< Il libro dei versi
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A Giovanni Camerana Scritto sull'ultima pagina del Libro dei versi


* * *





I.


Poichè ho l’anima cupa e sbigottita,
Poichè l’incubo lento della vita
Oggi è più tetro e più franta la fè;
Poichè ritorna a sommo del pensiero,
Come sull’acque un annegato nero.
Quel tedio eterno che gràvita in me;


Poichè sul muro della stanza cheta
Irride alle bufere del poeta
          Un bel raggio di sol,
Sguardo di luce che viene a beffarmi
E par che dica: «Poeta i tuoi carmi
          Hanno tarpato il vol,»





Canterò, canterò le primavere,
Le convalli, le selve, le riviere.
L’allegria delle rondini e dei fior,
Canterò lo splendor degli orizzonti.
Tavolozze d’aurore e di tramonti
Dove Dio stempra e sfuma il rosa e l’or.





Canterò le giornate erranti e pazze,
I teatri, i vïottoli, le piazze,
          I giocondi compar;
Canterò le farfalle e il firmamento,
La nube orïental che fila il vento,
          Le risate del mar.


Canterò la più vaga creätura,
L’occhio più blando, la fronte più pura,
          Il più pomposo crin,
La più compiuta imagine d’amore
Che mai rispose all’ideal del core
          E al concetto divin.


II.



O quante volte nelle lunghe sere,
Quando s’empion di musiche severe
I teatri del grigio carnoval,
Sognai nel cor d’esser caleide o giglio
Per respirare il languido sbadiglio
Che vaporava il suo volto fatal.





Essa pareva una madonna mesta
E più volte guatai se la sua testa
          Cingèa l’aureola d’or,
E nel vederla di quel nimbo mozza
Pensai che forse nella sua carrozza
          L’avea deposto allor.


Si! nella bianca immensità lontana,
Al di là della vitrëa campana
          Che noi chiamiamo ciel,
V’è un Poeta divin che prevedeva
Nell’ile informe la bellezza d’Eva
          E il fiore nello stel.





Credo! e dal raggio di quei casti sguardi
Viene vêr me l’antica fé de’ bardi,
L’antico amore e l’antica pietà,
Un’aura di pensier soavi e cheti.
Un disio di baciar degli amuleti,
Di dire un ave e di far carità.





Sì, nel giorno del lieto funerale,
Quando sarò una linea orizzontale
          Sei piedi sotto il suol,
E più non si vedrà la mia figura,
Curva siccome una spiga matura,
Dei vivi in fra lo stuol,


Esalerò dalle pupille spente
L’anima sciolta e di letizia ardente
E volitando o donna andrò vêr te.
Là, nelle fredde notti, al fosco tetto,
Sarò la fiamma del tuo caminetto
E al mio tepor ti farai rosa i piè.




 
Ti splenderò fatate visïoni.
Poemi di scintille e di carboni
          Dall’ermo focolar.
E quando sparirò sul far dell’alba,
Nella tua cella taciturna e scialba
          Più non potrai sognar.


1863



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