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Ferito!
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Durante la degenza di Mussolini nell’Ospedaletto, il nemico, violando ogni legge civile ed umana, bombardò quel luogo di sofferenze con aeroplani. Il ferito così narra in una pagina del suo Diario il doloroso fatto.
Mattina del 18 Marzo
Ore otto. Un po’ di sole. Il solito rombo degli aeroplani. Un ferito nuovo è giunto questa notte. Io non ho chiuso occhio. Stamani il termometro, 37,8. Stasera, segnerà 40.
Niente medicazione. Il sibilo di una granata. E’ scoppiata vicino all’Ospedale. Un’altra. Una terza. Un’altra ancora. Tutte a pochi metri dall’Ospedale. L’infermiere Parisi è tranquillo.
— Possibile — egli dice — che non vedano la Croce rossa sul tetto? Non hanno mai tirato in questi quattro mesi. Dunque! — Ancora un colpo. Il mio vicino, che ha le gambe fracassate da una bomba, li conta: siamo a 15.
— Son pasticci — dice un ferito alla clavicola.
Le medicazioni continuano al pianterreno. Vedo dalla porta spalancata sfilare le barelle. Salgono, dal basso, grida di dolore. Un rombo. Uno scrosciare di vetri nel corridoio, nelle camerate. I nostri lettucci hanno sobbalzato.
— Questa è caduta più vicina delle altre — dico a Parisi. Ma non ho finito di pronunciare queste parole, che un polverone bianco e denso si diffonde dalle camerate sulle scale. Dal polverone sbucano e corrono nella mia camerata, i feriti che possono camminare. Quelli inchiodati al letto si sono rovesciati giù, pazzi di terrore. I loro urli riempiono l’edifìcio. Uno, nuovamente ferito alla spalla, si è rotolato dalle scale.
Tutti i feriti della camerata li hanno trasportati nella mia. Il dott. Piccagnoni era a pianterreno e stava operando un ferito gravissimo. Dopo lo scoppio, ha lasciato il ferito agli assistenti ed è corso di sopra. Ha messo un po’ d’ordine. Ha rincuorato tutti. E’ stato ammirevole di calma e sangue freddo. Sistemati i feriti, è tornato giù a terminare l’operazione. Per fortuna, i nuovi feriti non sono gravi. Il più grave era ormai guarito. Ora una grossa scheggia gli ha rovinato una spalla! Continuano a fasciarlo. Perde tanto, tanto sangue! Quelli che possono parlare, commentano:
— Sono dei vigliacchi! Degli assassini! Ci vogliono uccidere per forza! —
Gi altri, che non possono parlare, fissano le pareti con gli occhi spalancati. Il sibilare delle granate — poiché gli austriaci continuano a sparare — provoca alcuni secondi di silenzio mortale. Ormai cadono lontano.
Il dott. Piccagnoni, insieme col dott. Vella e gli altri due medici, ritorna nella nostra camerata ed annuncia che nel pomeriggio tutti i feriti saranno portati al di là dell'Isonzo. I volti si rischiarano.
— E io? — domando. — Lei rimane. Non è trasportabile. Mi farà compagnia! —
Pomeriggio.
Tutti i miei compagni di dolore sono partiti. Nell’Ospedale sono rimasti i medici, il cappellano, gli infermieri. Di feriti, soltanto io. Silenzio grande nel crepuscolo...