< Il marito di Elena
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XV

XVI.


Cesare tornò da Napoli all’improvviso, chiamato da un telegramma urgente di don Anselmo «per affari che reclamavano la sua presenza». Da qualche tempo il canonico servivasi del telegrafo come un banchiere. Elena al veder comparire suo marito si fece rossa. Alle domande che lui balbettava, colla testa altrove, rispondeva distrattamente anch’essa:

— Sì, la Barberina sta bene, tutti stanno bene.... Ohi non sta bene qui sono io sola.

Cesare evitò di rispondere. Elena allora gli domandò, col suo viso duro che la trasformava completamente da un momento all’altro:

— Tuo zio t’ha scritto? Cesare levò il capo, e i loro occhi s’incontrarono.

Voleva dire qualche cosa, ma non poteva. Si scolorava in volto, impallidiva grado grado in un modo spaventevole. Infine balbettò:

— È vero che la baronessa.... ti ha fatto scacciare di casa sua?...

Elena avvampò in viso. Poscia impallidì anch’essa. Ma non rispose, guardandolo fisso.

— Suo figlio.... ha mandato a monte il matrimonio.... per te?...

Ella non rispose nemmeno.

— Lo speziale ha visto uscire don Peppino da questa casa..., di notte!

Cesare aspettò, ansante, tremando in tutte le membra, cogli occhi ardenti di lagrime.

— Ma rispondi! rispondi, sciagurata! Rispondi qualche cosa!...

— Voglio andarmene a Napoli, dai miei parenti, — rispose soltanto Elena.

Egli non disse motto, aprì la bocca senza fiato. Barcollò. Poi cadde su di una sedia. Ah! ecco la risposta che gli dava! Non una parola di giustificazione, di conforto, d’affetto, di pietà, pel dolore atroce che pur doveva leggere nei lineamenti di suo marito! Non un pensiero per lui! non un pensiero per sua figlia? — Allora tutte le memorie nere, tutte le gelosie, tutti i dolori del passato gli morsero il cuore, vive, implacabili. Un’immensa vergogna, un immenso scoramento, una collera amara lo invasero. Egli non trovava le parole, ma tutto ciò gli scintillava in quegli occhi ardenti e pieni di lagrime, gli tremava nelle membra convulse. Le afferrò le mani, con uno schianto di quella angoscia sovrumana. Ella ebbe paura, soltanto paura, e si svincolò atterrita.

— No! esclamò Cesare con un riso amaro. Non temere!


Don Liborio arrivò colla famiglia, compresa la Camilla, arcigna. S’istallarono nelle migliori stanze della casetta. Non aprivano bocca a tavola. E dopo pranzo il babbo usciva a passeggiare col canonico, per regolare gli affari della figliuola, prima di riprendersela.

Egli era venuto armato del codice, del commentario, di tutti i suoi libri legali, felicissimo di poter sfoderare la sua eloquenza e i suoi cavilli. Donn’Anna rovistava le casse e gli armadii della figliuola, andava attorno pel vicinato a dir roba da chiodi del genero, tirandosi dietro, in prova, la Camilla rassegnata e calma come una vittima. Il paese ci godeva nello scandalo, lo allargava coi commenti, lo faceva irrimediabile. Elena chiusa nella sua stanza, non si lasciava veder più, e don Peppino se n’era andato a Napoli per fuggire lo scandalo — per aspettarla laggiù — dicevano le male lingue.

— Ah! finiamola, finiamola presto, per carità, diceva Cesare allo zio, come uno che stia per perder la ragione.

Il canonico, onde cercare di evitare il chiasso quanto poteva, aveva fatto ogni concessione. Finalmente, regolati gli interessi, come voleva don Liborio, fissarono il giorno della partenza. La Barberina doveva restare colla madre, sino all’età di metterla in collegio. La sera prima della partenza la bambinaia la portò dal genitore perchè l’abbracciasse.

Così la rompevano col passato! dimenticavano ogni cosa! e gli voltavano le spalle! Elena, in quei cinque giorni, non aveva provato una sola di quelle tentazioni che a lui avevano fatto girare il capo, di correre fra le sue braccia, di dimenticare tutti i rancori e tutti i dolori in un amplesso! Non gli si era fatta più vedere. Partiva senza dirgli una parola. Che cuore aveva cotesta donna? Qual sentimento aveva avuto per lui? Allora, in quella notte eterna, fra le quattro pareti tetre della sua cameretta, il pensiero delle altre ore di angoscia, delle altre notti insonni, tornò invariato a torturarlo. Cataldi! il poeta! il duca!... Dunque era vero? Si trovava avvilito, non credeva a sè stesso. Era sceso tanto basso? Era stato geloso di tanti?... Quanto c’era di vero nei sospetti? di fondato nella sua gelosia?... Ah!... Ora che essa lo lasciava! Quando sarebbe stata libera... Elena! la sua Elena! sua moglie, la madre della sua bambina! La sua donna adorata!... E poteva partire così? E poteva lasciarlo, e non sentire proprio più nulla per lui? Dopo tanto amore, tante carezze, tanta intimità, tante gioie, tanti sagrifizi!... Ella pure l’aveva amato. Ella pure!... Com’era bella! quanto quanto!... come l’amava! E potevano lasciarsi così? senza vedersi!... L’avesse vista almeno un’ultima volta.... in quel letto; coi capelli sciolti.... vederla dormite!... un’ultima volta!... Poteva dormire?...

La fiamma del lume solitario drizzavasi diritta sulle pareti nere. La piazza deserta, di là dei vetri. Non un passo, non una voce, non un tocco d’orologio. Nella casa non si udiva un sol rumore della numerosa famiglia. Il passato scompariva tutto, la gelosia, la collera, il dolore, tutto.... Non restava che Elena, la sua Elena, di là, dopo due o tre stanze, che partiva il giorno dopo, per sempre!... Almeno vederla un’ultima volta! l’ultima!... S’ella si fosse svegliata? se gli avesse buttato le braccia al collo? se gli avesse detto: Perdonami! Sì, anche allora!... fosse anche stato certo!... che gliene importava a lui, se Elena avrebbe potuto amarlo un’altra volta?... Sarebbero fuggiti insieme, lontano!... Ma lasciarla!... Torse lasciarla ad un altro!... Piuttosto si sarebbe ucciso sotto i suoi occhi, con quel pugnale, se lo lasciava così!... No! no! senza di lei non poteva restare.... senza la sua Elena.... Meglio la morte.... meglio!

Le stanze erano buie, in fondo trapelava dall’uscio il lume della lampada di lei. Un lieve sforzo e l’imposta cedette. Elena non era di quelle che hanno paura. Dormiva serena, quasi sorridente, coi capelli neri sul guanciale, il viso bianco posato sul braccio nudo. Quante memorie, quanta dolcezza, quanto amore c’eran là! Che dolore, che angoscia terribile, che smania, che gelosia!... Degli altri! degli altri!... quel braccio nudo, quell’omero nudo! quella bocca profumata! quei capelli folti.... Ah! degli altri! degli altri, come lui! come lui!... Ella.... come a lui!... E quando fosse stato lontano.... quando ella fosse stata libera.... Allora!... allora!... E se dopo gli avesse detto: — Vieni — egli sarebbe andato! E qualunque cosa avesse voluto da lui, egli l’avrebbe fatto! E finchè fosse stata viva, lo avesse anche tradito cento volte, egli sarebbe tornato cento volte a leccarle i piedi! Vile! vile! vile!... Era malato, era pazzo! quella era la sua malattia, quella era la sua pazzia! finch’ella vivrebbe!.., finchè vivrebbe!... Di altri!...

Ebbene.... sì! che importa!... Il passato.... che importa il passato?.. Cos’è il passato?... Purchè Elena fosse tornata ad amarlo? Perchè fosse tornata ad esser sua!... Fuggirebbe. Cambierebbe nome.... Dimenticherebbe ogni cosa!... Se ella poteva tornare ad amarlo!... Se ella lo vedeva! lì, in quel momento supremo, pronto a morire, con quel pugnale per uccidersi! — Le scoperse il seno, e chiamò con voce sorda:

— Elena!

Ella si riscosse atterrita, cogli occhi stralunati. Ebbe paura, e balzò fuori del letto, colla voce soffocata in gola dal terrore.

Egli continua a chiamarla, con uno strano accento di desiderio e d’amore: — Elena! Elena!...

Ella cominciò a gridare, pazza di terrore, chiamando aiuto!

— Ah! balbettò Cesare rabbrividendo sino alla radice dei capelli. — Ah! non mi ami più! non mi ami più! Non hai che paura!...

Allora, afferrandola per il braccio, colla mano ferma, colpì disperatamente, una, due, tre volte.




Fine

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