< Il contratto sociale < Libro quarto
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Jean-Jacques Rousseau - Il contratto sociale (1762)
Traduzione dal francese di anonimo (1850)
Libro quarto - Cap. II
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Cap. II

Dei suffragii.

Dal capitolo antecedente si rileva, che dal modo in cui trattansi gli affari generali si può avere un indizio abbastanza certo dello stato attuale dei costumi e della salute del corpo politico. Più nelle assemblee regna l’armonia, vale a dire più i pareri si accostano alla unanimità, e più la volontà generale è dominante; ma i lunghi dibattimenti, le dissensioni, ed il tumulto annunziano l’ascendente dei particolari interessi ed il dechinare dello stato.

Questa cosa appare meno evidente quando due o parecchi ordini entrano nella sua costituzione, come a Roma i patrizi e la plebe, i cui piati tarbarono spesso i comizi, anche nei più bei tempi della repubblica; ma una tale eccezione è più apparente che reale: imperciocchè allora, pel vizio inerente al corpo politico, si hanno per così dire due stati in uno; ciò che non è vero dei due insieme, è vero di ciascuno distintamente. Ed infatti, pur nei tempi i più burrascosi, quando il senato non se ne immischiava, i plebisciti del popolo passavano sempre tranquillamente ed a grande maggioranza di suffragii, i cittadini avendo un solo interesse, il popolo aveva una sola volontà.

All’altra estremità del circolo l’unanimità ritorna, cioè quando i cittadini caduti nella schiavitù, non hanno più nè libertà nè volontà. Allora il timore e l’adulazione cambiano in acclamazioni i suffragii; non si delibera più, ma si adora o si maledisce. Tale era la vile maniera d’opinare del senato sotto gli imperatori. Qualche volta ciò facevasi com ridicole precauzioni. Tacito osserva1, che sotto Ottone, i senatori, coprendo; Vitellio di esecrazioni, affettavano di fare nel tempo stesso un rumore spaventevole, affinchè se mai per caso ei fosse diventato il padrone, non potesse sapere ciò che ciascun di loro aveva detto.

Da quelle varie considerazioni risultano le norme, con cui si deve regolare il modo di contare le voci e di comparare i pareri, secondo che la volontà generale è più o meno facile a conoscersi, e lo stato più o meno in decadenza.

Evvi una legge sola, che per la sua natura esige un consenso unanime, ed è il patto sociale, perchè l’associazione civile è l’atto il più volontario del mondo. Ogni uomo essendo nato libero e padrone di se stesso, niuno sotto qualsiasi pretesto non può assoggettarlo senza il suo consenso. Il decidere che il figlio di una schiava nasce schiavo, gli è decidere che non nasce uomo.

Se dunque, durante il patto sociale, trovinsi degli oppositori, la loro opposizione mon invalida punto il contratto, ma impedisce soltanto che non vi siano compresi: saranno stranieri infra i cittadini. Quando lo stato è instituito, il consenso sta nella residenza; chi abita il territorio, si sottomette alla sovranità2.

Fuori di quel contratto primitivo, la voce del numero maggiore obbliga sempre tutte le altre; è una conseguenza del contratto medesimo. Ma si chiede come un uomo possa esser libero, e costretto a confermarsi a certe volontà che non sono le sue. In che modo gli oppositori sono liberi, e sottomessi a leggi alle quali non diedero il loro consenso?

Io rispondo, che la questione è mal posta. Il cittadino annuisce a tutte le leggi, a quelle pur anche passate suo malgrado, e a quelle pure che lo puniscono ov’egli osi violarne qualcuna. La costante volontà di tutti i membri dello stato è la volontà generale: per essa sono cittadini e liberi3. Quando si propone una legge nella assemblea del popolo, precisamente non si chiede loro se approvino la proposizione o se la rigettino, ma se sia conforme o non alla volontà generale, che è la loro: ciascuno dando il suo suffragio, dice il suo avviso intorno a ciò, e dal calcolo delle voci si desume la dichiarazione della volontà generale. Quando adunque la vince l’avviso contrario al mio, ciò non prova altro se non che io mi era ingannato, e che ciò che io opinava essere la volontà generale, non era tale. Se l’avesse vinta il mio particolare avviso, io avrei fatto diversamente da quello che aveva voluto, ed allora non sarei stato libero.

È vero che ciò suppone tutti i caratteri della volontà generale pur consistere nella pluralità: quando cessano di consistere in quella, qualunque partito si piglì, non vi ha più libertà.

Nel dimostrare più sopra come alla volontà generale si sostituissero nelle pubbliche deliberazioni volontà particolari, ho sufficientemente indicato il modo praticabile onde prevenire un tale abuso, ma ne parlerò ancora in appresso. Riguardo al numero proporzionato dei suffragii per dichiarare quella volontà, ho pur dato dei principii, per mezzo de’ quali lo si può determinare. La differenza di una sola voce rompe l’uguaglianza, un solo oppositore rompe l’unanimità: ma tra l’unanimità e l’uguaglianza sonvi parecchie divisioni disuguali, a ciascuna delle quali si può fissare quel numero secondo lo stato ed i bisogni del corpo politico.

Due massime generali ponno servire per regolare quelle relazioni: una è, che più le deliberazioni sono importanti e gravi, è più l’avviso che la vince deve accostarsi alla unanimità; l’altra è, che più l’affare agitato richiede prestezza; © più si deve ristringere Ja differenza prescritta nella division dei pareri: nelle deliberazioni da terminarsi immantinente,, il soprappiù di una sola voce deve bastare. La prima di tali massime sembra più conveniente alle leggi, la seconda agli affari. Checchè sia, le migliori relazioni che dar si possano alla pluralità per pronunciare, si stabiliscono sulla combinazione di quelle.

Note

  1. Ist, 1, 85.
  2. Questa cosa deve sempre intendersi di uno stato libero; perchè altronde la famiglia, i boni, la mancanza d’asilo, la necessità, la violenza possono ritenere un abitante nel paese suo malgrado, ed allora il solo suo soggiorno non suppone più il suo consenso al contratto ed alla violazione del contratto.
  3. A Genova si legge sulle prigionì e sulle catene dei galeotti la parola libertas, Una tale applicazione della divisa è bella e giusta. Infatti non vi ha altri che i malfattori di tutti gli stati che impediscono il cittadino dall’esser libero. In un paese, in cui tutta quella sorta di gente fosse in galera, si godrebbe della più perfetta libertà.

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