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Ser Ciolo da Firenze, non essendo invitato, va ad un convito di messer Bonaccorso Bellincioni; èlli detto; e quelli, essendo goloso, risponde sí che e allora e poi mangiovvi spesso.
Ser Ciolo non ebbe minore volontà d’empiersi il corpo che avesse Ribi di vestirlo; però che, essendo in questi tempi vecchietto assai goloso e ingordo, facendo messer Bonaccorso Bellincioni, cavaliere famoso fiorentino, uno corredo a notabili cavalieri e altri, il detto ser Ciolo, avendo sentita la grida, deliberò di appresentarsi tra gli altri al detto convito; e se per forza non ne fossi cacciato, porsi alla mensa, e di quello mangiare ch’eglino. Movendosi con questo pensiero, si misse in via, e andò verso la casa del detto messer Bonaccorso, là dove, veduto nella via dinanzi all’uscio suo ragunarsi i cavalieri, e gli altri valentri uomeni, come è d’usanza, e quelli affretta i passi, e giugne e mescolasi tra loro.
E cosí stando, venuta che fu tutta la brigata, e detto loro che passino su, e ser Ciolo ne va su per le scale con loro insieme. Giunti in su la scala, ciascun si trae il mantello; e ser Ciolo prestamente si trae il suo. Dice uno de’ famigli della casa a un altro:
- Che diavol ci fa ser Ciolo?
Dice l’altro:
- Non so io; e’ fa una gran villania, ché io so bene che e’ non fu su la scritta.
E accostansi a lui e dicono:
- Ser Ciolo, voi non fuste invitato; voi farete bene d’andarvene a casa.
Dice ser Ciolo:
- Io farei un bell’onore a messer Bonaccorso! ché direbbe ogni uomo che per avarizia m’avesse fatto cacciare. Io per me ci sono venuto per bene, e non per far vergogna a persona: se io non sono stato invitato, non è mio difetto; la colpa è stata di chi l’ha aúto a fare; - e accostasi al bacino, accozzandosi con un altro, e toglie l’acqua alle mani.
E’ poterono assai dire e con parole e con cenni, che ser Ciolo si serrò sí con gli altri che, come furono per andare a tavola, si ficcò tra loro, e puosesi a sedere a mensa. Messer Bonaccorso, che ogni cosa avea considerata, mangiato che ebbe, domandò li suoi donzelli che cagione era stata, o di cui interdotto, che ser Ciolo fosse venuto quivi a desinare, e di quello che con loro contendea. Egli risposono che ’l domandavono chi l’avea invitato, e quello che rispose, e la cagione perch’egli era venuto. Di che messer Bonaccorso, udendo come ser Ciolo avea risposto a’ famigli, fu piú contento e del modo e della novella di ser Ciolo, e del desinare che ebbe, che di quello che ebbono tutti gli altri: e compiuta questa festa, l’altro dí mandò messer Bonaccorso per ser Ciolo, che desinasse con lui; e ripetendo le cose del dí dinanzi, con lui ne prese gran piacere, e chiamò li suoi famigli e in sua presenza e’ disse a loro:
- Ogni festa ch’io do mangiare altrui, fate che voi provveggiate di uno tagliere piú per ser Ciolo; e voglio ch’egli possa e debba sempre venire a mangiare ad ogni mio convito -; e voltossi a ser Ciolo, e disse: - E cosí v’invito.
E ser Ciolo accettò molto volentieri.
E per questo messer Bonaccorso il misse in tale andare che nessuno facea in Firenze convito che ser Ciolo non vi si rappresentasse, e che non facesse un tagliere d’avanzo per ser Ciolo, se vi venisse; e con questa preeminenza visse nella sua vecchiezza.
E però è uno volgare che dice: «Or va’ tu, e non fare dell’impronto.» Questo mondo è delli impronti, e ’l vizio della gola fa gli uomeni molto impronti; ma rade volte se ne arriva bene, come arrivoe ser Ciolo, il quale, mosso da questo vizio, udendo le vivande che messer Bonaccorso apparecchiava per lo detto corredo, bramoso di mangiare di quelle, si mise a pericolo di avere di molte mazzate, ed esserne cacciato con vergogna; ed egli si dice che fu il primo che disse, tornando dal desinare di messer Bonaccorso a casa sua, queste parole, o questo motto che vogliàn dire: «Chi va lecca, e chi sta si secca».