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Jean-Jacques Rousseau - Il contratto sociale (1762)
Traduzione dal francese di anonimo (1850)
Libro terzo - Cap. XVI
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Cap. XVI

Che l'instituzione del governo
non è contratto.

Una volta che si è stabilito per bene il potere legislativo, bisogna stabilir pure il potere esecutivo, perchè quest’ultimo, il quale non opera se non per via d’atti particolari, non essendo dell’essenza dell’altro, ne è naturalmente distinto. Se fosse possibile, che il sovrano, considerato come tale avesse il potere esecutivo, il diritto ed il fatto sarebbono talmente confusi, che non si saprebbe più ciò che sia legge e ciò che nol sia; ed il corpo politico, così snaturato, sarebbe subito in preda della violenza, contra la quale venne istituito.

Tutti i cittadini essendo uguali per via del contratto sociale, tutti possono prescrivere ciò che tutti debbono fare, invece che nessuno ha diritto di esigere che altri faccia ciò che non fa esso medesimo. Ora, il sovrano istituendo il governo dà al principe propriamente quel diritto, indispensabile per far vivere e muovere il corpo politico.

Molti hanno preteso, che l’atto di un tale statuto fosse un contratto tra il popolo ed i capi che si impone, contratto per mezzo del quale si stipulassero fra le due parti condizioni tali, per cui l’una si obbligherebbe a comandare e l’altra ad ubbidire. Si converrà meco, io spero, essere questa una strana maniera di contrattare. Ma vediamo se possa sostenersi una tale opinione.

Primieramente, l’autorità suprema non può nè modificarsi nè alienarsi; e limitandola è un volerla distruggere. È cosa assurda, e contradditoria, che il sovrano si imponga un superiore; l’obbligarsi di ubbidire ad un padrone, gli è un rimettersi in piena libertà.

Inoltre è evidente, che quel contratto del popolo con tali o tali altre persone sarebbe un atto particolare; dal che ne viene, che quel contratto non potrebb’essere nè una legge nè un atto di sovranità e per conseguenza sarebbe illegittimo.

Si vede ancora, che le parti contraenti sarebbero tra sè sotto la sola legge di natura e senza alcun mallevadore dei loro reciproci impegni, il che in ogni maniera ripugna allo stato civile: colui che ha la forza in mano essendo sempre il padrone dell’esecuzione, tanto varrebbe di dare il nome di contratto all’atto di un uomo che direbbe ad un altro: «Io vi do tutto il mio bene con patto che me ne restituirete quel tanto che vi piacerà.»

Nello stato vi è un solo contratto, ed è quello dell’associazione: quello solo ne esclude ogni altro. Non si potrebbe ideare nessun contratto pubblico che non fosse una violazione del primo.

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