< Il Trecentonovelle
Questo testo è completo.
Novella CXCVII
CXCVI CXCVIII

Il canonaco de’ Bardi fiorentino si richiama di ser Francesco da Entica, perché non volle prestare il ronzino a Aghinolfo; e messer Bonifazio da Savignano dà il judicio.

*

Qual fu piú nuovo judicio o piú piacevole che quello che diede messer Bonifazio da Savignano Podestà di Firenze nella presente novella contro a ser Francesco di ser Giovanni da Entica? il quale era sí trascurato che avendo a vedere una carta compiuta dal canonaco de’ Bardi, per consiglio che volea da lui, e ’l detto calonaco ritornando per essa, quelli cercò tutta la casa, e non potendola trovare, dicea:
- O tu non me l’arrecasti, o io te l’ho renduta -; e in fine, non potendola avere, e dicendo la novella il canonaco alla piazza con certi a Ponte Rubaconte, da indi a un mese e’ porci di Santo Antonio passando, l’uno avea una carta in bocca.
Coloro udita la novella e passando il porco, dicono:
- Quella serà la carta tua -; e seguendolo certi famigli, a gran pena la riebbono, la maggior parte morsecchiata e rotta, come quella che un mese era stata in la loro jurisdizione, ed era dessa.
E cosí si gittava ogni cosa a’ piedi, e la sua porta era sempre ròsa o da cani o da porci, sí che v’era sempre l’entrata per lo buco che s’aveano fatto.
Di che, essendo costui scorto un poco per pecorino, spezialmente da’ Bardi suo’ vicini, Aghinolfo de’ Bardi gli chiese un dí un suo ronzino da soma per andare o mandare a una sua villa. Quelli disse che non potea, però che l’avea a mandare per suoi fatti; e non disse però il vero. Di che Aghinolfo convenne ricorrere ad altrui, e accattonne uno dal calonaco suo consorto; il qual ronzino, o per soperchia fatica, o per che che si fosse, tornò guasto al detto calonaco; il perché, veggendo avere come perduto il suo ronzino, e pensando che ciò fosse intervenuto perché ser Francesco da Entica non gli avea voluto prestare il suo; e considerando quello che ser Francesco avea fatto della sua carta, e quanto era di materiale condizione, e ancora avendo singulare conoscenza col detto Podestà, pensò di richiamarsi di lui; ma prima da sé a lui gli l’andò a dire: e dicendoglilo, ser Francesco disse:
- Motteggi tu?
Il calonaco disse:
- Io dico dal miglior senno che io ho.
Dice ser Francesco:
- E qual legge hai tu trovata che dica cotesto?
E quelli rispose:
- E’ci è una legge e ordine, e honne aúto buon consiglio.
Dice ser Francesco:
- Ben veggio che io non ho ancora apparato; ché io per me non la trova’ mai.
Dice il calonaco:
- Volete voi dir altro?
E quelli dice:
- Che altro? deh va’ in buon’ora, va’.
E colui risponde:
- Sia al nome di Dio -; e volte le spalle, ne va diritto al Podestà, e informalo di questa faccenda, e fallo richiedere per lo primo dí juridico.
Come ser Francesco si sente richiesto, dice:
- Alle guagnele! che par che dica da dovero!
E trovando Aghinolfo gli dice:
- O questa è ben bella novella che ’l calonaco si richiami di me: perché io non ti prestai il ronzino mio, dice che io gli debbo mendare il suo che tu gli hai guasto; se menda si venisse, tu gliel’averesti a fare tu.
Dice Aghinolfo:
- Se voi avete a fare col calonaco, e’ me ne incresce; io non ho a mendare nulla; quando io serò chiamato, io risponderò.
Dice ser Francesco fra sé stesso: «L’uno dice male e l’altro peggio; va’ abbi a fare con maggiori di te! Costoro pare che mi vogliono rubare; io venni a stare qui tra le maggioranze, poteva avere nel Canestruccio una casa per un pezzo di pane, ed era presso a’ palagi de’ rettori: or togli ser Francesco, va’, sta’ allato a’ maggiori di te: Dio m’aiuti; io ho la ragione, vedremo che fia».
Venuto il dí della richiesta, e ser Francesco è dinanzi al rettore; là dove il calonaco dice ordinatamente tutta la sua domanda. E ’l Podestà dice all’altra parte:
- E tu che di’?
Dice ser Francesco:
- Che ne pare elli a voi?
Dice il Podestà:
- Sono io Podestà, o tu o io, ché tu domandi me?
A ser Francesco parve nuovo introito questo per lui, e chiese perdonanza, dicendo:
- Io vi prego che voi mi facciate ragione.
E allegando l’una parte e l’altra, ser Francesco allega uno testo di messer Bartolo da Sassoferrato. Dice il calonaco:
- Io non dico che ’l ronzino sia sferrato, anco dico ch’egli è guasto, e non che ’l ronzino, ma tutto il basto è rotto.
- Buono buono! - dice ser Francesco di ser Barbagianni, - io allego uno dottore di legge che ebbe nome messer Bartolo da Sassoferrato, e non dico di ronzino sferrato.
Dice il calonaco:
- Io vi farò ben mostrare all’avvocato mio il contrario in cotesto medesimo dottore.
Brievemente, il Podestà e ’l collaterale suo dissono e allegorono tanto in contrario del detto ser Francesco che quasi egli si credette avere il torto. E quando il Podestà l’ebbe condotto dove volea, disse che per lo migliore accordasse il calonaco o che si compromettessino in avvocati comuni; e cosí fecero. Li quali avvocati furono anco partecipi di questo piacere, e in fine feciono o di tutto o di gran parte il calonaco contento.
E cosí arrivò ser Smemora, per non rigovernare sí la carta ch’e’ porci di Santo Antonio non gli l’avessin tolta; e ’l calonaco e Aghinolfo se ne goderono di questa novella piú mesi, e ’l Podestà non si stette. Ser Francesco ne rimase stordito affatto, ché fra se stesso pensava pure se questo fatto era sogno o se era da dovero; e trovato che era pur vero, e’ dicea in sé medesimo: «O io non ho bene apparato, o io sono smemorato»; e quasi mai non se ne diede pace. Egli allegava al calonaco Sassoferrato, e ’l calonaco sapeva lo ’nforzato, e con quello vinse la questione.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.