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24.
L'INCENDIO DEI BOSCHI
Un silenzio assoluto regnava nell'accampamento degli antropofaghi. Non si udiva che il lieve stormire delle fronde agitate da una leggera brezza che veniva dal lago, e, di tratto in tratto, nei lontani boschi, qualche urlo dei dingos. Pareva che i nemici dormissero profondamente, sotto i loro miseri tuguri di scorza d'albero; senza dubbio sapevano che nessuno avrebbe osato assalirli, specialmente ora che possedevano le terribili armi degli uomini bianchi e che il loro nuovo capo sapeva adoperarle.
— Dormono come ghiri — disse Cardozo al mastro, che ascoltava attentamente.
— Si credono ben sicuri, questi furfanti — rispose Diego. — Brigante di Coco!... Ti sveglierò io, ma che risveglio!... Questa sarà stata la tua ultima ora.
— Non perdiamo tempo, marinaio.
— Avanti.
Strisciarono verso la capanna preceduti dall'australiano, mentre la donna e i ragazzi si erano celati dietro ad un tronco d'albero di dimensioni colossali, che era circondato da un folto gruppo di mulghe, accendendo parecchi rami di banksia. Raggiunta quella catapecchia, con pochi colpi di coltello aprirono un foro attraverso le pareti composte di foglie e di rami intrecciati, ed entrarono. L'oscurità era così profonda che dapprima non riuscirono a scorgere nulla, ma non ardirono accendere l'esca. Ascoltarono, temendo che colà dormisse qualche australiano, ma si convinsero ben presto che non vi era alcuno. S'avanzarono colle mani tese e toccarono la mitragliatrice, poi parecchi fucili, poi delle casse, delle scuri, delle lancie.
— Le nostre armi — mormorò il mastro, con viva emozione. — Ah! briganti!...
— Zitto, marinaio. Forse qualcuno veglia al di fuori.
— Or lo sapremo.
S'avvicinò alla parete opposta e guardò attraverso alle fessure. Un solo fuoco ardeva dinanzi alle due capanne cinte di palizzate ed attorno ad esse vegliavano due selvaggi, forse per impedire la fuga al dottore. Attorno al tugurio contenente le armi, non si scorgeva invece alcuno.
— La fortuna è con noi — mormorò il mastro.
Si rizzò quanto era lungo ed additando all'australiano l'apertura poco prima fatta:
— Va', — disse, — ed incendia la foresta!...
Poi, mentre il selvaggio sgusciava attraverso l'apertura, s'avvicinò alle casse che contenevano le munizioni ed aiutato da Cardozo ne aprì due: una conteneva le cartucce della mitragliatrice, l'altra quella degli snider.
— Va benone — mormorò. — Aiutami, figliuol mio.
Afferrarono la mitragliatrice, la collocarono dinanzi alla porta, puntando le canne verso il centro del campo e la caricarono con cura; poi, raccolti tutti i fucili, li munirono di cartucce appoggiandoli alla parete.
— Ascoltami attentamente, Cardozo — disse il mastro. — Quando i selvaggi, sorpresi dall'incendio, irromperanno fuori dalle loro capanna, tu atterrami a colpi di scure questa parete, per lasciare campo alla mitragliatrice di macellare questi pagani d'inferno. Con pochi colpi puoi gettarla a terra, essendo debolissima.
— Lo credo, marinaio. E poi, cosa devo fare?
— Scaricare contro l'orda tutti questi fucili, poi ci lancieremo verso le capanne e libereremo il dottore, prima che i selvaggi possano radunarsi e darci addosso. Se terranno testa, continueremo il fuoco e ti assicuro che nessuno si avvicinerà alla mitragliatrice.
— Siamo intesi.
— Una parola ancora.
— Spicciati.
— Non dimenticare di portare con te un paio di fucili per armare il dottore e per difenderci meglio più tardi. Intanto riempi le tasche di cartucce, che le mie sono già gonfie.
— Tu pensi a tutto e...
S'interruppe bruscamente. Un grido era echeggiato nel campo degli antropofaghi.
S'avvicinò alla parete e guardò. Una luce rossastra si rifletteva sulle capannucce dei selvaggi e si allargava con grande rapidità, mentre si udiva un cupo ronzìo, a cui mescolavansi di quando in quando delle sorde detonazioni. Gli uomini che sonnecchiavano dinanzi alle due capanne, avevano scorto l'incendio che avvampava nella foresta ed avevano dato l'allarme.
— Cooo-mooo-hooo-èèè! — si udì a gridare ancora.
A quel grido, mandato con un'intonazione di spavento, gli antropofaghi irruppero confusamente fuori dai loro tuguri, credendosi sorpresi da qualche tribù nemica.
L'accampamento era già quasi tutto circondato dalle fiamme. Gli alberi della gomma bruciavano come colossali torce sibilando, tuonando, contorcendosi sotto i morsi del fuoco; i cespugli e le erbe fiammeggiavano come se contenessero del petrolio o del catrame, lanciando in aria nembi di scintille che sfilavano sopra il campo, ricadendo verso il lago, e nuvoloni di fumo nero e pesante. Tutta la foresta avvampava in alto, abbasso, a destra ed a sinistra, minacciando di distruggere l'intero villaggio degli antropofaghi, tramandando un calore intenso che cresceva di momento in momento e lanciando ovunque una pioggia di tizzoni ardenti. I selvaggi, spaventati, sorpresi da quell'immenso incendio che minacciava di circondarli, correvano all'impazzata per l'accampamento, urlando, urtandosi, rovesciandosi e calpestandosi.
— Atterra la parete! — tuonò il mastro.
Cardozo che aveva impugnata una scure, in quattro colpi schiantò i pali, poi con un urto irresistibile l'abbattè.
— Fuoco! — urlò il mastro.
La mitragliatrice s'infiammò tuonando, scagliando fra quella folla atterrita un uragano di proiettili, mentre Cardozo scaricava ad uno ad uno i fucili. In pochi istanti quindici o venti persone caddero dibattendosi fra le strette dell'agonia ed emettendo urla strazianti.
Era troppo per quei selvaggi. Si slanciarono in massa verso il lago, travolgendo nella loro pazza fuga ragazzi e donne e si gettarono in acqua. Alcuni però, più audaci, avevano impugnate le lancie e si erano scagliati verso la capanna. In mezzo a loro, Diego aveva scorto Niro-Warranga che teneva in pugno due rivoltelle.
— Ah! cane! — urlò. — Ti tengo finalmente!...
Scaricò la mitragliatrice su quel gruppo d'uomini. Dieci o dodici caddero; gli altri volsero le spalle e fuggirono fra i nuvoloni di fumo che invadevano il campo. Il mastro vide attraverso a quel fumo ondeggiare la rossa camicia di Niro-Warranga, quindi scomparire. Afferrò un fucile e si scagliò verso i fuggitivi, ma si arrestò subito.
— Le capanne bruciano! — aveva gridato Cardozo. — Salviamo il dottore!...
Si diressero correndo verso quella volta. Un grand'albero, già mezzo divorato dal fuoco, era rovinato presso le due capanne ed i suoi rami avevano comunicato l'incendio alla palizzata.
— Presto!... Presto!... — gridò Cardozo.
Nel momento che giungevano dinanzi alla cinta, un australiano usciva. Due grida irruppero dalle labbra dei marinai.
— Il kerredais!...
Quell'uomo era infatti lo stregone. Vedendosi dinanzi i due marinai, spiccò un salto agitando minacciosamente la scure di pietra che teneva in pugno, ma Diego lo aveva già raggiunto.
— Crepa, traditore! — urlò con voce strozzata il mastro.
Il pesante calcio del suo fucile cadde con sordo rumore sul cranio dello stregone, che scoppiò come una zucca. Il traditore girò due volte su se stesso, poi stramazzò a terra: era morto.
— Giustizia è fatta! — esclamò una voce, che fece trasalire i due marinai.
Si volsero e si videro dinanzi il dottore, che teneva per mano un altro uomo bianco.
— Dottore! — esclamarono Diego e Cardozo precipitandosi verso di lui.
— Grazie, miei prodi — diss'egli. — Sapevo che sareste venuti a liberarmi!
— E grazie anche da parte mia — disse lo sconosciuto.
— Ma chi siete voi! — chiesero i due marinai, al colmo della sorpresa.
— L'esploratore che noi cercavamo, il signor Benito Herrera — disse il dottore.
— Urrah!... Urrah!.. — urlò il mastro.
— Fuggiamo! — gridò Cardozo porgendo al dottore ed a Herrera i due fucili. — Gli australiani ritornano.
— Di trotto!... — disse Alvaro.
Si cacciarono in mezzo ai nuvoloni di fumo, attraversarono correndo uno spazio semiarso e sparvero sotto il bosco, mentre gli alberi che circondavano il villaggio rovinavano con immenso fracasso alle loro spalle, lanciando in aria miriadi di scintille e all'intorno una pioggia di tizzoni fiammeggianti.