< Il Trecentonovelle
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Novella LXXIV
LXXIII LXXV

Messer Beltrando da Imola manda un notaio per ambasciadore a messer Bernabò, il quale, veggendolo piccolino e giallo, il tratta come merita.

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Egli è poco tempo che, essendo messer Beltrando degli Alidosi signore d’Imola, mandò un notaio per ambasciadore a messer Bernabò signore di Melano, il qual notaio avea nome ser Bartolomeo Giraldi, omicciuolo sparuto, piccolissimo, tutto nero e giallo, con gli occhi giallissimi, che parea se gli fosse sparto su il fiele. Giugnendo costui dove era il signore, trovò che era su una scala, per salire a cavallo, e ’l cavallo era ivi, e’ famigli già alla staffa. Fatta la riverenza questo ambasciadore cosí fatto, e messer Bernabò dalla prima volta in su, non che lo guardasse, ma tenea volto il viso in altra parte, e dicea:
- Di’ pur via ciò che tu vuogli.
E cosí, costui dicendo, e messer Bernabò mostrandoli le rene, chiamò a sé un suo famiglio e disse:
- Va’, sella il tale cavallo, e allungali le staffe quanto puoi, e menalo subito qui.
Il famiglio andò presto, e menò il cavallo nella forma che il signore avea detto. Come ’l signore vide il cavallo, chiamò il famiglio, e disse:
- Quando io vel dico, o accennerò, aiutate porre a cavallo questo ambasciadore, e non raccorciate le staffe.
E come disse, cosí fu fatto; ché messer Bernabò disse:
- Messer l’ambasciadore, sali su quel cavallo, e verra’ con mi parlando.
E detto questo, salí il signore a cavallo, e l’ambasciadore ciò veggendo, volendo salire sul cavallo delle staffe lunghe, e non potendo, fu da’ famigli postovi su, come un fanciullo. El signore cavalca tosto; e costui, non avendo modo né d’acconciarsi, né da raccorciar le staffe, cavalca come puote. Questo cavallo, che ’l signore avea fatto venire, sempre andava aizzato e intraversando; e messer Bernabò dicea:
- Dite ciò che voi volete; lasciate pure andare il cavallo.
E non lo guardava però in viso, se non poco. Costui s’andava con le gambucce spenzolate a mezzo le barde, combattendo e diguazzando; e quello cotanto che diceva, lo dicea con molte note, come se dicesse uno madriale, secondo le scosse che avea, che non erano poche. E messer Bernabò quanto piú il vedea diguazzare, piú dicea:
- Di’ pur oltre i fatti tuoi, ché io t’intenderò bene.
Brievemente egli il menò quattr’ore a questa maniera, che assai volte fu l’ambasciadore per rassegnarsi in terra, e mai non poté mettersi e’ panni sotto, né acconciarsi, sí che le cosce, non che le gambe, non portasse scoperte. Alla fine tutto lacero, come quello che avea poco prosperità, ritornò col signore alla corte, donde s’era partito, piú giallo e piú cattivelluccio che mai; e ’l signore, sceso che fu, disse che ben gli risponderebbe, e andò suso.
Quando l’ambasciadore ne scese, s’attaccoe agli arcioni, lasciandosi spenzolare; e non giugnendo a un braccio a terra, fu, per una volta che ’l cavallo diede, presso che caduto. Alla fine assai debolmente si posò in terra ferma; e mai non poté andare innanzi al signore, stando in Melano piú di quindici dí; e, s’ebbe risposta, gli fu fatta per altrui, e tornossi al signore che l’avea mandato.
Il quale, udito dal giallo ambasciadoruzzo come era stato trattato, s’avvisò che messer Bernabò aveva ciò fatto per la strutta e dolorosa apparenza del suo ambasciadore, il quale parea uno rigogolo piú tosto che persona.
Molto si dovrebbe piú guardare, quando l’uomo manda gli ambasciadori, che non si fa. Vogliono essere attempati e savi, e apparenti; altrimenti chi gli manda n’ha poco onore, e vie meno eglino che sono mandati. E cosí intervenne a questo ambasciadore giallo detto di sopra.

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