< Il mio segreto
Questo testo è completo.
Francesco Petrarca - Il mio segreto (1347-1353)
Traduzione dal latino di Giulio Cesare Parolari (1839)
Prefazione alla traduzione
Citazione Francesco Petrarca ai posteri

Il nome di Francesco Petrarca suona famoso presso tutte le colte nazioni, siccome di leggiadrissimo ingegno, il quale togliendo la italiana poesia alla natia salvatichezza, minorata sì ma non tolta dagli immortali canti dell’Allighieri, la vestì di forme elette e gentili, cantando soavissimi versi d'amore. Ma pochi sanno quanta fosse la sapienza del pellegrino suo ingegno ne' filosofici studii, spezialmente nella morale; e come, ricco di svariate e molteplici cognizioni, s'adoperasse a risuscitare l’amore della letteratura latina pressochè spenta, L’autorevole esempio di lui, fu come fiaccola a illuminare le menti, a riporle sovra un cammino smarrito da secoli nella barbarie dei tempi. La corona del poetico alloro, che ne riportò in Campidoglio, acquistogli celebratissima fama; principe de’ poeti, lume sovrano delle lettere e della filosofia, ovunque lui richiedevano a grande istanza qual consigliere ed amico pontefici, principi e re; i quali, comechè non rischiarati ancora dalla luce dell’incivilimento, pure assai più che la potenza materiale, quella apprezzavano che si crea dalla singolare eccellenza dell'intelletto. Ma non inorgoglito da tanta grandezza, non corrotto da tante lodi, quest’uomo tenne sovra ogni altra cosa carissima la sua religione; e sì colle opere che cogli scritti pubblicamente diceva, la vera gloria consistere nell'operare il bene, la vera sapienza essere Gesù Cristo. Che se, come avviene di ciò che torna conto a discredere, a taluni sembrasse non vera questa sentenza, e noi li preghiamo a ricorrere all’ argomento dei fatti, che come ognuno sa, sono delle questioni gl'inappellabili definitori. Avvegnachè la vita del Petrarca non andasse esente di colpa; e qual’è l'uomo che possa chiamarsene affatto puro? ella però si ordinò, pressochè tutta, dietro le norme dell’onesto conversare e secondo le leggi della perfezione cristiana. Espiò con lagrime di pentimento le sue debolezze; se ne confessò reo, ne chiese a tutti perdono; ma, ed insieme si chiarì gagliardissimo sostenitore delle verità della fede, cui egli non arrossiva di professare apertamente in tanta corruzione ed incredulità di tempi, e ribattè le altrui non ortodosse opinioni, e visse nella intrinsechezza di ecclesiastici uomini per dottrina e bontà specchiatissimi; la preghiera gli suonava, oltre che continua nel cuore, altresì sulle labbra, nella frequenza de’ templi, c al cospetto delle moltitudini; memore dell’apostolico insegnamento che bisogna provvedere il bene, non solo dinanzi a Dio, ma altresì alla presenza degli uomini; di penitenti digiuni mortificava la carne, e non ometteva veruna delle pratiche, onde la pietà cresce e si conforta. Le molte vite scritte che abbiamo di lui, tutte ad una voce ne fanno testimonianza di tanto; e scrittori contemporanei di provata autorità ed altri che vennero dappoi, consentono nel dargli questa lode. Il Boccaccio, uomo troppo diverso da lui, per essere tacciato di parziale, così ne parla: «dalla sua giovinezza, menando celibe vita, fu tanto lontano da ogni carnale immondezza, che divenisse a quanti lo conoscevano, specchio santissimo di onestà. Egli mortal nemico d’ogni fallacia, di qualsivoglia vizio esecratore, esempio di virtù, consolazione e norma di cattolica santità; dolce, pietoso e verecondo tanto, da parere a tutti la castità in umane sembianze». (De genealogia Deorum l. 4). E Filippo Villani, scrittore quant’altri mai schietto ed ingenuo, e che visse di que’ tempi, di tal guisa di lui ragiona: «perfetta modestia, sobrietà e gravità compita era in quest’uomo; e virtù d’ogni maniera provata in lui così parve, che tutti lo riguardassero siccome esemplare di costumatezza. A dir breve, giovò al suo secolo, rotto ad ogni misfare, non meno coll’esempio che colle parole, perchè molti a norma di lui conformavano la vita» (de vita F. Petrarchae). E il Bellarmino e il Tritemio, annoverandolo tra gli autori ecclesiastici, in un’opera che scrissero tutti e due in tale argomento, ne fanno questa onorata menzione: «menò vita cristiana, dice il primo, quale a pietoso uomo si conveniva, e finalmente pio e santo morì». E l’altro «Non meno per santo conversare che per pietà fu illustre». Ma un’ altra prova, e di non minore efficacia, onde si mostri la cristiana bontà del Petrarca, abbiamo nei molti suoi scritti, E sebbene non ne sia ignoto che v’ebbero taluni, i quali, mentendo pensamenti ed affetti, altro scrissero ed altro operarono; pure ove si parli del Petrarca, questo sospetto non può cadere in veruna mente a cui sia intero il buon giudizio; perchè, di apertissima indole, egli mal avrebbe voluto macchiarsi del turpissimo peccato della ipocrisia. Si scorra da un capo all’altro il ponderoso volume delle opere sue, e, non che erronei principii, nemmeno parole riscontransi, che non suonino pienamente cristiane. Che anzi ove gliene venga il proposito, non lascia mai d'assumere d'assumere la difesa della religione, e di tutta spiegarne la sovrumana eccellenza; e pone in bellissima luce i benefizii, ond'ella rese felici i mortali, e deplora la miseria di chi vive lontano dal materno suo grembo; e spesso con affettuose preghiere si volge all'autore e conservatore di lei, perchè a tutti quanti sono insigniti del santo suo nome conferisca grazia e salute, E così parla e prega particolarmente nei molti libri di lettere che tuttora di lui si conservano; nei quali, scrivendo ad intimissimi amici, niun dirà ch’egli intendesse a mostrarsi altro da ciò che l'interior sentimento gli dettava da dentro. E fino nel Canzoniere, che dall'argomento che tratta sembra cosa tutta profana, a chi ben guardi, appariscono manifeste traccie della bontà di que’ principii dietro cui conformò la sua vita. Perchè fu egli, se non il primo, certo il principalissimo tra i poeti del risorgimento, che bandite le follie del pagano parnaso, purificasse ed annobilisse la più universale delle umane passioni; e quel continuo ricorrere al cielo, e il pentirsi della sua umana fralezza, ed il riporre ogni sua gioia vera in un migliore avvenire, collocato oltre i termini della presente esistenza, sono pensieri ed affetti che non potevano uscire, se non da un’ anima educata e nutrita alla purezza dei sentimenti sentimenti cristiani. — Ma lasciando ora di questo, che ne sarà tema a più lungo discorso, diremo che egli compose alcune operette che trattano di per sè religiosi argomenti; tra le quali e' non v’ha dubbio che non si deggia assentire il primo luogo a quella che intitolò: Del disprezzo del mondo; o II mio segreto. E ben a ragione la chiamò il suo segreto; sì perchè dettolla a sfogare l'interna amarezza che gli abbondava nel cuore, nel sentirsi troppo lontano da quella perfezione, a cui pure incessantemente aspirava; sì perchè proponeasi di non farne lettura a nessuno che non fosse tra’ suoi più cari; tanto è vero ch’essa non giunse alle mani del pubblico, se non dopo la sua morte. Sono dialoghi divisi in tre parti; nei quali togliendo ad imitare le Confessioni di s. Agostino, e lui stesso introducendo ad interlocutore, si fa ad intrattenersi delle cose dell’anima. Lungi dall'infingersi, o dal volerci apparire virtuoso, egli ci mette a nudo dinanzi il proprio cuore; e non ve n’ha piega, per quanto riposta, cui non ci svolga. Così discorrendo per tutti sette i peccati capitali, ne rivela le piaghe dell'anima sua; ed aiutato dalla pietosa opera del santo suo medico, s’adopera a portarvi l’opportuno rimedio. Dei quali perchè il più efficace è il pensiero della morte, egli promette egli tenerselo sempre vivo alla mente; e il saldo suo proponimento e le animatrici parole di Agostino gli danno buona speranza di final guarigione. Certo che altro monumento, il quale più di questo comprovi la religiosa indole e i cristiani principii d’uno scrittore, mal si saprebbe trovare. E siccome tale ci parve opportunissimo offrirlo ai nostri lettori; riserbandoci a miglior stagione di rendere perfetto il nostro lavoro, che esaminando parte a parte le opere del Petrarca, renderà compiuta la testimonianza di fede, cui condotti dall’ amore del vero ci siamo proposti di rendergli. Ma anche dal saggio che presentiamo ai lettori, pensiamo che sarà mostrata abbastanza la falsità di una sentenza che pur troppo ha messo radice nel cuore di molti; ed è, che la religione sia cosa da lasciarsi alle volgari intelligenze. —Francesco Petrarca, dotato di potente intelletto e forte di studii profondi, non che nelle lettere, nella filosofia, si condusse ad esaminare le verità nelle quali la religione si fonda. E come frutto delle sue meditazioni, gliene derivò una convinzione invincibile, un amor senza fine; in una parola, egli egregio cristiano nel cuore, non vergognò di chiarirsi anche tale alle azioni. Adunque i vacillanti nella fede, e quelli che si lasciano trabalzare da ogni vento di nuove dottrine, abbiano in lui un esempio di ortodossa credenza da seguitare; o lascino almeno, ove non amino incorrere anche nella taccia di stolti, di bestemmiare ciò che ignorano, a loro somma sventura.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.