< Il Trecentonovelle
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Novella LXXXIII
LXXXII LXXXIV

A Tommaso Baronci, essendo de’ Priori, sono fatte da’ Priori tre piacevoli beffe.

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Essendo de’ Priori ne’ loro tempi Marco del Rosso degli Strozzi, e Tommaso Federighi, e Tommaso Baronci, e altri, avvenne, come spesso interviene, che volendo pigliare il detto Marco e Tommaso Federighi alcuno piacere d’alcuno de’ compagni, ebbono procurato Tommaso Baronci esser quello di cui gran piacere si potea pigliare. Essendo il detto Tommaso Baronci Proposto, uno suo paio di scarpette co’ becchetti grosse (essendo andato al letto) gli arrovesciorono una sera; e la mattina, levandosi, e sonando in fretta a’ collegi, mettendosi le dette scarpette al buio, essendo sollecitato, n’andò nella udienza; e là postosi a sedere, statovi gran pezza, tanto che tutti i collegi v’erano, Marco guardando a’ pie’ di Tommaso, disse:
- Che è questo Proposto? Vuo’ tu andare a cacciare con coteste scarpette?
Quelli guatale e dice:
- Come! che mala ventura è questa? Elle non paiono le mia, benché io non le veggo bene, se io non ho gli occhiali.
E cavossi gli occhiali da lato, e misseseli, e con essi si chinava quanto potea, facendosi verso la finestra; ciascun guatava che scarpette son quelle.
Dicea Tommaso:
- Elle non sono le mie, ch’ell’aveano i becchetti, e queste non l’hanno.
Alla per fine se n’andò alla camera sua, e là se le cavò, e guata e riguata; il Toso famiglio, che v’era presente, disse:
- Tommaso, queste scarpette sono state arrovesciate -; e mostrògli i becchetti, ch’erano dentro.
Dice Tommaso:
- Toso, tu di’ vero; che serebbe stato questo?
Quel rispose:
- Io non so; il meglio che ci sia è dirizzarle.
E tra egli e ’l Toso ebbono che fare, anzi che l’avessino addirizzate, ben insino a terza; e pur si passò Tommaso senza darsi piú briga. Marco e Tommaso il dí medesimo feciono un altro giuoco, che gli fororono l’orinale, dove, stando in sul letto ritto, orinava la notte, e riposonlo nel luogo suo; e la sera a cena, essendo su la mensa di molti capponi arrosto, Tommaso Baronci, come Proposto, diede uno cappone al Toso, e disse:
- Va’, mettilo nella cassa mia; e domattina il porterai alla Lapa, - cioè alla moglie.
Toso cosí fece. Marco, e Tommaso Federighi, veduto questo, quando ebbono cenato, segretamente feciono pigliare una gatta di quelle della casa, e tolto il cappone, che era nella cassa, vi missono la gatta, e dentro ve la serrarono. E cosí disposto e l’orinale e la gatta, aspettarono il tempo che la detta loro faccenda ordinata venisse a quel fine che desideravono.
Andatisi al letto tutti li signori, su la mezza notte e Tommaso si rizza sul letto, pigliando l’orinale, facendo quello che era usato. Marco, che era desto, dice:
- O Proposto, tu ci desti ogni notte con questo tuo orinare.
Tommaso stillava su per lo letto, e fece orecchi da mercatante, e appiccando l’orinale s’avvide ogni cosa esser ita su per lo letto, e colicandosi, appena trovò un poco d’asciutto. Levandosi la mattina, venendo il Toso ad aiutarlo vestire, dice Tommaso:
- Toso mio, io sono vituperato, e non so che mi fare; la cotal cosa m’è intervenuta; l’orinale mostra che sia rotto; istanotte, orinandovi entro, com’io soglio, tutta l’orina è ita per lo letto, e se i miei compagni veggono, diranno v’abbia pisciato.
Disse il Toso:
- Io v’ho detto piú volte che sarebbe meglio uscire un poco fuore del letto, però che ’l vetro scoppia molte volte, e spezialmente per l’orina, e ciò che v’è dentro s’esce di fuori.
Dice Tommaso:
- Ben la pisceremo! o perché terre’ io l’orinale, s’io dovesse uscir del letto?
Dice il Toso:
- E’ mi pare che ci sia pisciato troppo: - e stende il copertoio - ecco, io porterò le lenzuola a casa vostra, e dirò che me ne dia un altro paio.
Dice Tommaso:
- Non fare; se la Lapa le vedesse cosí conce, io non arei poi pace con lei; ma fa’ com’io ti dirò: portera’le a casa tua, e da’le a qualche feminetta, che le lavi in acqua fresca e asciughile, e non dire di cui siano, e poi le porterai a casa, ma fa’ che oggi siano asciutte, e poi le porterai, e allora vorrò che porti il cappone.
E Toso cosí fece, che portò le lenzuola, e fecele lavare, e subito le pose ad asciugare, e asciutte che furono, el Toso le rapportò a Tommaso, il quale el commendò della sollecitudine che aveva aúta, di far fare un bucato senza fuoco, e disse:
- Vie’ qua, andiamo per quel cappone, che la Lapa è una donna diversa, e s’ella dicesse nulla delle lenzuola, veggendo il cappone, si rattempererà un poco.
E cosí ragionando Tommaso col Toso, giunsono alla camera, e Tommaso aprendo la cassa, dov’era il cappone, e la gatta schizza fuori, e dàgli nel petto; il quale impaurito lascia cadere il coperchio, e fuggesi fuori tutto smarrito, che quasi era per perdersi affatto. Marco, e l’altro Tommaso, passeggiavano di rincontro per vedere a che la novella dovesse riuscire, e giunti dov’era Tommaso, dicono:
- Che avesti, che tu fuggisti fuor della camera?
Dice Tommaso:
- Io credo che fusse il nimico di Dio; e serà stato quello che m’arrovesciò le scarpette.
Disse il Toso:
- A me parve egli una gatta.
Disse Tommaso:
- Ben, che fu gatto maschio: e’ mi parve tre cotanti che una gatta.
Disse il Toso:
- Andiamo alla cassa, e datemi il cappone, ch’io il porti.
E tornano ad aprirla; e apertala, sul tagliere non era alcuna cosa.
Dice Tommaso:
- Oimè! che ’l Toso arà detto il vero, ch’ella s’ha manicato il cappone.
Dice Marco e ’l compagno:
- Onde v’entrò la gatta? ha la cassa gattaiuola?
E ’l Baroncio trae fuora le masserizie, e guatando dice:
- Io non ci veggo né gattaiuola, né buca.
Dice Tommaso Federighi:
- E’ m’avvenne una volta, ch’io fui de’ signori, com’ora, simil caso; e brievemente, quando io mandai il famiglio col tagliere, che ’l mettesse nella cassa, una gatta v’era entro a dormire: e’ non se n’avvedde, e mangiossi quello ch’era sul tagliere, e poi se n’uscí in questa forma che questa.
- Mala ventura, che cosí nuova fortuna non m’avvenne mai piú, e credo che da ieri in qua sia dí ozíaco per me. Or ecco, io non credo mai compiere questo officio che io ritorni alla Lapa mia, che con lei non ho mai paura; e qui ci starò oggimai con gran temenza, però che io credo che tra queste camere sia qualche mala cosa.
Vo’ dite pur: gatta, gatta: arrovesciommi la gatta le scarpette, e anco altro, che fu peggio?
Dice Marco:
- E’ può ben essere: a cotesto vagliono molte orazioni e paternostri; abbine consiglio con questi maestri in teologia.
E mandò tre dí per certi teologhi, li quali li dierono consiglio ch’egli orasse e dicesse paternostri otto dí dalle quattro ore insino a mattutino; e questo consiglio fu fattura de’ due compagni.
Il detto Tommaso, come invilito dalla paura, cosí fece che otto notti quasi non dormí, armandosi con molti paternostri, acciò che ’l nimico non entrasse piú nella cassa, e scemato quaranta libbre, finí l’officio, e tornossi alla Lapa, nelle cui braccia prese gran sicurtà, dicendole che non volea mai piú esser de’ Priori, però che ’l demonio era in quelle camere, e a lui avea fatto le cose scritte di sopra, raccontandogliele a una a una: e con questa credenza stette finché visse, che fu poco.
Per le simplicità di molti si muovono spesso de’ savi a fare cose da trastulli, per passar tempo; ché benché gli uomini siano signori, perché spesso hanno malinconie, pare che non si disdica fare simili cose per sollazzare la mente.

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