Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | XXIV | XXVI | ► |
XXV.
Alle dieci la mattina seguente ero già fuori della Westenvorstadt. Luise comparve colla sua sorellina all’ora indicatami. Era molto pallida e seria; pareva commossa quanto me. Io aspettavo in silenzio che parlasse. Avevo inteso la sera prima, e ora il suo viso mi confermava che sapeva tutto; ciò e l’aspettazione affannosa mi toglievan la voce. Ella mi guardò, sorpresa del mio aspetto; quasi atterrita, mi parve. S’affrettò a dirmi che aveva per me un saluto, un solo saluto. Sentivo che aveva altre cose a confidarmi e non ne trovava la via; nè io trovavo la via d’aiutarla. Non seppi dirle che questo:
— Un saluto di miss Yves?
Ella non rispose; mi disse invece sottovoce e in fretta: — Voglio bene a Violet, mi rincresce che sposi il professor Topler.
Dimenticai ch’eravamo in istrada, le presi una mano, gliela strinsi. Un subito rossore le divampò in viso; ritirò la mano. Le chiesi scusa, ciò che la fece arrossire ancor più. — È un’idea mia — disse — quello che faccio, — Nessuno dovrà saperlo mai mai. Mi prometta che non dirà niente a nessuno.
Povera cara fanciulla, se avesse avuto ancora la sua mamma non avrei mai saputo nulla di quest’idea, probabilmente, neppur io; così seguiva il suo cuore caldo e la sua testolina immaginosa. Però esitava, aveva paura, come un ragazzo che conduce solo un cavallo ardente, ne gode e trepida.
— Mi prometta anche questo — soggiunse dopo una breve pausa — mi dia parola d’esser sincero con me. Pensa male di me, crede che sia una pazzia di mescolarmi in questa cosa?
— Ma no! — esclamai.
— Perchè — diss’ella — a casa mia lo crederebbero di certo. Però mi fido di Lei.
In fatto non so come la cara giovinetta potesse avere fiducia in me che conosceva appena, e certo il suo atto non era conforme alla prudenza del mondo. Credo averlo giudicato anche allora, quando disse: mi fido di Lei. Confesso che tacqui, con un lampo di rimorso, il mio giudizio e la pregai, palpitando, di parlare.
— Vorrei che la mia amica fosse felice — disse ella arrossendo ancora — e credo di aver capito come lo sarebbe.
Giunsi le mani in silenzio; una gratitudine, una tenerezza troppo forte mi facevan groppo alla gola. — Ho saputo tutto dalla zia — riprese Luise — che lo sapeva dal dottor Topler. Violet non mi ha raccontato niente. Mi ha detto solamente che parte stasera e che se vedevo Lei, Le facessi i suoi saluti. Allora la zia non mi aveva ancora parlato e mi meravigliai molto di questa partenza affrettata. Violet mi abbracciò, mi baciò, mi disse: cara bambina! — e niente altro. Io l’amo quanto posso, ma già lei mi tratta sempre così: «cara bambina, cara bambina!»
Le vidi gli occhi umidi.
— Ha torto — riprese — ma non importa. Ne chiesi a mia zia e capii subito che sapeva e non voleva parlare. Povera zia, quando voglio io!...
Stavolta gli occhietti azzurri scintillarono di malizia e di orgoglio. Ella mi raccontò poi che Topler aveva pregato sua zia Treuberg di chiedere informazioni sul mio conto e che intanto aveva interrogato Violet, la quale si era mostrata fermissima nel proposito di tenere la promessa data al professore, anzi lo avea caldamente pregato di tacere del tutto con quest’ultimo. Allora Topler era ritornato per consiglio dalla signora di Treuberg, la quale riteneva che di fronte a un contegno risoluto di miss Yves io mi sarei dato per vinto, e che quindi si potrebbe tacere ogni cosa al fidanzato. Perciò fu deciso che Violet, con un pretesto, partisse subito per Norimberga. Il povero Topler, nuovo a simili impicci, ora dava in escandescenze, ora cadeva in abbattimenti, ci si smarriva e si affidava in tutto ai consigli della signora Treuberg, che era una buona creatura, ma non la sapienza in persona, secondo Luise.
— E dunque? — diss’io storditamente.
Luise mi guardò. Il suo sguardo penetrante mi umiliò, mi rivelò di botto una donna nella giovinetta. Diceva: come mai domanda? Come mai non intende che deve seguire Violet? Come mai ama? Nessuna parola umana avrebbe potuto significar ciò più chiaramente di quegli occhi.
— Lo so! — esclamai senza ch’ell’aprisse bocca. — Mai non mi darò per vinto! Ma credevo che Lei avesse ancora qualche cosa a dirmi.
Luisa richiamò la sua sorellina che correva verso il fiume.
— No — diss’ella poi — non ho altro. — Cioè — soggiunse precipitosamente — ci sarebbe un’altra cosa, ma questa non è necessario che la dica.
La scongiurai di dirmi tutto, tutto.
— No — diss’ella, sfavillando a un tratto del suo solito malizioso brio. — Non la dico e non la dico!
Mi parve che si ostinasse in parte per divertirsi, in parte per la fierezza del suo spirito ribelle a qualsiasi violenza. Lessi in pari tempo sul suo viso che non avrebbe ceduto a un re.
— Non deve credere, — soggiunse, — perchè Le ho detto tanto, che Le direi tutto! E adesso io ritorno sola in città. L’avverto che Violet parte alle quattro e mezzo.
La ringraziai di quanto aveva fatto per me, di quello che sapevo e di quello che non sapevo; ma ella rifiutò i miei ringraziamenti dicendo che cercava solo il bene della sua amica, e che non poteva soffrire il signor Topler con tutta la sua gran bontà noiosa, che ciascuno lodava. Un uomo così vecchio, così goffo, così plump, voler sposare Violet Yves! Ma la colpa maggiore era di quegli stupidi zii di Norimberga.
Ci dividemmo. Ella rientrò in città, e io m’indugiai un tratto sui prati a cercar senza frutto che potesse esser mai l’altra cosa taciuta.