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Giovanni Ruffini - Il dottor Antonio (1855)
Traduzione dall'inglese di Bartolomeo Aquarone (1856)
Capitolo V
IV VI


CAPITOLO V.

Battaglia campale.


Sir John non era stato molto a casa, quando il rumore di ruote rapidamente avvicinantisi lo fece saltare in piè e correre alla loggia; e vide la sua carrozza ferma alla porta del giardino; e il suo uomo John, che dopo aver aiutato a scenderne un signore corto, grosso, di mezza età, lo conduceva a traverso il giardino. Sir John si affrettò a chiudere la porta fra la camera della Hutchins e l’anticamera, e ritornò al suo osservatorio in tempo per vedere il nuovo arrivato fermarsi a piè delle scale, levarsi il cappello, cavar fuori un fazzoletto bianco come neve, e asciugarsi lentamente la sua calva e grossa testa; e dar poi una rapida guardata a quanto potea da sè vedere della sua persona; quindi battuto in terra prima un piede, poi l’altro per scuotere alcune particelle di polvere da’ suoi verniciati stivali di pelle patinata, montar le scale con passo fermo. — «Ecco qualcosa di simile a un medico,» susurrò il Baronetto, mentre dava una squadrata più da vicino a quella larga onesta faccia d’inglese, a quel mento ben raso, e al rigoroso professionale abito nero, completato squisitamente dall’ampio merletto della camicia finamente piegata. Il cuore di sir John si allargò come un fiore battuto dalle prime brine, che si espande sotto il vivido raggio di un sole d’ottobre.

L’accoglienza fatta da sir John al forestiero fu cordiale quale il naturale e le abitudini di sir John permettevano. Gli stese l’indice e il medio della mano dritta in segno di benvenuto, ed anche persino fece le scuse pel disturbo che gli aveva dato. Il dottore inglese ricevette colla debita deferenza, fra il suo pollice e l’indice, le due dita stesegli, dando loro una lieve stretta da professore quasi tastasse il polso. Ciò fatto, il dottore Yorke, — tale era il nome del nuovo medico, giusto il contrapposto dell’altro — colla padronanza di sè, proprio di un uomo abituato a trattare con ogni classe di gente di qualunque nazione e a scoprire alla prima occhiata il dominante pregiudizio, come la dominante malattia, proseguì pregando sir John di non parlar d’incomodo. I suoi servigi erano, come di dovere, a disposizione di ogni malato in generale; ed egli era obbligato ad esser pronto per ogni emergenza. Nel caso presente poi, qualunque suo piccolo incomodo personale era più che compensato dall’onore di far la conoscenza di sir John Davenne (e qui i due signori si fecero un inchino) e dalla soddisfazione di essere, com’egli di tutto cuore sperava, utile a miss Davenne nel disgraziato accidente del quale gli era stato narrato dal servo.

Tutte queste cose erano d’accordo colle idee di convenienza che aveva sir John: e il sentimento di sollievo provato ascoltando il dottor Yorke era paragonabile solo a quello che prova un uomo che scampi alla soffocazione. Mentre faceva pausa il pingue medichetto per riprender fiato, sir John ebbe agio di benedire la sua buona fortuna che gli aveva inviato un uomo così bene educato. Da ultimo, finiti tutti i preliminari, i due Inglesi si misero a sedere; e sir John cominciò per disteso il racconto delle sue disgrazie. — L’imbarco a Civitavecchia, gli orrori della tempesta, lo sbarco alla Spezia (che tana quella Spezia! letti duri come pietre, e corti di un piede), e il viaggio per terra fino alla catastrofe del ribaltare. A sentire sir John, si sarebbe pensato che la tempesta del Mediterraneo, e i letti corti della Spezia erano stati preparati a posta per il suo personale fastidio. Egli non formulò alcuna particolare accusa, finchè non giunse a quello sfortunato soggetto del postiglione. Allora, dimentico della pietà usata la mattina, il Baronetto dichiarò che quel ribaltare era stato un atto deliberato, niente meno che un attentato deciso di assassinio. «Non mi richiedete i suoi motivi,» proseguì sir John riscaldandosi — perchè sir John aveva bisogno di adirarsi, e faceva ogni sforzo possibile per montare sulle furie, — «i suoi motivi? so forse io quali possono essere stati i suoi motivi? — Ma ci fu premeditazione, fredda premeditazione, signore; io ne ho una prova irrecusabile nell’indifferenza di quel furfante dopo consumata la scelleraggine. Credete forse che abbia pur alzato il suo dito mignolo per darci assistenza? No, signore, egli stette indifferente quanto i suoi cavalli. — Ma no, ho torto, le povere bestie tremavano di paura.»

Sir John descrisse poi il dottor Antonio precipitantesi su di essi come un razzo alla Congrève. «La più strana figura di medico che io abbia mai incontrato,» disse il Baronetto; «con una barba da zappatore francese, e un pan di zucchero in capo, proprio come un capo di banditi in un melodramma.» L’attenzione del dottore Yorke si fece doppia a questo punto: e l’angolo a sinistra delle sue labbra si armò come ad un sorriso, sia di complimento al talento descrittivo di sir John, sia di compiacenza a qualche singolare idea sua propria. «Questo dottor Antonio, se pur tale è realmente il suo nome, dice di esser medico; e senza il menomo complimento si getta sopra mia figlia, si pone ad esaminare il piede, dichiara che non v’è altro fuorchè una slogatura di caviglia, e senza neppur dirmi con permesso, s’incarica di ordinare che sia portata qui. Bene, signore,» proseguì sir John con enfasi irosa ed espressiva, «ciò non è tutto. Io naturalmente esprimo il desiderio di continuare il mio viaggio per Nizza, dopo poche ore di riposo. — Ore! esclama costui rivolgendomisi contro, dite meglio settimane! settimane! — e alle mie rimostranze, alla menzione di un periodo di tempo tanto mostruoso, l’oracolo pronunzia la sua profezia: che mia figlia non può esser traslocata per lo spazio di quaranta giorni almeno. — Quaranta giorni! cosa facilissima a dire per lui, ma non per me a sopportare in un luogo come questo; per non dir nulla del mio unico figlio capitan Davenne, che ci aspetta in Londra per la fine di questo mese, dopo un’assenza di dieci anni.»

— «Veramente la cosa è molto provocante!» osservò il dottor Yorke.

— «Non già che questa circostanza possa alterare il caso in questione,» aggiunse sir John in modo di condiscendenza; «ma io ne faccio la domanda a voi, dottore...»

— «Yorke,» suggerì il dottore.

— «Io ne faccio la domanda a voi, dottor Yorke; parlando a voi come a membro distinto nella medica professione — (il dottore Yorke s’inchina). — È egli probabile che una semplice slogatura possa impedire una persona dal viaggiare in una carrozza agiatissima, per lo spazio enorme di quaranta giorni?»

Il dottor Yorke sentendo a sè fatto un appello così diretto, cavò fuori della saccoccia una scatola d’oro massiccia, con sopra un’iscrizione: vi battè i tre colpi sacramentali, offerse tabacco a sir John, che non ne volle; ne tirò egli una presa; e dopo un istante di compiacenza e di meditazione, disse che a quella domanda non era facile rispondere come pareva a batter d’occhio. Generalmente parlando, una semplice slogatura si guarisce in una o due settimane; benchè potesse aggiungere di avere nel corso della sua pratica incontrato casi accompagnati da sintomi tanto aggravanti, da rendere necessario un assoluto riposo, per un tempo più lungo di quello menzionato dal Baronetto. Ora in quale categoria aveva a porsi la slogatura di miss Davenne? Questo era il punto in questione; e che nessuna cosa, proseguì il dottor Yorke, poteva decidere, salvo un’accurata ispezione del piede.

— «Questo esattamente,» fece eco sir John: «un’accurata ispezione di persona della professione ed esperienza vostra, è quanto io posso desiderare. Mi inchinerò volentieri alla vostra autorità.»

— «Dunque, sir John, men tempo perdiamo tanto meglio sarà,» osservò il dottor Yorke. «Si trova qui il signore Italiano?»

Sir John rispose di no.

— «Vi prego di mandarlo a chiamare immediatamente, perchè la sua presenza è indispensabile.»

— «Me ne dispiace, dottor Yorke,» rispose il Baronetto alquanto ritenuto. «Quando il dottor Antonio fece questa mattina la sua visita, disse di una chiamata avuta per un posto lontano, d’onde non era probabile potesse tornare prima di sera.»

— «È cosa assai strana!» sclamò il dottor Yorke: «non sapeva che avevate spedito a chiamar un medico in Nizza per far un consulto?»

Sir John, con imbarazzo crescente, fu obbligato a confessare che di ciò non aveva parlato al dottor Antonio.

— «Che Dio mi benedica, ma questa è una grande sconvenienza!» disse il piccolo signore cominciando a farsi molto confuso. «Non sapete, mio caro sir John, che è una regola, una regola canonica fra noi medici, di non esaminar mai il malato di un altro se non in sua presenza? Siamo in un bell’imbroglio,» aggiunse egli mentalmente fra sè.

— «Dottor Yorke, nelle attuali circostanze non potete dispensarvi da una mera formalità?» osservò sir John in tuon persuasivo; «siamo in Italia, sapete, non già in Inghilterra.»

— «La regola ha valore qui come là,» rispose quietamente il medico inglese. «Non è la mera formalità che pare a’ vostri occhi, nè un mero atto di cortesia. È accettata come legge, fra noi, per evitare abusi facili a sorgere se non ci fossero restrizioni. Voi sapete il proverbio — Troppi galli a cantar...»

— «Ah, siete qui?» s’interruppe egli in tono affatto diverso; «che fortuna! stavamo proprio rammaricandoci della vostra assenza.»

Queste ultime parole furono dirette al dottor Antonio, l’ombra della cui persona alta toglieva luce alla porta esterna. Il dottor Antonio era tornato più presto che non credesse; e passando a cavallo davanti all’osteria, gli era venuto come un dubbio, che il pan brustolito e il burro della mattina non fossero riusciti di facile digestione: e per assicurarsene tornava a far visita.

Le tempie tonde e prominenti di Antonio si erano contratte orribilmente, e un lampo d’ira splendè nei suoi occhi; — ma fu solo un istante: ed entrando nella sala, il suo contegno aveva ripreso la solita serenità e il suo placido sorriso. Il dottor Yorke si levò, stendendogli la mano, ad incontrare il suo confratello in medicina. Sir John si accorse, con suo dispiacere, che i medici si conoscevano, ed erano, secondo ogni apparenza, in ottima relazione fra loro. — Com’era di fatto. Eransi conosciuti quando il cholera menava strage in Nizza e nelle vicinanze; si erano incontrati per molti consulti in quella trista circostanza, e s’erano trovati a fianco l’un dell’altro presso molti letti di morte.

— «Come va, mio caro signore?» disse Antonio in atto lieto; «quanto son contento di potervi stringer la mano! Siete venuto a veder la signorina, eh? Andremo immediatamente da lei.»

— «Voi mi vedete,» disse il dottor Yorke desiderando torre ogni ambiguità alla sua posizione, «espressamente chiamato da sir John per fare consulto intorno a miss Davenne, col medico di miss Davenne, che siete voi, come ho il piacere di trovare. Son sicuro che il malato in così buone mani non ha bisogno affatto di me. Comunque, se non ci avete difficoltà...»

— «Neppur per sogno,» disse il dottor Antonio senza lasciar finire al suo collega la frase. «Per me è sempre un onore il sottoporre ad un giudice cortese e competente come voi siete, le misure che ho prese.» — Il dottor Yorke in segno di modesta preghiera accennò colla sua bianca mano grassotta. — «Sì, un onore, e permettetemi di aggiungere, un vero piacere,» seguitò il dottor Antonio. «Ma fra vecchi amici queste parole bastano, e temo di avervi già trattenuto di troppo. Sir John Davenne, se avesse avuto la bontà questa mattina di farmi conoscere che mi aspettava,» continuò il dottore in tono di voce espressivo e volgendosi in faccia al Baronetto, «voi non mi avreste trovato di qua lontano.»

La coscienza di sir John accrebbe il peso di queste parole; il quale tenne a sè la lingua, allegrandosi di non aver avuto tempo di parlare della sanguigna, secondo capo di accusa contro Antonio. «Son ora ai vostri comandi, dottor Yorke; ma parmi ci sia un altro punto da considerare prima di recarci da miss Davenne, ed è se sia, o no, preparata.»

— «Non è preparata per niente» disse sir John.

— «Bene; dunque,» proseguì l’italiano, «miss Davenne può forse spaventarsi, allarmarsi, cioè, come son disposti di fare i malati alla vista inaspettata di due medici accanto al loro letto» — («E c’è di che!» disse a parte il medico inglese). — «Può naturalissimamente supporre,» continuò Antonio in tuon grave, «che sia il suo caso qualcosa di molto serio.»

— «È vero! giustissimo, benissimo pensato. Davvero,» disse sorridendo il dottor Yorke, «una vecchia testa su giovani spalle, sir John.»

Sir John avrebbe voluto che il dottor Yorke non fosse tanto faceto.

— «Sarebbe pertanto prudente,» riprese l’Italiano «d’introdurre il dottor Yorke in qualità di mio amico.»

— «Nè v’è bugia,» interpose il dottor Yorke.

— «Un amico mio, a caso incontrato mentre ritornava in Nizza, e del cui parere mi trovavo felice di prevalermi.»

Essendo piaciuta la proposta, sir John passò da sua figlia ad annunziarle la visita concertata.

Appena sir John ebbe lasciati soli i due medici, Antonio disse: «Devo profittare di questo momento per avvertirvi che il caso è molto serio; niente meno che una frattura alla gamba, e una terribile slogatura al piede.»

Il dottor Yorke contrasse le labbra, sclamando: «Ahi! ahi, male assai, male assai!»

— «Sì, davvero,» proseguì Antonio, «una complicazione spiacevolissima. Non volendo spaventare la mia malata, giovine creatura facile ad esaltarsi, le dissi una slogatura di caviglia.» — («Buon’idea è stata questa,» interruppe l’Inglese). — «E mentre stava per riferire al padre la natura reale del caso, mi parve così atterrito il vecchio uomo, che mi mancò il cuore; tanto più che sapevo esser egli condannato a restare in questo luogo, fuor di mano e in mezzo ad estranei. Ora che ci ripenso,» continuò Antonio, «forse ebbi torto; e se credete di avvertirlo del vero...»

— «No, davvero,» interruppe il piccolo signore in gran fretta. «A che servirebbe il farlo? Avete agito da quella brava persona che siete;» e prendendo la mano ad Antonio, il piccolo dottore la strinse cordialmente. La Hutchins interruppe le sensibilità del medico inglese, annunziando che la signorina era pronta a riceverli. La seguirono, ed entrarono nella camera di miss Davenne a braccetto col dottor Antonio, per rimuovere qualsiasi dubbio della loro amicizia. L’Italiano presentò formalmente l’Inglese, come suo collega e amico intimo. Il dottor Yorke seguì l’avviamento dato, e disse una quantità di finezze alla signorina che aveva fatto al nuovo medico un’accoglienza gentile, ma fredda. L’ispezione del piede durò appena un minuto. Dopo poche domande fatte dal dottor Yorke più per forma che per altro, e dopo che ebbe espresso il suo piacere nella previsione del di lei pronto ristabilirsi, i due dottori si ritirarono, e così pure sir John.

Trovarono la tavola imbandita nell’anticamera, e servita una succulenta refezione — grazie al provvido John, il quale aveva profittato della sua corsa a Nizza per riportare una provvista di carne, thè e burro fresco, sufficiente per sei mesi; e aveva stivato ogni buco della carrozza di tutte le delicatezze da tavola che si potè procurare, tanto per mangiare che per bere. Sir John e il dottore inglese soli si sedettero a colazione, il dottor Antonio avendo rifiutato di accedere all’invito di unirsi a loro. Antonio si pose in modo da veder di fronte tanto sir John che il Dottore; e dopo un po’ di silenzio, rivolse a questi la parola:

— «Siccome ho alcuni impegni,» diss’egli, «che mi tolgono il tempo, chieggo permesso di entrare immediatamente nell’argomento che ci ha riuniti. M’importa anche la presenza di sir John Davenne.» A quest’annunzio le narici di sir John si arricciarono marcatamente. «Per mettervi in corrente del caso,» continuò Antonio, «ne ricapitolerò brevemente le circostanze fin dal principio, poi esporrò il corso...»

— «Mio caro dottor Antonio, è affatto inutile,» interruppe il dottor Yorke pulitamente frettoloso; «lo stato soddisfacentissimo della vostra malata fa testimonianza più che sufficiente del corso magistrale da voi seguito.»

— «Grazie,» disse il dottor Antonio, «ma io ho le mie ragioni per desiderare di procedere in questa materia con quanta maggiore regolarità e metodo sia possibile. Volete far grazia di permettermi di andare innanzi per la mia via?»

— «Certamente, certamente,» rispose il dottor Yorke prevedendo la tempesta nell’aria.

— «Quando vidi la prima volta la signorina,» continuò l’Italiano, «il che fu immediatamente dopo la disgrazia, la trovai giacente per terra, svenuta affatto. Riuscendo vani gli usuali ristorativi, nè essendovi alcuna esterna ingiuria visibile per ispiegare il prolungato svenimento, temetti una concussione nel cervello, e mi stava preparando a cavarle sangue, quando si riebbe; e colle esclamazioni diresse l’attenzion mia sul suo piede dritto. Esaminatolo, trovai che si era slogato la caviglia, come vi menzionai prima che la visitaste.»

Il dottor Yorke fece un espressivo cenno di capo.

— «Le avvolsi il piede come meglio ho potuto con fazzoletti, e corsi a casa a cercar l’occorrente per fasciarglielo nel miglior modo. Avete veduto la fasciatura del piede: ha incontrata la vostra approvazione?»

— «Pienissimamente,» disse il dottor Yorke, «non disgraderebbe un chirurgo di prima classe — una rara attitudine che sarebbe bene possedessero molti più dei nostri medici.»

Il dottor Antonio fece un lieve inchino, e seguitò.

— «Allora feci porre la signorina sopra una specie di lettiga — l’unico modo di trasporto che potesse sopportare; e la feci trasportare in questa casa, avvertendola che non tentasse alcun movimento, per tema di spiacevoli conseguenze. Credete voi che io sia stato troppo meticoloso?»

— «No, no, mio caro,» disse il dottor Yorke, che ad ogni dettaglio sentivasi crescere il desiderio di prevenir lo scoppio della tempesta; «le cautele non sono mai troppe, nè voi siete uomo da far un gigante da un nonnulla. Il piede è un membro troppo delicato,» continuò volgendosi a sir John, «tanto pieno di legamenti, di tendini...., in una parola, è una cosa mirabilmente intricata. Trattare un piede, gli è come camminar sulle uova.»

— «Sir John Davenne,» continuò Antonio, «era naturalmente ansioso di proseguire il viaggio, e io conobbi esser mio debito di dirgli immediatamente che, per quaranta giorni almeno, la signorina non era in caso di poter viaggiare. Credete che abbia esagerato quanto al tempo?»

— «Vorrei poter dir , vorrei poterlo,» interruppe il medico inglese, ma non posso; sono costretto a convenire che non potrà muoversi di qui per molti altri giorni ancora.»

Sir John mandò fuori un sospiro, e il lieve raggio di sole apparitole in faccia, svanì.

— «Tutto questo,» seguitò Antonio, «accadeva sabato nel pomeriggio. La domenica mattina di buon’ora trovai la malata tutt’altro che bene, irrequieta, assetata, con labbra aride, insonne, eccitata assai, e col polso a centoventi pulsazioni al minuto. Non esitai un momento, e...»

— «Le cavaste sangue, naturalmente,» suggerì il dottor Yorke.

Sir John in questo momento si sentì spinto ad odiare il suo connazionale.

— «Sì, le cavai sangue,» soggiunse Antonio. «Avreste fatto altrettanto?»

— «Necessariamente: i sintomi lo esigevano imperiosi.»

— «Alle sei pomeridiane la febbre era diminuita; e stamane, dopo riposata bene la notte, sparita affatto. La malata, come voi dite, va in modo soddisfacente, quanto potevasi aspettare. Ora non ho altro ad aggiungere,» conchiuse l’Italiano.

— «Ed io,» disse il dottor Yorke con una vivacità diretta a calmare la giusta irritazione del dottor Antonio, e a condurre sir John a comprendere la necessità di riconoscer in qualche modo i servizii prestati, — «ed io non ho altro a dire, se non... proseguite, e prosperate come avete cominciato.»

— «Vi ringrazio,» disse il dottor Antonio con alquanta sostenutezza. Poi, volgendosi a sir John, aggiunse: «Spero che siate soddisfatto, signore.» Il Baronetto, non sapendo quasi che dirsi, fece con quanta maggior grazia potè un inchino.

— «Ed ora,» riprese il dottor Antonio levandosi, «mi resta solo a dire che io rimetto la mia malata in mani più abili delle mie, e vi auguro il buon giorno.»

— «Voi non pensate certo quello che dite, mio caro collega,» disse il dottor Yorke, sentendo che tutto era perduto. E il buon uomo era così turbato, che la forchetta con suvvi un pezzo di prosciutto restò sospesa fra il piatto e la bocca; mentre i suoi occhi spalancati vagavano dal Baronetto al bruno viso dell’Italiano.

— «Scusatemi, dottor Yorke, ma io penso interamente come dico. Ho ragioni per me perentorie di agire come faccio. Un medico, per poter bene adempiere l’incarico affidatogli, deve avere la volontà libera da impedimenti, e la mia non lo è; dee posseder la fiducia non solo del malato, — e qui ho fortuna; — ma anche di quelli che hanno autorità su di esso; e questa invece mi manca. Sir John Davenne non ha in me fiducia.»

Il dottor Yorke tentò di parlare.

— «Accordatemi ancora un momento,» disse Antonio con cortese sorriso a lui rivolto, «e ho terminato. Sir John Davenne, ripeto, non ha in me fiducia. Io noto solamente il fatto; non me ne lamento. La miglior prova di questa mancanza di fiducia, si è la vostra presenza in questo luogo; la presenza di un medico senza darmene avviso. La mia condotta in questo stato di cose, la sola consentanea a quella che devo al malato, e che devo a me stesso, e alla dignità della nostra professione, è di ritirarmi; e questo io faccio senz’ombra di malevolenza; al contrario, nel miglior accordo possibile con tutti.» E dando in fretta una stretta alla mano stesagli dal dottor Yorke per trattenerlo, l’Italiano fece un inchino a sir John, e se ne andò senza umiliazione e senza alterigia; piuttosto con mestizia. Il dottor Yorke corse alla loggia; e vi giunse proprio in tempo per veder l’amico che si ritirava, e spariva per la porta del giardino.

— «Siamo in un bell’imbroglio!» mormorò il dottor Yorke nell’atto di riprendere il posto a tavola, con una faccia — quale spesse volte l’avea fatta fare a’ suoi malati — colla faccia di chi abbia ingojato una disgustosa medicina. A questo seguì un silenzio sgradevole: rotto alla fine dal dottor Yorke, che disse: «È una vera disgrazia, che non abbiate parlato al dottor Antonio della vostra intenzione di mandarmi a chiamare!»

— «Non ne vidi la necessità,» rispose seccamente sir John. «Che il dottor Antonio abbia intrapresa la cura di mia figlia, è stato un caso, di cui si è abilmente prevalso per trarne il miglior vantaggio possibile.»

Benchè uomo di mondo, occupato esclusivamente di far la sua fortuna, e, come tale, disposto a menarla generalmente per buona ai capricci dei suoi clienti, specialmente ricchi: il dottor Yorke era pure uomo di sentimenti; e a dispetto di tutti gli sforzi a tenerli giù, questi sentimenti, come briosi cavalli in arnese, a volta a volta scalpitavano, caracollavano e lo trascinavano via, come adesso quando intese che sir John era davvero un vecchio ingrato Baronetto inglese. Mandando fuori un «oh!» che suonò come un lamento, il dottor Yorke pigliò una presa di tabacco ab irato; e disse alquanto incalorito: — «Permettetemi di dire che in questo andate pienamente errato. Il dottor Antonio è men capace di chicchessia di agire per sordidi motivi.»

— «Davvero?» rispose il Baronetto lasciando ad un tratto sfogare tutto il malumore accumulato nell’ultima mezz’ora. «Ho piacere di sentirlo dire. Sono pronto a fargli credito come a modello di disinteresse. Ma che farci, se mi fanno male le sue maniere presuntuose, e se non voglio soffrir più a lungo la sua aria di superiorità? Non sono forse libero di scegliermi il medico? Volete ora farmi il piacere, o signore, di abbandonar questo argomento?»

— «Come vi piace,» rispose freddamente il Dottore e scuotendo leggiermente il capo quasi per dire: — A che servono le ragioni? — «ma permettetemi appunto un’ultima domanda: credete voi che miss Davenne possa fare a meno di assistenza di medico?»

— «Confido nella vostra,» riprese sir John.

— «Certamente,» disse il dottor Yorke con notevole esitanza, «sino a quanto siano consigli per lettera, e possan bastare visite di tratto in tratto; — una per settimana, supponete, io sono a vostra disposizione.»

— «Non potete restar con noi,» disse sir John incominciando a scoraggirsi, «per intraprendere la cura di mia figlia? La rimunerazione...,» egli proseguì alteramente.

— «Non dite parola di questo,» interruppe il piccolo signore rapidamente. «Vorrei di tutto cuore poter rimanere, o che foste più vicino a Nizza per potervi trarre dalla difficile posizione. Ma mi è cosa affatto impossibile il restar qui, non fosse che per un giorno. Ho in Nizza una quantità di malati che non posso lasciare. Lord B... con forte attacco di gotta, malato che è da vent’anni mia pratica, — e vedete non si dee abbandonare; poi c’è il viscontino F... con la rosolia; — sua madre, una povera creatura sofferente di nervi, lo ama perdutamente; si spaventa per ogni nonnulla; ha bisogno di essere assicurata ogni due ore che il fanciullo va bene e mi tiene continuamente in moto. Questi malati, vedete, non posso lasciarli, è impossibile.»

Benchè grandemente sconcertato, sir John non pose neppure un momento in dubbio la validità delle scuse; e quei due nomi aristocratici caddero come due spruzzi d’olio sopra la ferita inflittagli dal rifiuto del dottore Yorke. Sarebbe stato così paziente il Baronetto se le nominate persone fossero state un M.r Smith, o un M.r Brown?

— «Poichè dunque la cosa sta così, potreste voi raccomandarmi alcun medico nel vicinato?» domandò sir John, dopo un momento di riflessione. Il Dottore si fregò la fronte con violenza, rivolse gli occhi a terra quasi volesse studiarvi una carta geografica, poi rispose:

— «Per dieci miglia intorno, in verità potrei dire in tutta la Riviera, non c’è medico paragonabile al dottor Antonio.»

— «Eccoci di nuovo col dottor Antonio!» interruppe dispettosamente il Baronetto; «nominatemi qualunque altro fuori di lui.»

Il dottore Yorke ricorse di nuovo alla sua scatola di tabacco per averne consiglio. «Vorrei poterlo fare,» disse, «ma uomini come questo medico italiano non crescono ad ogni svolta di strada. Potrebbe passar per inglese; vedete come parla inglese! Sì, dovrebbe esser un inglese. Certo, la sua apparenza e i suoi modi sono tanto strani che non mi maraviglio vi abbiano urtato. Lo intendo benissimo; tuttavia la signorina, che in tutto questo ha ad essere consultata la prima, pare soddisfatta di lui.»

A questo punto il dottor Yorke si fermò, quasi aspettando risposta; e sir John fu costretto a fare un involontario inchino di consenso.

— «Punto importante,» riprese il dottore, «un malato soddisfatto — con la mente in calma — questa è considerazione principalissima, sir John; è tale da meritare il sagrifizio di ogni piccola cattiva impressione di prima vista.» E proseguì il Dottore, ripreso fiato: «La miglior cosa, a parer mio, sarebbe di accomodarsi con questo medico italiano, e indurlo a ripigliar le visite.»

— «Ripigliar le visite!» esclamò l’inglese a un pelo dall’uscir dai gangheri; ma ricordandosi in tempo, che non conveniva a un suo pari di entrar in volgar contesa con un uomo come il dottore Yorke, che potea vendicarsi facendo il ritratto di lui a’ suoi malati di Nizza: «andarlo ora a chiamare, dopo l’accaduto; espormi all’umiliazione di un rifiuto! — abbassare la mia dignità con questo puntiglioso forestiere maledetto!»

— «Via, via,» disse il dottore Yorke in modo conciliante; «chi parla di umiliazioni, chi dice che abbiate a chiedere alcunchè? Son uomo da consigliare sir John Davenne a fare alcun passo indegno del suo carattere e della sua condizione sociale? Che ci sarà a ridire, se accomodo quest’affare, a contento di tutte le parti, mentre voi restate cheto e neutrale? se vi garantisco che la proposta suggerita sarà accolta con... con gratitudine?»

La parola gratitudine, caduta appena nel calor della discussione, e tosto mentalmente rivocata, contribuì al buon esito della diplomazia del dottor Yorke, più di tutta la sua eloquenza, che non fu poca. Sir John si sentì, come per magia, rimesso sul suo piedestallo, o cavallo di legno; la sua superiorità, l’onore che la sua relazione potea dare, erano confessati del pari apertamente; e l’inferiorità del suo avversario vi era implicata, se non riconosciuta. Il dottore Yorke vide e seppe far valere il suo vantaggio con gran finezza di tatto. Sir John, dopo una mostra decente di resistenza, si calmò, e diè facoltà al suo compatriota di negoziare il ritorno del dottore Antonio, con una sola condizione: il dottore Yorke dovea promettere di avere preso sopra di sè l’incarico di dichiarare, da parte dell’Italiano, che il dottore Antonio non aveva avuto alcuna intenzione di offendere. Con questa intesa, il medico plenipotenziario, dato uno sguardo di incertezza al sole, si armò d’un ombrello e uscì in traccia del dottor Antonio.

Il dottor Antonio si era ritirato alla sua tenda, o in altre parole, era tornato a casa; e rimasta la porta spalancata, il suo collega medico lo trovò che tirava di scherma disperatamente con un qualche nemico immaginario, rappresentato questa volta da una parete della sua sala di ricevimento. «Modo eccellente di sbarazzarsi del proprio malumore,» disse tutto ansante il piccolo medico; «benchè sia un lavoro un po’ duro in quest’ora sì calda.»

— «Ora calda!» disse Antonio, «ma fa un fresco piacevolissimo.»

— «Uf! permettetemi di chiudere questa finestra, se non vi spiace; mi trovo in un vero bagno di sudore. Grazie. Ci troviamo in un bell’imbroglio!» aggiunse fra sè: e dato uno sguardo ad Antonio, non si assise, no, ma cadde sopra una sedia.

— «Bellissima prova, avventurarvi per tanta strada al sole, voi che lo avete tanto in orrore!» dise Antonio. «Che volete prendere? un bicchiere di vecchio sherry, o rosolio; o, poichè siete tanto riscaldato, un po’ di vin caldo?»

— «No, vino, no; un bicchier di limonata, se volete. Uf! queste sedie non sono delle più soffici, mio caro amico,» disse il dottore Yorke facendosi vento col fazzoletto.

— «Non sono comode, eh» disse Antonio sorridendo. «Come avete lasciato miss Davenne?» domandò spremendo un limone fresco in un bicchiere.

— «Non sono di sasso come voi,» rispose il dottore Yorke incominciando il suo attacco; «così non la visitai prima di venir qui. Non ebbi cuore di andare a dirle che l’avevate abbandonata!»

— «Povera colomba!» disse Antonio con una commozione che non procedeva certamente da un cuore di sasso! «gentile come un agnello, e per di più tanto sensibile.»

— «Sì,» disse il dottor Yorke freddamente, «voi avete avuto tempo di far tutte queste scoperte.»

— «Ella mi rimpiangerà, ne son sicuro.»

— «Senza dubbio,» disse il piccolo dottore contento; «e quel povero sir John! è impossibile non sentirsi commosso anche per lui. Non ho mai in vita mia veduto un uomo tanto imbarazzato.»

— «Per qual motivo?» domandò l’Italiano, gittando zucchero nel bicchiere di limonata.

— «Non vi è nessuno tanto cieco, quanto chi non vuol vedere. Voi lo abbandonate e io non posso fermarmi. Che sarà pertanto di quella cara e bella creatura di sua figlia?»

— «Voi non potete fermarvi!»

— «È impossibile. Devo tornare a Nizza questa sera. Ci ho tanti malati.»

— È una vera contrarietà!» sospirò Antonio, «una vera sventura! Ne sono dispiacentissimo, proprio dispiacentissimo per la povera signorina. Quanto a quella ristecchita vecchia incarnazione di superbia di suo padre, ha incontrato quanto si merita. Non vidi mai una vecchia mummia così dura, egoistica, ostinata, arrogante e insensibile.»

Il dottor Yorke alzò le spalle, quasi per ripararsi da questa pioggia di epiteti.

— «Se sua figlia fosse stata una mia sorella,» continuò il dottor Antonio, «non avrei potuto far di più per essa; e quale contraccambio ne ho avuto da questo degno gentiluomo! Fin dal principio non altro che contrarietà, sfiducia, contraddizione, insolenze, e Dio sa che altro ancora.»

— «Convien compatirlo, mio caro collega,» interpose il dottor Yorke in modo conciliante: — «forza d’abitudine — gente d’alto rango, sapete; — una delle prime famiglie d’Inghilterra.»

— «Corbezzoli!» esclamò il dottor Antonio tutto in furia, «e che m’importa? Tutta l’Inghilterra adori pure il suo rango e la sua famiglia; io non amo queste storie; io sono fatto ad immagine di Dio, così com’egli è, e non voglio essere calpestato da alcuno, foss’anco venti volte più ricco e grande di lui. Voi inglesi siete una razza fiera; — tanto meglio; — sono altiero anch’io e amo che ognuno conosca il proprio valore. È un nobile orgoglio fondato sulla coscienza del proprio merito, questo che esclude ogni riguardo dovuto all’altrui dignità?»

— «Certo no,» osservò il dottor Yorke colle mani appigliate al rispettabile collo del suo panciotto, girando i pollici prima in un senso poi in un altro.

— «Almeno una piccola gentilezza,» riprese a dire l’Italiano, «quali sogliono usar l’un coll’altro persone affatto estranee fra loro, mi pare che avessi diritto di esigerla. Se quest’uomo avesse avuto un atomo di sentimento, o di affetto, se avesse avuto riguardo alla relazione in cui ci trovavamo l’uno rispetto all’altro; perchè, in fin dei conti, chi era obbligato io o lui? aveva egli a me fatto servizio, o io a lui? Vedo una carrozza rovesciata; mi affretto a correre in ajuto; io...; ma, ora che ci penso, forse fu una intrusione la mia. Sì, sì, sicuramente! pazzo che fui a non leggerlo immediatamente in viso al vecchio! Sì, egli aveva ragione. Che diritto aveva io d’occuparmi del piede della signorina e di fasciarlo, e di fare quel che feci, senza chieder prima licenza a quest’Inglese potentato? Quando lo rivedrete, vi prego di fargliene le mie scuse sincere, e dirgli che non peccherò mai più in questo verso. Ch’io sia frustato se lo faccio di nuovo! Possono d’ora innanzi rompersi e piedi e braccia e collo le signore inglesine, ma non esibirò più ajuto in tali strette.»

Avete mai veduto un abile pescatore alla canna, con un grosso salmone all’amo; avete mai guardato come abbandoni al pesce infuriato tutta la lunghezza dello spago senza il minimo ostacolo; anzi abbandoni spago e canna quanto più può, incoraggiando la sua preda a consumar le sue forze; e come aspetti il momento che siasi esausto per qualche vigorosa scappata, e quindi, con un tratto abilissimo, gitti la sua preda palpitante e perduta sulla riva? Nell’istesso modo l’astuto dottor Yorke lasciò che il suo giovine amico continuasse senza interruzione la sua filippica, dando alla sua ira spago abbondante, e attendendo nello stesso tempo il favorevole punto per dare il colpo e tirarlo a terra d’un tratto.

— «Ma la signorina,» disse il dottor Yorke, profittando della prima pausa: «voi non dite motto della signorina. Si condusse male anch’ella?»

— «Oh! benedetta,» disse Antonio con voce subitamente raddolcita, «no; fin da principio mi fu grata e gentile!»

— «Perchè dunque, in nome del cielo,» sclamò il piccolo dottore con una mossa subitanea che lo pose a faccia a faccia con Antonio, «volete far ricadere i peccati del padre sulla figlia innocente?»

Antonio tacque.

— «Benissimo,» disse il dottor Yorke, «capisco il vostro silenzio. Per me la questione ora si è (tirando lo spago): chi curerà miss Davenne? Voi non volete e io non posso.»

— Non è carestia di medici,» rispose Antonio con sinistro sorriso; «ce n’è uno a Ventimiglia, un altro a San Remo. Ho già dato a sir John Davenne il nome e l’indirizzo di ambedue.»

— «Molto ben pensato per voi; ma sapete benissimo che non servirà nè l’uno, nè l’altro. Sì, fate l’attonito quanto vi pare; ma sapete benissimo che il caso di miss Davenne richiede un grado di abilità manuale, che niuno di quei signori possiede; e una cura, una attenzione incessante, che le può esser data soltanto da chi risieda nello stesso luogo. Or dunque,» continuò il dottore dando una gran tirata, «che sarà se l’innocente signorina, — per soprappiù tanto amabile! — divenisse zoppa per tutta la sua vita, e ciò per mancanza di cura conveniente?»

— «Lo tolga Iddio,» esclamò calorosamente Antonio.

— «Orsù, via,» proseguì il dottor Yorke; «dite una parola, e traete d’impaccio un vecchio amico. Lo volete?»

— «Quale impaccio?» domandò l’Italiano che si aspettava tutt’altra domanda.

— «Perchè,» disse l’Inglese tirando a terra il suo salmone, «dovete capire che qualunque impegno possa avermi a Nizza — e ce ne ho realmente d’importanza; — non posso, anche a rischio della mia clientela, lasciare con convenienza padre e figlia in tali strette, soli in terra straniera.»

— «Ho da intendere io,» richiese Antonio dopo un breve silenzio, «che venite per parte di sir John?»

— «Ve lo assicuro,» fu la risposta

— «E che sir John ha volontà?...»

— «Volontà non è la parola,» interruppe il piccol signore tutto contento; «è felice, mio caro signore, felice di ricevervi di nuovo a vostro arbitrio. Dovete essere il monarca assoluto nella camera del malato.»

— «Bene, sia pur così,» rispose Antonio vinto. «Tornerò, e riprenderò la cura di sua figlia; ma tenetelo bene a mente, se lo faccio, gli è per riguardo vostro e per riguardo della signorina.»

— «Grazie, grazie,» disse il dottor Yorke con sincero affetto; «siete un nobile cuore, e valete una dozzina di sir John. Grazie,» ripetè di nuovo scuotendo cordialmente le due mani ad Antonio. L’Italiano si mise il cappello, proprio quello a pan di zucchero che aveva tanto urtato e indispettito sir John nel loro primo incontro; e i due medici, costa a costa, diressero i loro passi verso l’osteria del Mattone. Il dottor Yorke evitò di menzionare la dichiarazione, di non aver avuto intenzione di offendere; la quale, secondo le istruzioni di sir John, doveva essere la preliminare condizione, sine qua non, di qualunque accomodamento. Non credette dover compromettere il successo della sua diplomazia con una complicazione siffatta. Conosceva troppo bene il caldo e generoso naturale di Antonio per esser certo che, qualunque cenno su questo rapporto da parte del Baronetto, sarebbe stato accolto dall’Italiano co’ sensi della più cortese conciliazione.

Sir John tutto questo tempo se l’era passato passeggiando su e giù per l’anticamera, affacciandosi di tratto in tratto alla loggia, che era da una parte il limite della sua passeggiata, per guardare sulla strada di Bordighera. In una di queste fermate, il Baronetto scoprì i due signori che scendevano a braccetto la collina; — vista che, invece di riuscirgli gustevole, gli fece arricciar tutto ad un tratto le narici, come se le piante di arancio o limone che profumavano l’aria nel giardino, esalassero odori venefici e nauseanti. Comunque, nel momento che i due arrivati entrarono nella sala, sulla fronte spianata di sir John non era restato indizio di contrasto di affetti, e il ricevimento fatto ai due visitanti riuscì graziosissimo. Condiscese perfino a rivolgere al dottor Antonio alcune poche parole civili, ma piuttosto formali, in espressione del suo dispiacere pel malinteso occorso; le quali trassero dall’Italiano una dichiarazione identica nella sostanza, e nel tono molto più soddisfacente. Il dottor Yorke, la cui ansietà, durante questa transazione, si tradiva col frequente suo ricorrere disperatamente alla scatola di tabacco, alla fine tirò un enorme respiro, e disse fra sè: «Eccomi fuori da un bell’imbroglio.» — «Ed ora,» disse sir John volgendosi al dottor Yorke, «mi resta solo di ringraziarvi, e, disimpegnandovi, senz’altro, offrirvi la migliore ammenda che io possa per aver tanto a lungo abusato del vostro tempo prezioso. Volete che io comandi immediatamente che si attacchi la carrozza?» L’alacrità colla quale fu accolta l’offerta, mostrò quanto fosse giunta gradita. — «Bene, dunque, signori, «proseguì il Baronetto, devo lasciarvi intrattenere fra voi, intanto che io colgo l’occasione di spedire qualche lettera di affari a Nizza.» E lieto di avere una scusa per scapparsela, lasciò in fretta la sala.

Sir John fece buon uso del tempo abbisognato per ammannire i cavalli; scrisse lettera sopra lettera: a suo figlio Aubrey diretta in casa m... Square; a’ suoi banchieri; al suo agente in Londra; e al suo fattore in campagna (con istruzioni a questi tre ultimi di dirigergli le lettere e le carte a Bordighera). Oltre di ciò stese una lunga lista di articoli che il suo corriere era incaricato di mandargli senza ritardo all’osteria. Anche a John fu confidata una quantità di istruzioni verbali; tutte le quali cose, lettere, liste, istruzioni, ordini, implicavano l’idea che sir John avesse stabilito di prolungar la sua dimora in questo spiacevole alloggio. Difatti era così: sir John alla fine si era fatto una ragione della sua situazione; e benchè contro voglia, si era sottomesso reluttante alla necessità. Questo, sol questo era il risultato della esperienza delle poche ore poc’anzi trascorse. Il puntiglio è un cattivo consigliere; e pochi uomini possono sostenere la mortificazione di una duplice sconfitta. Ci dispiace il dirlo, perchè, malgrado i suoi pregiudizii, confessiamo di aver un debole per il padre di Lucy; ma bisogna dir la verità: e la verità è che il lievito del risentimento fermentava rapido quanto mai in petto di sir John.

Sir John insistette per accompagnare il dottor Yorke alla carrozza e invigilare con i proprii occhi che ogni cosa stesse come di dovere. Questo fu il pretesto che gli diè modo di porre sul sedile accanto al dottor York un involtino di carta, che il dottore preferì di non vedere sul momento, ma che appena lo sportello della carrozza fu chiuso da John, egli svolse con cura, l’esaminò, e con manifesti segni di soddisfazione ripose nel suo portafogli. Per questi travagli di mente, e fatiche di corpo, il medico inglese era tanto sfinito, che dopo aver esclamato ancora una volta: — «Mi son trovato in un bell’imbroglio!» si distese quant’era lungo, e cadde in un sonno così profondo, che non si destò se non quando la carrozza fu giunta innanzi alla sua porta in Nizza.

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