< Il Trecentonovelle
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Novella CLXXXVIII
CLXXXVII CLXXXIX

Ambrogino da Casale di Melano compra una trota, e messer Bernabò non può avere pesce; manda per Ambrogino, e vuol sapere di che fa sí larghe spese; ed elli con un leggiadro argomento si spaccia da lui.

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Non si dilettò di simil vivande, quali furono quelle della passata novella, Ambrogino da Casale gentiluomo di Melano; il quale ne’ tempi che regnava messer Bernabò, essendo ricco di forse cinquemila fiorini, e avendo considerato la quantità delle imposte e delle gravezze del signore, e in quanto tempo convenía che tutto il suo fosse del signore, si pensò di logorarsi il suo e darsi il piú bel piacere del mondo (e chi venisse di drieto serrasse l’uscio) e in cavallo e in vestire, e sopra tutto magnare co’ suoi compagni delle migliori vivande che potea avere.
Avvenne per caso che, essendo venuta una ricca ambasciata dello re di Francia al detto messer Bernabò, e volendoli onorare, convenne che uno venerdí diliberasse dare loro mangiare; e mandò il suo spenditore alla pescheria perché comprasse del pesce; il quale, andando e nulla trovando, domandò i pescatori che fosse la cagione. Risposono credeano fosse cagione del vento che allora era, però che in quella mattina altro che una trota di venticinque libbre v’era stata, la quale avea comprata Ambrogino da Casale. E con questo lo spenditore tornò al signore, niente avendo comprato; e raccontando come solo una trota v’era stata, e quella avea comprata Ambrogino, commise a uno famiglio che andasse per lui. Ito per lui, Ambrogino cominciò a tremare, non avendo freddo, e subito ne va dinanzi al signore il quale, come il vide, disse:
- Mo dimmi, onde ti viene che tu fai sí larghe spese, che tu comperi una trota di venticinque libbre, e io, che sono il signore, non posso avere un poco di pesce per dar mangiare altrui?
Ambrogino tutto timoroso volea dire, e non ardiva, e ’l signore, vedendo ciò, disse:
- Di’ sicuramente ciò che tu vuogli, e non avere di me alcuna paura.
Ambrogino, essendo assicurato da colui di cui avea paura, disse:
- Signor mio, poiché voi mi comandate che io vi dichi la verità, io ve la dirò, pregandovi per misericordia che di ciò a me non ne segua alcuna novità.
Il signore ridisse:
- Di’ sicuramente e non aver paura.
Allora disse Ambrogino:
- Magnifico signore, egli è buona pezza che io m’avvidi che tutto il mio dovea venire a voi; di che, considerando questo, io mi sono sforzato di logorare il mio quant’ho potuto, prima che il logoriate voi; e in questa mattina comprai quella trota per istudiarmi di mangiare innanzi il mio che voi ve ’l mangiate voi. E questa è la cagione e niuna altra cosa mi muove.
Il signore, udendo costui, cominciò a ridere, e disse:
- Ambrogino, in fé di Dio, io credo che tu sie il piú savio uomo che sie in Melano; va’ e godi e spendi largamente, che io ti confermo nella tua buona volontà, e voglio che ti goda il tuo, piú tosto che io lo voglia per me; e per lo tempo che dee venire tu te ne avvedrai -; e licenziollo.
Partitosi Ambrogino con la debita reverenzia, tornò a casa sua, e parendoli avere fatta buona mattinata, si pensò di presentare la trota al signore, e trovato uno intendente famiglio, la puose in su un bianco tagliere grande, che già era cominciata a conciare per cuocersi; e copertola d’una bianca tovagliuola, disse al famiglio:
- Va’ al signore messer Bernabò e di’: «Il vostro servidore Ambrogino vi presenta questa trota, perch’ella si confà molto meglio alla sua signoria che alla mia debile condizione»; e che che io me gli abbia detto in questa mattina, io ho molto piú caro quello che prende del mio che quello che mi rimane.
Il famiglio con la imbasciata portò il presente al signore. Al quale il signore rispose:
- Di’ ad Ambrogino che in questa mattina io avea compreso assai della sua condizione, ora ho maggiormente compreso della sua virtú; va’ e digli da mia parte ch’egli ha ben fatto.
Il messo cosí rapportò ad Ambrogino.
Venuto il dí dopo mangiare, come spesso interviene, che li signori a cui vogliono far male il fanno fuor di misura, e a cui vogliono far bene il fanno senz’alcun mezzo; essendo partiti da mangiare gli ambasciadori di Francia e messer Bernabò, conosciuta la condizione d’Ambrogino, subito lo elesse suo provvisionato a maggiore salario degli altri, o come gli altri, e mandò per lui. Le grazie d’Ambrogino verso il signore, udendo il beneficio a lui dato, non si potrebbono scrivere; e spesso il mandò per rettore, quando in una terra e quando in un’altra; tanto che, come vivesse poco, non avea pensiero di spendere di quelli di casa ma di riporre quelli che gli avanzavono di quelli che ’l signore gli dava. E cosí quello che visse, bontà della trota che gli venne per le mani, visse riccamente e in buono stato, e in quello si morí.
Per questa novella veramente si può comprendere che allo stato che si vede e de’ signori e de’ comuni (e specialmente oggi, che altro non cercano se non per gravezze quello de’ loro sudditi consumare) che Ambrogino saviamente provvedesse a volersi prima manicare il suo, che altri lo mangiasse. E io scrittore sono di quelli che già dissi che la spesa della gola era tra l’altre la piú trista; e cosí solea essere. Ma essendo venuto il mondo a tanto che tutte l’altre cose conviene che vadino in rovine, reputo oggi il mangiare e ’l bere essere quella cosa che li principi del mondo possono meno avere.
Però che, se io considero a’ contanti, quelli sono la prima cosa dove percuotono; se io considero alle possessioni, sempre v’hanno l’occhio a tirarle a loro; se alle masserizie, sempre sono la prima cosa che le famiglie e’ messi ne portono, se alle belle robe che uomeni o donne portino, o s’impegnano o si vendono per pagare: solo il mangiare è quello che giammai non possono avere. E però saviamente facea Ambrogino, però che molti ne sono già stati che con grande avarizia averanno ammassata ricchezza, e mai non aranno goduto un’ora che gli è sopravvenuto un caso di guerra, che converrà che la maggiore parte del suo si paghi alla gente scellerata dell’arme, i quali del loro goderanno gran pezze, ed eglino non aveano cuore di contentarne l’animo loro d’uno minuzzolo.
E però dice: «Chi per sé raguna, per altri sparpaglia».
E ancora intervien peggio, che quello che l’avaro spesso arà ritenuto di spendere, che ragionevolmente spendere si dovea, per altrui scialacquatamente sarà speso e gittato, con grande sua tristizia e dolore. Non dico però che in ogni cosa la via del mezzo è quella che è piú commendabile.

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