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Giovanni Ruffini - Il dottor Antonio (1855)
Traduzione dall'inglese di Bartolomeo Aquarone (1856)
Capitolo XI
X XII


CAPITOLO XI.

Il 15 maggio 1840.


È scorsa una quindicina di giorni, durante i quali ogni cosa all’osteria, compresa la salute di Lucy, è andata costantemente migliorando. Eransi formate altre abitudini, adottati nuovi disegni e diverse occupazioni; e in breve, ogni giorno che si succedeva avea portato alla nostra piccola colonia la sua fresca provvista di piacevoli distrazioni e di crescente buon volere.

Il tempo, per cominciar da questo, era stato splendido; e sir John non aveva intralasciato un sol giorno la sua cavalcata mattutina, e rimaneva incantato di Buffi (così Lucy aveva battezzato il grasso cavallino bajo), il cui temperamento e il passo, a detta di sir John, si migliorava mirabilmente ad ogni cavalcata: — asserzione alla quale il Conte, ora che è divenuto quotidiano visitatore dell’osteria, fa col capo assenso entusiastico; osservando che in realtà il suo amico inglese ha avuto il cavallo per niente. Per qual misterioso processo questi due gentiluomini s’intendano fra loro, riflettendo che i segni parlati che hanno in comune, sono limitati a una ventina circa di parole francesi, è cosa mirabile per ognuno, e forse più specialmente per essi stessi. Ma che s’intendano fra loro, è un fatto fuor d’ogni contesa; e sir John si professa altamente obbligato al suo amico per la prima idea di un progetto che occupa la maggior parte de’ pensieri e del tempo di sir John; e nella realizzazione del quale è grandemente assistito dal Conte e dal dottor Antonio. Il progetto consiste nel fare una collezione delle più belle pianticelle di aranci e di palme che si trovano nel vicinato, per indi trapiantarle nella residenza signorile di tutti i Davenne. — «Sì, fabbricherò una stufa di aranci,» dice sir John: «ma questo è nulla: fabbricherò anche una serra di palme: Lucy, una serra di palme!» e l’esultante sir John si stropiccia le mani. — «Vedete, mia cara, non solo creerò di pianta la cosa, ma fino il nome!» Il Baronetto prosegue il suo progetto con istancabile ardore; è già in relazione con tutti i proprietarii di palme in Bordighera — Bordighera che, in fatto di palme, non ha rivale; — fa cavalcate a San Remo, ove le piante di aranci, dicesi che abbiano superato di gran lunga ogni concorrenza; riceve continuamente, e per mezzo di Lucy, che fa da segretario, risponde a lettere relative al suo progetto; in una parola, sir John galoppa cavallino e cavalluccio a gran contento del suo cuore, e di tutti quelli che gli stanno intorno.

La ritardata celebrazione del ventesimo comple-annos di miss Davenne, la quale, come ben rammenterete, avea passato quel giorno per l’appunto in letto, era stata il grande evento della quindicina. Mirabile l’affaccendarsi e grande il parapiglia all’osteria; la quale comincia a dimenticare la sua bruttezza, e a fantasticare, come molti altri vecchiumi, che le bellissime penne fanno i bellissimi uccelli. Sì, un pranzo — una festa che teneva e della solennità ufficiale e del ritrovo di famiglia, e per la quale sir John avea fatto in modo da inviare lettere d’invito stampate — come al signor Conte, e ad alcuni altri notabili; fra i quali figurava il dottor Antonio, il Sindaco, varii Consiglieri, e il Giudice di pace di Bordighera; e per la sera anche altri luminari minori erano stati invitati, fra’ quali il maestro di disegno di Lucy. Il pranzo era stato splendido: il cuoco del defunto Vescovo di Albenga aveva superato sè stesso; John poteva solo riuscire uguale a sè medesimo. Sir John ne fece gli onori, con tanto maggior grazia in quantochè non li fece in gran tono, ma in un modesto incognito: come puossi immaginare facciano altri magnati, quando coprono le loro corone, e si fanno credere semplicemente conti o contesse. Probabilmente, sir John provò gli stessi sentimenti solito a provare presiedendo all’annuale pranzo che di uso dava ai suoi vassalli in Davenne.

In Italia, come dappertutto, i brindisi sono in gran moda, ma le parlate di dubbia eloquenza sono sostituite dal risuonar di bicchieri urtati contro bicchieri, in tintinnìo generale e simpatico. Il conte propose di bere alla salute del loro distinto ospite e della sua compita figliuola; e il brindisi ebbe luogo con universale entusiasmo. Il Sindaco, i Consiglieri e il Giudice di pace, seguitarono la stessa via, facendo mostra di molt’ingegno nell’immaginare variazioni allo stesso tema. Sir John si sentì in obbligo di ringraziare per sè e per sua figlia; il che egli fece con una parlata piuttosto lunga; e il dottor Antonio, dopo di aver tradotto agli ospiti in italiano la cordiale effusione del Baronetto, riportò a lui in poche frasi inglesi ben girate i sentimenti di soddisfazione della compagnia.

Durante la sera, Lucy fece la sua prima apparizione, portata sulle ruote della poltrona; e non occorre dire che la sua beltà e la sua grazia fecero una viva impressione nell’animo proverbialmente entusiasta degl’Italiani. Antonio cantò delle sue più vivaci canzoni siciliane, che furono cordialmente applaudite e fatte ripetere; e il Maestro di disegno, un po’ improvvisatore, improvvisò un sonetto a miss Davenne; nel quale la paragonò al giglio e alla palma, e a Minerva per soprappiù; e tutto fu accolto con numerosi bravo dai presenti, eccetto che dal Conte. Fu veduto anzi (essendo noto che il Conte e il Maestro di disegno eran fra loro a spada tratta), mentre veniva recitato il sonetto, il Conte far solenni boccacce per esprimere e comunicare i suoi dubbii, rispetto alla sincera realtà che la composizione fosse improvvisata. Meno questo lieve incidente, sfuggito all’occhio del Baronetto e della figlia, e meno la marcata freddezza colla quale fu ricevuto il thè dalla maggioranza — freddezza fatta cessar presto dall’ordine dato da sir John, di portare una fresca provvista di nere bottiglie per i dissidenti — ogni cosa procedè magnificamente, e ad intiera soddisfazione delle parti; a segno che Antonio, dopo un colloquio abbastanza lungo col Baronetto sulla loggia, annunziò, seance tenante, in nome del protagonista, che se un po’ di conversazione e un po’ di musica avessero sufficienti attrattive per indurli ad accordare la lor compagnia, sir John Davenne riceverebbe con piacere le persone presenti ogni mercoledì e sabato alle otto di sera.

Una circostanza connessa con questo avvenimento è troppo importante per poter essere passata sotto silenzio: quella cioè, che il dottor Antonio in quest’occasione compì la conquista di sir John. Fu il suo rigoroso costume professionale e la bianca cravatta, o i suoi modi di gentiluomo, o le sue facoltà oratorie, o tutte queste tre cause insieme congiunte, che guadagnarono a lui il cuore inglese di sir John? Non possiamo dirlo; questo solo attestiamo, che il cuore di sir John fu guadagnato. Sir John trattò il dottor Antonio in tutto il tempo del pranzo e per tutta la sera, con marcata distinzione, chiamandolo pubblicamente «mio onorevole amico;» e privatamente e confidenzialmente «mio caro amico.» Procedette anche tanto oltre, da dichiarare con enfasi a Lucy, dopo che tutti furon partiti, che, «se si potesse indurre a radersi, quest’uomo non istarebbe male alla tavola di un re.» Da quel giorno il Dottore fu promosso all’onore di stringer la mano al Baronetto; e dicesse pur Antonio quel che voleva, John fu spedito ogni giorno in casa del Dottore con i complimenti di sir John Davenne, e i giornali del dì precedente.

Due brillanti soirées musicales, come le chiama sir John, erano state già tenute nel corso della passata settimana all’osteria; e la terza aspettata produce grande ansietà nel Circondario: chè per dieci miglia all’intorno si parla dei concerti del Milordo inglese. Visitatori lontani fin da Ventimiglia e San Remo hanno lasciato le loro carte per sir John e miss Davenne; e molti brigano presso il Conte e il Dottore per avere inviti. La direzione della musica è riserbata interamente al dottor Antonio, sotto la cui sovrintendenza sono eseguiti i quartetti. Gli esecutori, un fagotto, un violino e un violoncello, sono tutti dilettanti di Bordighera; Antonio fa da quarto suonando ora la chitarra, ora il flauto. La cameruccia della Hutchins è trasformata, il mercoledì­ e il sabato, in sala di rinfreschi; la credenza è sempre regolarissimamente frequentata. A veder sir John in queste serate, è come vedere un uomo in perfetto accordo con sè stesso: — il passo, la voce e l’aspetto dicono: «Io sono il monarca di quanto vedo;» facciano pure i sapienti quante teorie si vogliono, la conclusione del fatto sarà sempre: che tutti gli uomini, incluse anche le donne, amano all’occasione di essere lo specchio della moda, e lo stampo della forma, e l’osservato di tutti gli osservatori — fosse pur solo in Bordighera. In tutte le altre sere della settimana, la conversazione di sir John è limitata al Conte e al dottor Antonio; al qual circolo privilegiato, sir John, nel sorbire il thè, imparte notizie del modo di vivere in Londra — del vivere alla moda naturalmente — cosparse di cenni, che, come la luce del lampo, rivelano qualcosa dello splendore di Davenne Hall, e della grandezza e potenza dei Davenne, o «della famiglia,» come sir John chiama appassionatamente la sua stirpe. Alle dieci si mette regolarmente a giuocare a scacchi col dottor Antonio (questo è per Lucy il segno di ritirarsi, o per il Conte di cominciare a sonnecchiare); e vince invariabilmente due partite su tre: avendo Antonio scoperto che sir John non può perdere al giuoco, senza uscir anco dei gangheri; e quando è inquieto, il padre di Lucy è insopportabile.

Il tempo di Lucy, durante questa quindicina, è stato quasi tutto speso sulla loggia. Da che ha potuto passare la giornata all’aria aperta, la sua salute si è considerabilmente ristabilita. Ella gusta straordinariamente le soirées musicales, in gran parte a motivo della musica — che realmente Lucy ne è appassionata — ma un poco ancora per l’effetto che essa produce. Cosa assai singolare! Lucy non pare abbia mai sospettato da prima di essere amabile; o se l’ha sospettato, solo adesso comincia a curarsene. Ella osserva che ognuno è per lei e civile, e rispettoso, e pieno di attenzioni. Lucy, in verità, è una piccola regina con una piccola corte. Ella fa progressi visibili nel disegno, particolarmente nelle figure; delle quali si è tanto appassionata, che ha già abbozzato più di venti volte Speranza — Speranza che sta a modello dinanzi a lei con angelica pazienza per ore intere: non più smorta e abbattuta, ma ravvivata da non so quale misterioso presentimento, che stia per sopravvenire una buona fortuna. Oltre a ciò, havvi l’esercizio sulla chitarra, e le visite del dottor Antonio; sicchè le ore di Lucy sono completamente occupate. Il maestro di disegno altresì la diverte anch’egli un poco. — Un ometto fiero e violento, ma in fondo di tanto buon naturale e tanto istruito. Per ciò che spetti a Dante, Lucy diceva al Dottore, ch’era per lei piuttosto una sorgente troppo profonda; ma perseverava a cavarne quanto potesse. Confessa apertamente di gustare ora la veduta della loggia più piena che non nei primi giorni; e per usar la di lei espressione, le pare che tutte quelle separate bellezze si siano fuse in una grande bellezza sola.

Il dottor Antonio non si mostra superbo dell’alto favore di sir John. Se la prende alla buona, forse come uomo che si era sentito sempre in diritto di goderne: nè i suoi successi come direttore d’orchestra e suonatore di chitarra e flauto, gli hanno fatto girar la testa. Il dottor Antonio continua ad essere esattamente la stessa persona serena, servizievole, gioviale e senza pretese, quale era quindici giorni prima. Se in lui è alcuna mutazione è un cambiamento in meglio nella sua personale apparenza; ma pur tanto lieve che ci vuole un occhio proprio scrutatore — l’occhio di una donna probabilmente — per accorgersene. Il suo abito è un pelo più accuratamente scopettato; e i suoi capelli e la barba più accuratamente pettinati; e la sua cravatta annodata intorno al collo meno scioltamente che non solesse. Nè la direzione del dipartimento musicale impedisce punto la sua assistenza a miss Davenne è sempre assiduo come prima. E quantunque evidente: mente abbia assai da fare anche altrove, pur trova tempo da rendersi utile e gradevole all’osteria. Udendo, ad esempio, un giorno dire a Lucy che le zanzare cominciavano a divenir fastidiose la notte, egli si mise immediatamente all’opera, fissò delle spranghe al letto di lei e a quello di sir John; e su quelle spranghe appese zanzariere. In seguito, udendo l’istesso lamento per le mosche divenute intollerabili, procurò che dei fascetti di una pianta viscosa (Erigeron Viscosum, Linneo) bagnati nel latte, fossero appesi nella camera e sulla loggia: i quali, attraendo le mosche, liberarono Lucy a un tratto da uno dei flagelli d’Italia. Lucy aveva un pensiero accuratissimamente nascosto nelle più interne plaghe del cuore; ed era che di sicuro non fosse al mondo una persona simile a questo dottor Antonio.

Tale era, in fondo, lo stato piuttosto soddisfacente delle cose e delle persone dell’osteria del Mattone, in quel beato giorno del 15 maggio 1840.

Erano le dieci del mattino — un mattino amabile quanto ogni altro mai cantato da poeti e da uccelli. Miss Davenne, vestita di azzurro chiaro, si sedeva alla loggia occupata a disegnare. La scelta di quell’abito azzurro era stata affatto casuale per parte di lei, o era in qualche modo connessa colla menzione fatta la sera precedente dal dottor Antonio, che l’azzurro di tutti i colori era il più amato da lui? E chi lo sa? Anche Antonio stava seduto sulla loggia, un poco indietro di Lucy, e stropicciavasi violentemente la barba, segno di tempo burrascoso per lui. La Hutchins al di dietro stava accomodando in un vaso un grosso mazzo di rose, portato allora dal Dottore. Egli rare volte veniva a mani vuote; e durando pur sempre inalterato il suo orrore per ogni specie di ringraziamenti, Lucy aveva imparato a riconoscere i suoi piccoli doni con solo un sorriso. Contro l’usato, i due giovani avevano poco a dirsi l’un l’altro, e la conversazione cadeva. Forse Lucy era occupata del suo disegno; forse era in altro pensiero assorta. Antonio era evidentemente preoccupato; e la sua solita equanimità lo aveva abbandonato quella mattina. È la prima volta, dacchè ne abbiamo fatto da principio la conoscenza, che si tradiscono in lui forti sintomi di una malattia che si sarebbe supposto affatto sconosciuta a lui — l’irresolutezza. Sulle sue labbra tremava una parola o una frase che egli temeva di pronunciare. Talvolta si piegava in avanti quasi stesse per levarsi; poi ricadeva di nuovo indietro sulla sua sedia. Alla fine fece uno sforzo eroico, balzò dalla sedia, e disse risolutamente:

— «Se vi provaste, miss Davenne, a camminare?»

Quest’avviso fu il benvenuto per Lucy, le cui pallide guance, più pallide ancora quella mattina del solito, subitamente divennero di porpora. Lucy avendo dichiarato qualche tempo indietro che morrebbe piuttosto sulla sua poltrona anzi che usar grucce, si chiama la Hutchins e le si ordina di sostener da un lato la sua padroncina, mentre il dottor Antonio fa altrettanto dall’altro. Lucy si leva, si appoggia alle due braccia, e si muove. Il cuor di Antonio batte sonoro e forte come il pistone di una macchina a vapore.

— «Vi sentite dolore in alcuna parte?» domanda sottovoce il Dottore.

— «Niente affatto,» dichiara Lucy; ma la sua caviglia è alquanto rigida.

— «E,» prosegue Antonio con voce profonda e tremante, «credete di poter camminar sola?»

— «Credo di sì,» disse Lucy rivolgendo il viso sorridente verso di lui.

— «Bene, provatevi.»

Il Dottore e la Hutchins lasciarono gentilmente di dare appoggio a Lucy; Antonio le si pose innanzi a braccia aperte per riprenderla: in atto come di madre che vegli sui primi passi del suo caro bambino. Lucy camminava sola — uno, due, tre, quattro passi; soli quattro, ma bastavano, per l’occhio rapido e sperimentato di Antonio, ad assicurarsi che non c’è motivo di apprensione per impedito andamento.

— «Vittoria!» grida Antonio battendo tanto forte le mani, che Lucy e la Hutchins trasalgono al suono. «Vittoria!» egli grida di nuovo; quindi tosto si ferma per timore che la sua gioja abbia a tradire l’estensione dei suoi timori, e cagionare a Lucy un urto retrospettivo. Ma negli occhi ha le lagrime, mentre colla Hutchins di nuovo riprendono a sostenere il loro prezioso carico: «Perchè,» continua il Dottore affettando calma, eppure ancora tutto commosso, «ella non si dee troppo affaticare; ella dee appoggiarsi bene al suo braccio, così; — e giacersi quieta sul sofà, — lì; ecco, di nuovo va tutto bene.» A veder ora il suo contegno pieno di nobile e dolce emozione, a sentir la sua voce, ad ascoltare il suo riso, si sarebbe conquistato la più fredda delle umane creature. Lucy ci bada, ma quieta quieta: ella neppur un momento muove l’occhio da lui: lo segue collo sguardo nel passar che fa sulla loggia, e nel tornar indietro al di lei tavolino; e quando si ferma a mettere un pezzo di carta piegata sotto uno de’ suoi piedi; e poi ad accomodare i di lei pennelli e i colori, giusto proprio ove devono stare, Lucy non parla, non gli dice nemmeno «grazie;» perchè Lucy sente che non potrebbe dirlo, senza far qualch’altra cosa ancora contro la quale combatte. Non osa nemmeno stendergli la mano, come il suo cuore pieno colmo vorrebbe, temendo di prorompere. Ma quegli occhi chiari e soavi che posano su lui, parlano per volumi.

Dopo una mezz’ora di riposo, Lucy ebbe un’altra passeggiata dal sofà alla loggia; e ne doveva avere una terza fra un’altra mezz’ora, dalla loggia al sofà; e non più, finchè Antonio non facesse un’altra visita: — ingiunzione che non sarebbe stata violata, a giudicarne dalla maniera con cui veniva ricevuta. Mentre la terza e per allora ultima gita si stava facendo, arrivò sir John; immagini il lettore, se il contento che splendeva nei suoi occhi poteva esser diminuito dalla vista di Lucy in piedi e in atto di passeggiare. Si affrettò a ritogliere il di lei braccio alla Hutchins, e lo pose sotto il suo: compiacendosi di far soli cinque passi colla sua prediletta, e rimetterla poi sul sofà. Tre facce più felici di queste non si erano vedute mai nell’anticamera dell’osteria.

Calmata la piacevole commozione di quell’incidente, sir John cominciò a raccontare con grande vivacità la sua corsa mattinale. Sir John aveva fatto di buon mattino una cavalcata a San Remo, per visitare un giardino raccomandato dal dottor Antonio alla sua attenzione, nel quale era un tesoro — un vero tesoro, come dichiarava enfaticamente: «piante di aranci Bergamotti, con fiori grandi come questi (ed accennava alle rose sul tavolino), e una fragranza, una fragranza!» Sir John era tanto felice a questa scoperta, quanto se quella specie di Bergamotti fosse di sua propria creazione. Il proprietario del giardino aveva egli stesso condotto sir John sul terreno, e aveva messo tutte le sue piante a disposizione del Baronetto: «Una persona di buone maniere,» sir John asseriva (disgrazia che sir John non avesse questa volta un libro di memorie!), «una persona educata; che ho intanto invitato per domani alla soirée musicale.» Avendo così sfogato il suo entusiasmo, e baciata entusiasticamente Lucy, e lisciatale la guancia, e fatto osservare al Dottore quanto bene paresse all’aspetto — asserzione lasciata passare dal Dottore senza contraddire — sir John si sedette ad occuparsi delle sue lettere e delle carte. Antonio si era licenziato, e stava già alla invetriata, quando incontrossi nella figura di Speranza, seguita da sua madre: che ambedue si slanciarono innanzi a lui precipitandosi come folgori nella stanza.

Le donne piangevano entrambe, quasi soffocate dai singhiozzi; ma il loro aspetto e i gesti non erano di persone oppresse dall’angoscia del dolore. Speranza in ginocchio accanto il sofà si stringe appassionatamente a Lucy coprendole di baci e lagrime le mani e i piedi. Rosa, meno violentemente agitata, si è fermata ritta in mezzo alla stanza, ove alternativamente asciugandosi gli occhi colla cocca del grembiule, e incrocicchiando ed aprendo le mani seguita a esclamare: — «Oh caro! oh Madonna santissima! — Oh, che io sia vissuta a veder questo giorno, ohimè! ohimè!» Poco stante vien la volta al Dottore di sentirsi a baciare e bagnar di lagrime le mani; e dopo lui, tocca a sir John la stessa storia. — «Costei è pazza!» esclama attonito il Baronetto facendosi ben rosso in viso, e liberandone violentemente la sua mano. — «Sì,» dice Antonio, «è pazza di gioja. Battista è venuto, suppongo; non è vero, pazzarella?» E la pazzarella sorridendo un assenso, prorompe in un nuovo scoppio di lagrime: e prende le mani di Antonio e lo tira gentilmente verso la loggia, ove Speranza e lui e Rosa dietro a loro, spariscono allo sguardo.

— «Che gente stucchevole e ostentatrice sono questi Italiani!» osservò sir John in tono malcontento e brontolone, quasi protestando contro la sua momentanea commozione.

— «È loro naturale di sentir fortemente, ed esprimere fortemente quel che sentono,» rispose Lucy.

— «Quest’ultima parte della vostra opinione, o mia cara, non si può negare,» disse suo padre; «e però tanto peggio.»

— «Perchè, papà?» domandò Lucy.

-«Perchè,» rispose sir John seccamente, «qualunque mostra simigliante di sensibilità deroga altamente alla dignità umana, e porta con sè presunzione di superficialità. I sentimenti profondi, come i fiumi profondi, a quel che ho sentito, Lucy, sono rare volte rumorosi.»

— «Ma in questo caso, papà, nessuno può dubitare della realtà dei sentimenti della povera Speranza: e voi dovete esserne stato colpito, che io ho veduto negli occhi vostri le lagrime.»

— «Le lagrime ne’ miei occhi!» ringhiò sir John in tono di scherno; «sciocchezza!» e prendendo un foglio del Times, lo alzò coma una barriera fra sè e lo sguardo scrutatore di Lucy.

Dopo un po’ di tempo, ritornò Antonio, e disse che Battista, come si sentiva in obbligo, chiedeva l’onore di essere ammesso alla presenza del suo gentile benefattore e della benefattrice. — «Oh sì, senza dubbio!» esclamò prontamente Lucy; «lasciatelo venir subito.» Le signorine di vent’anni, d’ogni condizione, son disposte a sentire con un po’ di curiosità intorno all’eroe di una storia d’amore, porti egli un manto ducale o solo una giacchetta turchina di marinaro. — «Sì, sì, lasciate che finisca una volta questa storia: ma a patto,» soggiunse sir John, «che non ci sia nuova dispensa di lagrime e baciamani.»

— «Credo che non sia a temerne,» disse Antonio; «le donne sono adesso più calme; e non credo Battista molto abituato ai piagnistei.»

— «Tanto meglio per esso e per noi,» ripigliò sir John. «Di questa sorta di storie ne ho avuto abbastanza oggi per tutto il resto di mia vita.»

Ed ora l’eroe del giorno: — un giovinetto di ventidue anni, grazioso, di mezzana statura, di forte complessione, color cioccolata, condotto da Speranza e spinto per di dietro da Rosa, fa il suo ingresso tutt’altro che trionfale, e con passo lento e riluttante si appressa al sofà ove giace Lucy. La signorina, pietosa della sua confusione, cortesemente e a bassa voce gli volge alcune parole di benvenuto. Battista solleva gli occhi, manda fuori un mezzo grido, e resta un istante attonito e con occhi stralunati. Poi se la sarebbe presa a gambe, se Speranza e Rosa non lo avessero ritenuto e portato indietro. Egli volge gli occhi a dritta e a sinistra, li fissa in fondo alla rossa berretta di lana che fa girare nelle sue mani tremanti, e guarda pertutto fuorchè a Lucy: — che in verità Battista meglio affronterebbe un uragano sull’Oceano agitato, anzi che gli occhi celesti di lei. — «Ma che siete scemo?» dice Antonio perplesso. «Com’è, buon uomo, non avete nulla a dire a questa signora, che è stata per voi una seconda Provvidenza?»

Battista fa inutili tentativi per parlare: alla fine i suoni inarticolati diventano un pronunziato bisbiglio di — «è la Madonna;» ed egli cade sulle ginocchia, e si fa gran segni di croce. Sir John può dir pure quel che gli pare; ma domandiamo noi se omaggio di miglior gusto fu tributato mai alla purità e all’amabilità sulla terra. Antonio vide la convenienza di troncar subito una scena, che, per l’intensità stessa degli affetti del povero giovane, diveniva imbarazzante a tutte le parti. Egli lo rialzò, dicendogli:

— «Basta, giovinotto mio, la signorina intende tutto quel che vorreste dire: — andiamo via adesso; rimetteremo i vostri ringraziamenti a miglior tempo.» E battendogli allegramente sulla spalla, il Dottore rimorchiò via il confuso giovane dalla stanza, e tennero lor dietro le due donne come inebbriate.

Preghiamo il lettore a credere che non è questa una pittura fantastica; ma realmente un abbozzo del vero. Se questa scena da noi descritta, con tutti i particolari riferiti, non fosse avvenuta alla nostra presenza, non ci saremmo avventurati mai a metterla in carta. Possiamo capir benissimo, come un semplice, ignorante, ma immaginoso giovane Italiano, di cui tutte le idee del bello e del grazioso fin dalla prima infanzia sono incarnate nell’immagine della Madonna, cioè in un’amabile figura, con bei capelli sciolti, vestita di azzurro — possiamo ben capire, ripetiamo, come un tal giovane messo improvvisamente a faccia a faccia con un soave modello di donna, com’era quella Inglese giovinetta, la identificasse col suo tipo di amabilità e gentilezza tanto adorato.

La fissazione di Battista durò ancora qualche tempo, malgrado le lezioni di Antonio e lo sgridar di Speranza; la quale dichiarava di vergognarsi davvero di vederlo divenuto ora baggiano in quel modo. Battista aveva un solo argomento, ma con questo resisteva e vinceva ogni obbiezione: egli aveva veduto lei altra volta, ed ella gli aveva parlato, e gli avea detto ch’era la Madonna. Era stato, secondo Battista, in una notte, in una tremenda notte di mare, quando stanco del lungo lavorare alle pompe erasi gittato sopra una branda, e vi si era addormentato. La Madonna eragli allora apparsa in sogno, e gli aveva detto con occhi fiammeggianti: — «Questa è la divozione che hai per me, tu che vai a dormire senza dir solo una Salve Regina in onor mio?» In questo Battista si svegliò, si alzò, e disse le sue orazioni, recitando, secondo il solito, una Salve Regina, e poi si addormentò nuovamente. Quand’ecco la Madonna gli riapparve, con occhi molto benigni questa volta, e gli disse con voce soave: — «Battista, tu sei un buon giovine; finchè tu porrai in me la tua fiducia, non ti avverrà male; sta allegro, che tornerai a riveder Bordighera.» Ora che lo credessero o no, Battista non se ne curava; ma la voce ch’egli aveva udito, gli occhi, i capelli, la figura che aveva veduto nel piano superiore dell’osteria quella benedetta mattina del 15 maggio, erano la voce, i capelli, gli occhi e la figura della notturna visitatrice di Battista in mare, Battista potea giurar di tutto questo, e della veste azzurra per soprappiù.

— «Dobbiamo ajutarli a maritarsi,» disse Lucy il dopopranzo quando fu sola col Dottore. — «Davvero?» rispose Antonio ridendo di cuore; «credevo che questo verrebbe da sè presto abbastanza, anche senza il nostro ajuto.»

— «Io ho una gran voglia di chiamarvi un Dottore ninnolone, come fece una volta papà,» disse Lucy con piglio d’impazienza: «sapete benissimo quel che vo’ dire. Non mi diceste voi stesso che gli affari di Rosa erano in cattivo stato? e non è un fatto che Battista ha perduto tutto quanto possedeva al mondo? Ora non è manifestissimo che essi hanno bisogno del nostro ajuto per maritarsi?»

— «Non dite nostro ajuto,» osservò Antonio, «perchè, quanto a me, non ho altro che buon volere da dare ad essi.»

— «Niente affatto,» disse Lucy rapidamente; «voi dovete dar molto più — tempo e disturbi e ogni sorta di cose; informarvi dei loro debiti, delle difficoltà a togliere, e calcolare qual somma sia necessaria per rimetterli a galla.»

— «Una grossa somma,» disse Antonio gravemente scuotendo il capo alla pronta parlatrice, «una grossa somma.»

— «Non importa,» disse miss Lucy, «papà la darà qualunque sia, per compiacermi — egli deve. Io gli dirò che avremmo potuto lasciar Battista a bordo della sua nave, se non abbiamo a far nulla di più per lui e per Speranza.»

Antonio sorrise soltanto; ma il suo cuore le mandava un mondo di benedizioni, quantunque le benedizioni non arrivassero mai all’orecchio di Lucy.

Un giorno cominciato con sì felici auspicii — un giorno così ricco di emozioni profonde e gentili per la maggior parte de’ nostri personaggi, venne a finire, siam lieti di dirlo, in modo degno di lui. Verso mezzanotte gli echi del giardino furono svegliati dai suoni di soave musica.

Tutti i dilettanti di Bordighera, non occorre dire da chi ispirati, si riunirono sotto la loggia per dare una serenata a miss Davenne. Sir John, che non era per anche andato a letto, discese in giardino per mostrar riconoscenza del complimento, e fu accolto con rumorosi «Evviva!» Vassoi con vino e bicchieri furono presto fatti circolare fra la compagnia per le cure unite di Rosa e Speranza e John, non poco attonito; il quale, coi sopraccigli inarcati, a dispetto del suo rigido silenzio, aveva più di una volta, in queste ultime circostanze, tradito la serie di sorprese che il suo padrone gli faceva provare. Parlando della compagnia, intendiamo dire non solo de’ suonatori, ma anche di un gran numero di amatori, i quali li avevano seguiti in quella veglia ed empivano il giardino.

Lucy di dietro la persiana si godeva straordinariamente la serenata. La musica era indubitatamente buona. Ma quel che le arrecò maggior piacere che non l’introduzione alla Gazza Ladra, e alla Semiramide fu una villanella a tre voci, una delle quali era di basso profondo e soave, cara al suo orecchio e al suo cuore. Queste villanelle alquanto simili alla serenata nel Don Pasquale sono canzoni popolari nella Riviera. La melodia semplicissima nei modi, è sostenuta successivamente or dall’una or dall’altra delle voci, senz’altro accompagnamento che di poche note abbreviate delle altre due. Nel complesso è una sorta di canto di molto effetto, se le voci son buone, cosa molto comune in Italia — e pieno di melanconia. Allora Lucy cominciò a far liberamente quello, a cui avea con tanta forza resistito la mattina; e se ne tornò a letto piangendo dal fondo dell’anima. Tuttavia le lagrime non le impedirono il sonno, che fu profondo e ricreante.

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