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XXXVIII.
Rientravamo in giardino dal passeggio.
— Perchè mi ami? — diss’ella. — Ancora per il sogno?
— No no — risposi ridendo. — Per i sogni... La prego di dire per i sogni, signorina... capisco adesso che non L’ho amata mai.
— Questo? — esclamò Violet sorpresa, ma con un viso felice. — Allora Lei mi ha indegnamente ingannata, gentile signore. Lei mi ha recitato una perfetta commedia a Belvedere con quelle belle frasi sulla mia voce, la vita e la speranza. Ma bravo! E quando mi hai fatto l’onore di cominciare a volermi bene?
— Non ti ho mai ingannata un momento — replicai — ma credo di essermi ingannato io stesso, credo che quella gran commozione per la tua voce fosse puramente un’ebbrezza di fantasia. Sai quando mi figuro d’aver cominciato ad amarti veramente? Sul prato di S. Nazaro quando sei stata tanto cattiva, quando mi hai detto quella bella impertinenza del tutto volgare.
— Oh che tardi! — diss’ella giungendo le mani; e rise. Com’era piacevole e ricreante di ricordare le sue pungenti parole, il suo sussiego di quel giorno, e d’udirla adesso a ridere così, di dirle tu!
Prese a un tratto un’aria compunta, abbassò gli occhi e sospirò:
— Povera me, io ho cominciato molto prima.
— A Roma? — diss’io. — Dopo aver letto Luisa?
Violet si mise a ridere. — Troppo presto! — diss’ella. — Com’è presuntuoso il signore!
Poi mi confessò sul serio che quando a Belvedere le aveano annunciata la presenza dell’autore di Luisa, ella, che aveva attribuito il libro a una donna, n’era stata scossa nel cuore malgrado sè stessa.
— Ti vidi — continuò — prima che tu mi parlassi. Ti trovai un’aria così grave e severa che la idea dell’amore si allontanò da me e ne fui contenta; ma quando mi parlasti la seconda volta ne rimasi un po’ colpita, e quando poi le nostre mani si sfiorarono sul cannocchiale sentii per un attimo con tutta me stessa che ci potremmo amare. Le tue parole su coloro che amano due volte mi fecero rimescolar tutta; però resistevo e sopratutto volevo nasconderti il mio sentimento; alcune altre tue parole che in fatto non mi piacquero m’aiutarono a fingere. Dio mio, sul prato di S. Nazaro ti amavo già e mi costò tanto di essere così dura! Potevi ben capire che lo ero troppo!
— E quella partenza — diss’io — quanto male m’ha fatto!
— Non ne parlare! — rispose Violet sotto voce, ma con un impeto d’angoscia. — Non parlar mai più del male che t’ho fatto!
Camminammo in silenzio fino a casa. Appena passata la soglia Violet mi accostò le labbra all’orecchio, mi bisbigliò con voce lenta, grave di passione:
— Voglio essere amata col cuore, sai, non colla fantasia.