allora, e abbruciare e fare, ed era poco prosperosa, e a quello poco gli potea dare aiuto Questo beccaio aspettò ben un’ora che passasse chi che sia, mai non vi passò persona; e se alcuno vi passò, era o femine o fanciulli che niente venía a dire.
Alla per fine, essendo costui trafelato e quasi come disperato di non lo potere appiccare alla caviglia, si rizza in punta di piedi, volgendosi attorno attorno, con le maggior grida che gli uscissono di bocca, gridando: «accurr’uomo, accurr’uomo» per sí fatta maniera che duecento contadini che erano a lavorare per li campi chi con marra e chi con vanga trasse, dicendo: «Che è? che è?» avvisandosi fosse stato un lupo, che usava in quelle contrade, e avea morto assai fanciulli.
Dice il beccaio:
- Come, che è? Ho morto questo porco, ed egli ha presso che morto me, volendolo appiccare alla caviglia, e mai c’è passato chi m’abbia aiutato ben un’ora; e sono tutto trafelato, che mai simile fatica non durai; e però, fratelli miei, aiutatemi a levarlo, sí che io l’appicchi alla caviglia.
E ’l romore si leva tra quelli che erano tratti:
- Deh, tagliato sia tu a pezzi come tu taglierai cotesto porco -; diceano la maggior parte. - Dunque hai tu messo a romore questo paese, per appiccare un porco?
Quelli si scusava:
- Io non ho potuto fare altro; io l’ho fatto per voi, come per me, che l’avete a manicare.
Altri diceano:
- Io fo boto a Dio, che noi ti accuseremo al Podestà, e converrà che tu ci ristori dello scioperio nostro; e anco sarai condannato di mettere a romore questa contrada.
Un’altra brigata, che vi davano poco d’essere stati scioperati, rideano il meglio che poteano, e vannone certi verso lui, e aiutanlo.
Dice il tavernaio:
- Quella di coloro è cattiva discrizione, che dice m’accuseranno: che dovea io fare?
Quelli che erano iti aiutarlo erano giovani, e diceano:
- Tu di’ vero, e facesti quello che tu dovevi -; e levoronlo suso, e appiccaronlo alla caviglia.
E ’l tavernaio disse loro pianamente:
- Venite domattina asciolver meco, ché io voglio ch’e’ migliacci sien vostri.
Egli accettarono e asciolverono molto bene la domenica mattina; poi il dí ritrovandosi a loro usanze, quelli savi riprendeano molto il tavernaio, dicendo che gli si verrebbe gran punizione. Quelli giovani, che aveano aúti de’ migliacci, si volgeano a costoro, dicendo:
- E’ vi par’esser piú savi che Matasalao, e ciascun dice la sua: anzi fece molto bene; che dovea far costui, se non avea aiuto?
Dicono quest’altri:
- Ben foste di quelli che gli aiutasti; cosí spendeste voi l’avanzo del tempo vostro che ci avete a vivere.
E dice un altro:
- Dio il volesse, ché noi c’empiemmo stamane molto bene il corpo di quel porco con buon migliacci.
- Oh, non maraviglia.
- Se voi ve ne fate maraviglia, e voi v’abbiate il danno, che voi non ve ne ugneste il grifo.
E cosí rimase la cosa, che i cittadini che erano attorno per le ville n’ebbono per buon pezzo piacere col beccaio della detta novella, avendolo molto per piacevole, piú assai che non lo tenevono in prima. Ed egli diede sempre poi buona carne a quelli che l’aiutorono, e fece loro miglior mercato ch’agli altri. E però dice: «Servi, e non guardare a cui, e averai de’ migliacci».

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