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XIV.
Con la prima distribuzione non ebbi alcuna lettera. Risolsi di passare al Museo germanico le tre ore che mancavano alla seconda. Mi aggiravo da un’ora per quel laberinto di alte sale, di scale marmoree, di chiostri gotici, dove zampilli mormorano nella penombra e una fioca luce cade dai cristalli dipinti, colora sculture sepolcrali. Sostavo talora a guardare da una porticina aperta il vivo verde di un cortile, a respirar l’aria chiara e pura, e guardavo appunto il colossale Orlando di Brema nel cortile, non so se ventesimo o decimonono, quando udii dietro a me una voce che mi parve riconoscere. Mi voltai; un vecchio signore dall’aspetto ecclesiastico parlava adirato con un custode che lo ascoltava sorridendo. Conoscevo una voce simile, sì; ma l’uomo non l’avevo mai veduto. Egli inveiva contro l’asineria di chi aveva levato non so qual San Giorgio di pietra da una casa di Norimberga, per collocarlo nel Museo. Poi lasciò il custode e mi passò davanti tutto fremente per uscire nel cortile a vedere da presso l’Orlando. Nel passare mi piantò in viso gli occhi furibondi come per dirmi «e Lei non mi dà ragione?» Vestiva tutto di nero, era piccolo e alquanto curvo; al fuoco degli occhi contraddiceva l’apparenza senile della persona. Fece rapidamente il giro dell’Orlando e ripassandomi davanti mi borbottò con una spallata: «Cement!» Mi domandai ancora dove diamine avessi udita quella voce.
Lo ritrovai in una cappella della chiesa che ha le collezioni di arte ecclesiastica. Era seduto davanti al quadro di Kaulbach, dove il giovane Ottone III, dopo un banchetto in Aquisgrana, irrompe con i suoi compagni d’orgia, per un capriccio d'ebbro, nella tomba del grande imperatore Carlo e ne scopre al chiaror delle fiaccole il cadavere in trono, maestoso e terribile. Lo sconosciuto sfogava la sua ammirazione da solo, ripetendo «bello! bellissimo!» Si alzava dal suo sgabello, correva a fiutare, quasi, col suo lungo naso aguzzo, le figure, e tornava frettoloso a sedere. Mi vide e mi disse, tutto ancora scintillante in viso, ma di piacere:
— Questa è una consolazione. — La mia memoria ebbe un lampo; era la voce dell’uomo che aveva conversato con Violet la sera prima, davanti al caffè Sonne. Mi affrettai a parlare, a consentire con lui, ma solo in parte, per pungerlo e trattenerlo. Ammirai la composizione del quadro e feci qualche appunto al colore, torbido e languido. Non so come glielo dicessi, perchè parlo un tedesco assai stentato e scorretto. Credetti che mi volesse mangiare. — Wie! Wie! Wie! Es ist ja eine Gruft! Est ist ja eine Leiche! — Come? Come? Siamo in una fossa! Vi è un cadavere! — Mantenni la mia opinione. Le ombre del quadro sono scure, ma non hanno profondità, la luce delle fiaccole sul cadavere è gialla ma non viva, il rilievo delle figure è scarso. Discutendo, lo sconosciuto diventava più mansueto. — Finalmente — diss'egli — io non posso discorrere molto sul colore, io vado all’idea; l’idea è la linea che in natura non esiste, che esiste nella mente. La mia mente vede in quella del grande poeta che ha dipinto qui. Una grande idea! Una grande visione del passato! Cosa m’importa che sia languida o torbida? Mi fa più impressione così. Lei è francese, signore? — Quando udì ch’ero italiano, mostrò una vivissima e lieta sorpresa. Mi afferrò le braccia.
— Aus Rom, mein Herr? Aus Rom?— Intesi che la mia risposta gli riuscì una delusione. Sperava che fossi di Roma o almeno di Venezia, o di Firenze; ma si rassegnò subito alla mia modesta patria lombarda.
— Oh Italia, Italia! — diss’egli — Ille terrarum mihi præter omnes angulus ridet! Lei capisce?
— Ubi non Hymetto— risposi — mella decedunt....
Credo che mi avrebbe abbracciato; oramai eravamo amici.
Si visitò assieme le collezioni ecclesiastiche. Lo sconosciuto discorreva molto e piacevolmente. Non era la prima volta che visitava il Museo; non ne voleva vedere se non due o tre sale per volta. Infatti i custodi lo conoscevano. Ne udii uno che lo additava ad un collega, e diceva ridendo: der Schwabe! Intanto era venuta l’ora della seconda distribuzione postale e mi congedai dal mio compagno, che volle ci scambiassimo le nostre carte di visita. Trasalii leggendo sulla sua: D.r Stephan Topler. Non ero sicuro se fosse un prete o no; ma che fosse il fidanzato non era possibile!