< Il Trecentonovelle
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Novella CXXIV
CXXIII CXXV

Giovanni Cascio fa temperare Noddo, essendo a tagliere con lui, di non mangiare li maccheroni caldi, con una nuova astuzia.

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Noddo d’Andrea, il quale al presente vive, è stato grandissimo mangiatore, e di calde vivande mai non s’è curato, se non come s’elle andassono giú per un pozzo, quando se l’ha messe giú per la gola. E io scrittore ne potrei far prova, che avendo mandato uno tegame con uno lombo, e con arista al forno, e ’l detto Noddo avendone mandato un altro con un busecchio pieno non so di che, al fornaio, mandando Noddo per lo suo, gli venne dato il mio; il quale come gli venne innanzi, subito trangusgiando e l’arista e poi il lombo, tenendolo in mano intero, dandovi il morso entro, dice la donna sua:
- Che fa’ tu? questo non è il tuo busecchio; questo tegame è carne d’altrui, e non è la nostra.
Quando l’ebbe presso che recata a fine, facendo vista di non udir la donna, dà alla fante il tegame con quell’ossa che erano rimase, e dice:
- Va’ al fornaio, che mi mandi el mio tegame, che questo non è il mio.
Il fornaio, senza metter molto cura su la detta faccenda, cercò di quello dov’era il busecchio, e mandòglilo. E ’l fante mio va poi per lo mio tegame: il quale giunto, e scoprendolo, poco v’avea altro che ossa. Dico al fante:
- Va’ al fornaio, e sappi se io ho a far dadi.
Il fornaio si scusò dell’errore, e Noddo con molte risa si mangiò la cena sua e la mia, non curando caldo che fosse in essa, facendo tosto tosto. Or questo voglio aver detto, ad informazione di cosí fatta natura, venendo ad una piccola novelletta delle sue. Egli pregava pure Dio, quando fosse stato a mangiare con altrui, che la vivanda fosse rovente, acciò che mangiasse la parte del compagno; e quando erano pere guaste ben calde, al compagno rimaneva il tagliere: d’altro non potea far ragione. Avvenne per caso una volta che mangiando Noddo e altri insieme, ed essendo posto Noddo a tagliere con uno piacevole uomo, chiamato Giovanni Cascio; e venendo maccheroni boglientissimi; e ’l detto Giovanni, avendo piú volte udito de’ costumi di Noddo, veggendosi posto a tagliere con lui, dicea fra sé medesimo: «Io son pur bene arrivato, che credendo venire a desinare, e io sarò venuto a vedere trangusgiare Noddo, e anco i maccheroni per piú acconcio del fatto; purché non manuchi me, io n’andrò bene». Noddo comincia a raguazzare i maccheroni, avviluppa, e caccia giú; e n’avea già mandati sei bocconi giú, che Giovanni avea ancora il primo boccone su la forchetta, e non ardiva, veggendolo molto fumicare, appressarlosi alla bocca. E considerando che questa vivanda conveniva tutta andarne in Cafarnau, se non tenesse altro modo, disse fra sé stesso: «Per certo tutta la parte mia non dee costui divorare». Come Noddo pigliava uno boccone, ed egli ne pigliava un altro, e gittavalo in terra al cane, e avendolo fatto piú volte, dice Noddo:
- Omei, che fa’ tu?
Dice Giovanni:
- Anzi tu che fai? non voglio che tu manuchi la parte mia; vogliola dare al cane.
Noddo ride, e studiavasi; e Giovanni Cascio si studiava e gittava al cane.
Alla per fine dice Noddo:
- Or oltre, facciamo adagio, e non gli gittare.
E quelli risponde:
- E’ mi tocca torre due bocconi, quando tu uno, per ristoro di quello che hai mangiato, non avendo io potuto mangiare uno boccone.
Noddo si contendea; e Giovanni dicendo:
- Se tu torrai piú che uno boccone, quando io due, io gittarò la parte mia al cane.
Finalmente Noddo consentí, e convenne che mangiasse a ragione; la qual cosa in tutta la vita sua non avea fatto, né avea trovato chi a tavola il tenesse a siepe. E la detta novella piacque piú a quelli che v’erano a mangiare, che tutte le vivande che ebbono in quella mattina. Cosí trovò, chi sanza misura trangusgiava, chi gli diede ordine di mangiare consolatamente con una nuova esperienza.

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