< Il Trecentonovelle
Questo testo è completo.
Novella CXVIII
CXVII CXIX

Il piovano da Giogoli ingannato da un suo fante, il quale con una gran piacevolezza li fichi buoni per sé mangiava, e’ cattivi portava al piovano; dopo non molti dí veduto il fatto, n’ebbono gran sollazzo.

*

Alla pieve a Giogoli, presso a Firenze, poco tempo fa, fu un piovano, che avea un suo fante, il quale quasi ogni cosa a lui opportuna facea, insino al cuocere. Essendo di settembre, e avendo in un suo orto un bel fico castagnuolo, e avea molti belli fichi; una mattina dice il piovano al detto fante:
- Va’ togli quel canestro, e va’ al tale fico, ch’io vi gli vidi molto belli ieri, e recamene.
Il fante tolse il canestro e andò al detto fico, e salendovi suso, veggendoli molto belli, e assai di quelli pengiglianti, che aveano la lagrima, si mettea in bocca, che parea ch’egli avesse a fare una sua vendetta; e quando cogliea, per suo mangiare, uno di quelli cosí fatti fichi che aveano la lagrima, dicea:
- Non pianger no, che non ti mangerà messere -; e mandava giú; e se mille fichi avesse mangiato con quella lagrima, a ciascun dicea: - Non pianger no, non ti mangerà messere -; e manicavaselo elli.
Nel canestro mettea fichi tortoni, o con la bocca aperta, che appena gli averebbono mangiati i porci; e portali al piovano; il quale veggendoli, dice:
- Son questi fichi del fico ch’io ti dissi?
Disse il fante:
- Messer sí.
E piú mattine il piovano mandò il detto fante, e mai non poté avere un buon fico. Una mattina fra l’altre, avendolo mandato il piovano per li detti fichi, dice a un suo cherico:
- Deh, va’ sotto la tale pergola, e guarda che ’l fante non ti veggia, e vedi di qual fichi mi reca, e quello che fa; che per certo altro che Dio non può fare che costui mi rechi de’ fichi di quel fico.
E ’l cherico va sotto la pergola e sta in guato, accostandosi piú al fico, dove il fante era, che potea. Essendovi su il fante, ebbe veduto troppo bene che, cogliendo quelli piú belli fichi, che piagnevano dell’inganno del loro signore, il fante, sanza partirli, se gli mangiava, dicendo a ciascuno:
- Non pianger no, non ti manicherà messere.
Quando il cherico ha veduto e udito il fatto, catalone catalone, se ne va e torna al piovano, e dice:
- Messere, e’ ci è la piú bella novella che voi udiste mai; il vostro buon garzone va troppo bene al fico, dove voi il mandate, e quelli belli che voi vorreste e che al becco hanno la lagrima, tutti gli manuca per sé; ed ècci peggio delle beffe che fa di voi: ché ciascuno che gli viene alle mani di quegli, dice: «Non pianger no, non ti mangerà messere»; e manucaseli tutti a questo modo.
Dice il piovano:
- Per certo questa è ben bella novella; ben dicea io, questo non poter mai essere -; e aspetta che lo amico torni co’ fichi, ed eccolo tornare.
Il piovano scuopre il canestro, e non truova se non fichi duri e a bocca aperta. Volgesi al fante:
- Deh morto sie tu a ghiado; quanto io ho assai sofferto! che fichi son questi che tu m’hai recato parecchi mattine?
Quelli risponde:
- Messere, son di quel fico che voi mi mandaste
Dice il piovano:
- E tu di’ vero, ma di quelli del lamento della Maddalena non me ne tocca niuno a me.
Dice il fante:
- Che hanno a fare i fichi con la Maddalena?
- Ben lo sai tu, - dice il piovano, - come tu hai consolato quelli che aveano la lagrima, che se’ stato sí pietoso del piagnere che faceano che tu gli hai tutti divorati.
Il fante si difendea; ma pur sentendo dire il piovano, con la testimonianza del cherico, ebbe per certo il guato essere scoperto, e dice:
- Messer lo piovano, quello che io facea io mel credea fare per vostro vantaggio; io vi recava de’ fichi che stavano divisi e a bocca aperta. E perché ve gli recava partiti e divisi? Perché voi sempre gli partite, quando gli mangiate; e perciò che non gli aveste a partire, e non duraste quella fatica; che quanto io per me, non ne parto mai niuno, e però mangiava gl’interi. L’altra ragione, il perché io ve gli recava a bocca aperta, tenendo per me e mangiando quelli della lagrima, è perché io conosco che le cose allegre vogliono esser de’ signori, e le triste de’ fanti. Io vi recava i fichi lieti e che rideano di sí gran volontà con la bocca aperta, che se avessino aúto denti, tutti si sarebbono annoverati; e per me mi toglieva li tristi di pianto e lagrimosi.
Dice il piovano:
- Per certo, tu m’hai rendute ragioni che tu déi molto ben sapere il Rinforzato -; e fra sé medesimo godea di questa novella; ma pur non sí, che trovando da ivi a pochi dí che ’l fante detto allegando un testo del Codico, gli facea danno in cucina, lo mandò via, essendo rimaso il detto piovano molto piú sperto e piú cauto.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.