< Il Trecentonovelle
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Novella CXLIV
CXLIII CXLV

Stecchi e Martellino, con un nuovo giuoco e con un lordo, in presenza di messer Mastino, con la parte di sotto gittando molto fastidio, o feccia stemperata, infardano due Genovesi con li loro ricchi vestimenti, da capo a piede.

*

Quando messer Mastino era nel colmo della rota nella città di Verona, facendo una sua festa, tutti i buffoni d’Italia, come sempre interviene, corsono a quella per guadagnare e recare acqua al loro mulino. E durante la festa, essendo là venuti due Genovesi molto puliti e pieni di moscado, come soleano andare, ed erano ancora uomeni assai sollazzevoli, mezzi cortigiani, e facevano spesso certi giuochi da dare diletto a’ signori; tra gli altri uomeni di corte che v’erano, fu uno che avea nome Martellino, e uno che avea nome Stecchi, tanto piacevoli buffoni quanto la natura potesse fare. Li quali, veggendo quanto a questi due Genovesi parea essere gran maestri, e come andavono adorni, vantandosi un giorno l’uno: «io farei»; e l’altro: «io direi»; dice Stecchi e Martellino:
- Messer Prezzivalle, - (ché cosí avea nome l’uno, e l’altro messer Zatino), - noi vogliamo fare una cosa, che vi parrà forse strana, che io Stecchi cacherò quanto uno granello di panico, e non piú né meno.
Dicono li Genovesi:
- E per lo sanghe de De, che non porie essere.
Dice Stecchi:
- Se non può tessere, ella fili.
Ed essendo questa tencione, messer Mastino sopraggiunse, e udendoli, dice:
- Che contesa è la vostra?
E quelli il dissono. Lo signore, ché sempre sono volontorosi di nove cose tutti, disse:
- Questo intendo pur di vedere.
Dice Stecchi:
- Alla prova.
E messer Mastino dice:
- O apparecchiàve, e fàve nella sala.
Dice Stecchi:
- Fate che ci sia uno saggiuolo con uno granello di panico, acciò che ciascuno vegga questa sperienza; ma io voglio che questi gentiluomeni genovesi veggano sí questo fatto che ne siano certi.
Li Genovesi dicono:
- E noi vogliamo essere quelli che veggiamo e pesiamo questo fatto; che ci credete beffare come ghiottoni?
Dice Stecchi:
- Trovate il saggiuolo e lo granello del panico, e io andrò con Martellino nella camera, e verrò nella sala -; e cosí fu.
Messer Mastino andò nella sala al luogo suo, aspettando questo fatto vedere con tutti quelli della corte sua. Li Genovesi giunsono col saggiuolo e con lo granello del panico. Stecchi era andato con Martellino, e ad una conca d’acqua messo il forame (come sempre parea che facesse, quando volea), tutta quella conca dell’acqua per la parte di sotto tirò nel ventre, e cosí pieno si rassegnò nella sala; e domandato al signore dove volea che facesse il giuoco, e messer Mastino disse:
- Là dove io vegga prima, e poi tutti gli altri.
E cosí nel mezzo della sala Stecchi, calate le brache, e alzando le parti di sotto, e’ Genovesi all’altra parte col saggiuolo e col granello del panico, stesono una mantellina per ricogliere questa piccola cosa, tanto appunto quanto Stecchi dicea che dovea fare. Stecchi pontava, o facea vista, e dicea a’ Genovesi:
- Appressatevi sí, a guardare questa piccola cosa, che voi la veggiate.
Li Genovesi, l’uno dall’uno lato, e l’altro dall’altro, diceano:
- Fa’ pur mo via i fatti tuoi, che noi stiamo bene sí attenti, che non t’usciría l’anima di quaggiú che noi non la vedessimo.
Martellino tenea i panni, e dicea quanto potea perché i Genovesi accostassino il viso nella spera, e quando gli ebbono appunto dove vollono, e Stecchi disserra la cateratta, e schiza a costoro ciò che avea beúto di sotto, e tanto piú quant’era la lavatura, che erano alquante dramme di feccia, che parve una doccia di mulino, per sí fatta forma ch’e’ Genovesi non ne perderono gocciola, che tutta l’ebbono tra sul viso e su’ loro vestimenti, ed eziandio in sul saggiuolo. Vedendosi costoro sí mal parati, vannosene verso una camera dicendo:
- Mala gramezza! e’ debbono essere due leccaori, che cuzí ci hanno bruttao in presenza del signore.
Il signore, e tutti quelli che v’erano, quasi per le risa piangeano. E ’l signore fece mandare a quelli Genovesi chi gli mettesse in bucato e lavasseli bene, dicendo come di ciò farebbe gran punizione. E pur lavato costoro il meglio che si poté, le robe non si poterono lavare cosí tosto, e non se le poteano mettere; di che ebbono materia di mandare a chiedere a messer Mastino due vestimenti, o a loro convenía stare nel letto per non avere che si mettere; onde il signore mandò loro due robe. Come Martellino sente che ’l signore ha dato due robe a costoro, manda a pregare il signore che gli ne dia una a lui, però che quella mostarda con molti sprazzi l’avea tutto bruttato. Il signore disse:
- Mo dagliene una, che nasca loro il vermocane, poiché mi conviene vestire chi m’ha sconcagà la mia corte.
Stecchi tornato nella camera sua, e Martellino con lui, al quale fu recata una roba presente Stecchi; e Stecchi considerando come li Genovesi e Martellino, per esser tutti lordi, aveano aúto le robe, dice:
- Oimè sventurato! egli era meglio che io fosse stato convolto in un privato, se per questo io dovea avere merito dal signore.
Li Genovesi lavati, con le robe donate dal signore, comparirono dinanzi a quello, dolendosi di quel cattivo villano che con sí brutto giuoco gli avea vituperati, pregandolo il dovesse punire per forma che gli altri non corresseno mai in simil follia. Martellino non era molto di lungi, udí ciò che costoro diceano al signore; e vassene a Stecchi, e diceli ciò che ha udito.
Dice Stecchi:
- Or bene: sai com’è da fare? io entrerò nel letto, e dirò che per questo fatto io ne sono per morire, però che le busecchie m’escono di corpo: cerca in quella mia bisaccia, e dammi un cuffia di seta che v’è; e io me la metterò dentro nella parte di sotto, e lascerò un poco del bendone di fuori, e tu fai il giuoco, e’ Genovesi veggendomi a quel partito, rimarranno contenti, e ’l signore forse mi donerà qualche roba, poiché l’ha data agli altri, e non a me. E però vattene al signore, e digli com’io sto grave; però che per molto ristrignere che io feci, per uscire uno granello di panico e non piú, la cosa si ruppe e, come vidde, uscí alla dilagata fuori per forma che le busecchie sono trascorse per uscirmi del corpo, e già una se ne vede di fuori: e se voi il volete vedere in quel medesimo luogo, e voi, e’ Genovesi, e tutti gli altri ve ne farà chiari.
Martellino con questo si parte, e truova messer Mastino che ancora avea li Genovesi innanzi; e dice:
- Signor mio, Stecchi è a mal partito, però che per ritenere di non uscire del corpo se non uno granello di panico, la cosa si ruppe, come si vide, e brievemente le busecchie gli escono di corpo; e di ciò ve ne vuol fare prova in quel luogo medesimo, acciò che questi gentiluomeni genovesi non credino ch’egli avesse fatto in prova quello che disavvedutamente è incontrato.
Messere Mastino, che altre volte avea saputo chi era Stecchi:
- Mo fosse già morto, sozzo rubaldo, che ha guasto a costoro tutte le loro robe; madiesí, che io gli voglio vedere uscire le budelle di corpo.
E presi li Genovesi per le mani, gli menò in sala, e postisi da parte, comanda che sia detto a Stecchi che di presente venga in sala. Martellino subito va, e acconcialo ch’egli era livido come un uomo morto; e sostenendolo che non parea si potesse azzicare, il menò nella sala, là dove tutto affannato fece reverenza al signore, dicendo
- Signor mio, io sto male.
Dice il signore:
- E tu lo meriti molto bene a fare sí fatte cattiverie nella mia corte.
Dice Stecchi:
- Io me ne ho la pena, e se non mi credete, io ve la mosterrò.
E’ Genovesi essendo presenti, dice il signore:
- Mostra ciò che tu vuogli, che io voglio che si veggia il rimanente di questa tua bruttura.
Martellino toglie una panchetta, Stecchi vi si reca a traverso col viso di sotto, mostrando il culattario al signore e a tutta la brigata. Martellino, scoprendo i panni con quelli di gamba ancora, del centro di quella luna tisica e nera si vede uscire uno bendone bianco, che parea uno busecchio; il quale Martellino recandosi in mano, dice:
- Guardate, signore, quanta sventura è venuta in questo vostro servidore di Stecchi, che per volere dare sollazzo a quelli che sono venuti a questa vostra corte, egli è guasto della persona in forma che non serà forse vivo di qui a vespro.
E comincia a tirare il bendone, il quale a ciascuno parea uno busecchio; e quando Martellino tirava, e Stecchi gridava:
- Oimè! - dolendosi quanto piú potea.
E cosí tirando appoco appoco, e Stecchi urlando, ecco uscire fuori la cuffia; allora Stecchi grida con le maggiori grida che può:
- Oimè! che ’l ventre se ne va.
La maggior parte della brigata l’aveano per fermo. Quando Martellino l’ha quasi tirato fuori, e Stecchi pare come morto, chiama alcuni:
- Deh aiutate, sí che vada a morire sul letto.
Molti corsono aiutarlo, e’ Genovesi dicono:
- O messer Martellino, deh lagaci vedere quel ventre.
Dice Martellino, che se l’avea messo in una tasca:
- O io l’ho mandato a sotterrare in sagrato.
Dicono i Genovesi:
- E mandà voi alla ecclesia sí fatte reliquie?
Dice Martellino:
- Cosí comanda il Papa che si faccia.
La mattina vegniendo, essendo stato Stecchi nel letto insino allora, e Martellino va alla beccheria, e compera un ventre di porco, e portalo alla scoperta che ognuno il vede; e con un medico innanzi che era molto bene informato di questa faccenda, tale che per tutto si tenea essere grandissimo medico di sofistica, ne vanno a Stecchi, avendo dato a intendere a ciascuno che voleano rimettere il ventre a Stecchi.
Quelli che ’l credeano, stavano trasognati; e quelli che s’erano avveduti del giuoco, piaceva loro sí questa novella che quasi scoppiavano delle risa. Entrato il medico e Martellino nella camera dove era lo sventurato Stecchi, vi stettono un pezzo, dicendo le piú belle novelle del mondo; e puosono che Stecchi l’altra mattina uscisse a campo sano e lieto, e col ventre del porco squittito in scambio del suo, lodandosi della bella cura del medico sofistico. E uscito della camera il medico da tutti era guatato; e molti il domandorono come stava Stecchi, e quelli dicea:
- Bene; e credo ch’egli uscirà domane fuori, però che io gli ho rimesso un ventre di porco, e già adopera come faceva il suo, o meglio.
La gente allora piú smemorava.
La mattina seguente Stecchi, che parea ancora affannato, comparisce nella corte, e ciascuno il guatava per maraviglia; e su la terza si rappresentò al signore, il quale sogghignando disse: - O io credea tu fosse sotterrato.
E chiama i Genovesi e dice:
- Mo guardà, se voi vedeste mai sí bel morto.
E quelli dicono:
- In fé di Dio, messere Stecchi, che poiché voi non avete il ventre, noi ci potremo piú fidare di voi, che voi non ci porré sconcagare. Ma come non sé vu morto? - Dice Stecchi:
- Perché uno valentre sofistico m’ha messo nel porco un ventre di corpo.
- Mo andave con Dio, - dicono li Genovesi, - che voi ci avé ben infardà, che Dio vi dia la mala perda.
Dice Stecchi:
- A voi non dich’io male, che ben vi venga: voi dite che io v’ho sconcagato; lo sconcacato par essere a me, che voi sete vestiti che parete d’oro, e io sono tutto affumicato, bontà di questo signore che ha vestito voi, e di me non mette cura; ma io me ne voglio andare, e voglio morire (se povero e nudo debba stare) innanzi a casa mia che morir qui -. Messer Mastino, udendo Stecchi, chiama un suo cortigiano e dice:
- Va’ reca a Stecchi la tal roba, che gli nasca il vermocane, dappoi che mi convien vestire lo sconcagadore e li sconcagadi.
E giunta la roba, gliela diede, la quale valse piú che tutte e tre l’altre che avea date. Li Genovesi, veggendo questo, dicono:
- Messere Stecchi, lo male non sta dove si pone: ma chi ha fare con Tosco, non conviene che sia losco.
E cosí rimasono messer Mastino con gran diletto di cosí fatta cosa, ed eglino tutti amici l’uno dell’altro rimasono; e mentre che quella festa durò, ebbono gran piacere; e compiuta la festa, ciascuno si tornò a casa sua, rimanendo a’ Veronesi che dire di cosí fatta novella piú d’uno anno: sanza che messer Mastino ne godé gran tempo, come signore che gran diletto avea di cosí fatte cose.

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