< Il paradiso perduto
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John Milton - Il paradiso perduto (1667)
Traduzione dall'inglese di Lazzaro Papi (1811)
Libro sesto
Libro quinto Libro settimo


Rafaelo prosegue a narrare come Michele e Gabriello furono spediti contro Satáno e gli Angeli seguaci di lui. Satáno col suo esercito si ritira nella notte: raduna un Consiglio: è inventore di macchine infernali che nella battaglia successiva mettono in qualche disordine l’esercito di Michele; ma finalmente gli Angeli fedeli, sotto le montagne da essi svelte e lanciate, opprimono le macchine di Satáno. Sempre più cresce il tumulto; onde l’Eterno spedisce nel terzo giorno il Figlio, a cui l’onore della vittoria era riserbato. Questi si reca sul campo di battaglia rivestito della paterna possanza, e vietando alle sue regioni di fare verun movimento, col suo occhio e col suo fulmine in mano si avventa in mezzo a’ nemici che sono di repente rovesciati, e gl’insegue fino al muro del cielo che da per sé si spalanca. I ribelli sono precipitati nel fondo dell’abisso dalla divina giustizia a loro preparato. Il Messia trionfante ritorna la Padre.


 
Tutta notte del ciel gl’immensi campi,
Senza che alcun l’insegna, a vol trascorre
L’intrepido Abdïello infin che l’alba,
Desta dall’ore circolanti, schiude
5Con rosea mano all’almo dì le porte.
Nel divin monte e al divin soglio appresso,
S’apre con doppio varco un vasto speco,
D’onde con un perpetuo alterno giro
La luce o l’ombra uscendo, or con notturna
10Or con dïurna imagine più vago
Rendono il cielo. Esce d’un lato il lume,
E tosto obbdïente entra per l’altro
L’oscurità fin che il momento arrivi
Di stendere il suo velo; onde la notte
15Si fa lassù che a tramontante giorno
Sarìa quaggiù simíle: e già, qual suole,
Nel più eccelso del ciel sorgea l’Aurora
D’oro empireo vestita, e a lei davante
Si dileguava da’ novelli raggi
20Saettata la notte, allor che tutto
D’ordinati squadron, d’armi, di carri
E di celesti ignei corsier s’offerse
Dell’Angelo agli sguardi il vasto piano
Gremito, ricoverto, e fiamme e lampi
25Lungi riverberante. Ei guerra vede,
Guerra imminente, e noto già quant’egli
Credea recar per nuova: all’oste amica
Lieto si mesce che fra sè con lungo
Ed alto plauso universal lo accoglie,
30Come quell’un che non perduto riede
D’infra tanti perduti. Al sacro monte
Il guidan tosto e al sommo seggio innanzi,
Ove dal sen d’un’aurea nube questa
Voce soave risonò: - Ben festi,
35Servo di Dio; della più dura prova
Trionfatore uscisti, incontro a tanto
Popol ribelle sostenendo invitto
Tu sol del Vero la ragion, tu solo
Più ch’esso in armi, ne’ tuoi detti forte
40Tu d’un’immensa moltitudin rea
L’onte e gli scherni a tollerar più duri
Che la forza medesima non fora,
Magnanimo affrontasti, e fu tua sola
Cura agli occhi di Dio serbarti integro.
45Più agevole vittoria or ti rimane;
Da queste circondato amiche schiere
Là, con più gloria che non fu lo scorno
Nel partirne, ritorna, e chi per legge
Aver non volle la ragione, i miei
50Giusti decreti e per sovrano il Figlio
Ch’ebbe per dritto de’ suoi merti il regno,
Sia con la forza domo. O de’ miei prodi
Prence, Michele, e tu ch’a lui sì presso
Stai per valore, o Gabrïel, di questi
55Miei figli le invincibili coorti
Alla pugna guidate, incontro all’empie
Turbe un numero egual de’ miei s’affronti
Angeli innumerevoli: col ferro
E con le fiamme intrepidi assalite
60L’iniqua ciurma, e fin del ciel sull’orlo
Non cessate inseguirla: in bando eterno
Lungi da me nel Tartaro sia spinta,
Che a divorarla già l’avide gole
Spalanca e gli affocati immensi abissi.
65Così parlò quell’alta voce, e il monte
Cominciò tutto d’improvvise nubi
Ad oscurarsi e tra fumose ruote
D’ora in ora a mandar vampe e baleni,
Di svegliato furor tremendo segno.
70Nè spaventosi men dall’alta cima
I feri accenti dell’eterea tromba
Rintonaron repente. In quadra, densa,
Irresistibil, taciturna massa
Tosto s’avanzan le falangi al suono
75Di bellica armonìa che loro in petto
Sparge un eroico ardor, sotto i raggianti
Lor duci che di numi hanno sembianza,
Di numi armati a sostener del nume
La causa e del Messìa. Non monte opposto,
80Non stretta valle o bosco o fiume arresta
Il corso lor, nulla scompone il saldo
Indissolubil ordine; che i vasti
Fendeano empirei campi alto dal suolo,
E le lor sosteneva orme leggiere
85L’aere soggetto. In ordinate file
Dinanzi a te le aligere caterve
Qui s’affrettâr così, quando lor desti
I varj nomi. Spazïosi regni,
Smisurate provincie, onde sol fora
90Quest’umil terra un breve tratto, indietro
Il campo si lasciò. Verso Aquilone
Sull’orizzonte più remoto alfine
Vasta pianura ecco apparir che sembra
In aspetto guerrier da un margo all’altro
95Una continua fiamma, e più d’appresso
Presenta al guardo un folto orrido bosco
Di dardi e d’aste; innumerabili elmi,
E scudi innumerabili, dipinti
Di pompose divise. Era Satáno
100E gli empj suoi che furïosi all’armi
Eran già corsi, ed occupar di Dio
Credean per forza o per sorpresa il monte
Quel giorno stesso, e sul supremo soglio
Quell’invido locar fellon superbo.
105Vani, stolti disegni, a mezzo il corso
Frastornati, dispersi! A quell’aspetto
Dubbio pensier da pria ci scosse. - Ah! dunque
Il cielo incontro al cielo, Angeli incontro
Angeli affronteransi? Essi che, figli
110D’un sol gran padre, tante volte e tante
Furon compagni alle medesme feste
D’amor, di gioia, ed intuonaro insieme
Inni all’Eterno? - Entro il suo cor ciascuno
Di noi così dicea, quando di guerra
115Il ruinoso suon troncò repente
Ogni dolce pensiero. Alto nel mezzo,
Su cocchio rifulgente a par del sole,
Il disertor del ciel, bugiarda imago
Di contraffata maestà divina,
120Satán da lungi apparve intorno cinto
Di fiammeggianti Cherubin che schermo
D’aurei scudi gli fean: dal soglio eccelso
Ei balza quindi al suol: chè breve omai
E tremendo intervallo una dall’altra
125De’ campi dividea l’orride fronti
(Sterminata ordinanza!), e a lunghi passi,
Superbamente torreggiando, innanzi
Alle prime sue schiere ecco s’inoltra,
Tutto coperto d’adamante e d’oro,
130Sull’orlo della pugna. A quell’aspetto
Freme Abdïello di magnanim’ira,
Abdïel che infiammato a illustri imprese
Tra i più prodi guerrier là stava, e seco
Così ragiona: - Oh cielo! e tanta ancora
135Riman divina imago ove più fede
E lealtà non è? Perchè la possa
Colla virtù non manca, e ’l più superbo
Non diviene il più fiacco? In vista ei sembra
Invincibile, è ver; pur io, fidando
140Nel tuo soccorso, onnipossente Dio,
Affronterollo, e d’atterrarlo ho speme
Al par di sue ragion fallaci e vane.
Sì, giusto è ben che vincitor nell’armi
Anco sia quei che insuperabil stette
145Campion del Vero; e se vil guerra infame
Move la forza alla ragion, ben dritto
È che forza maggior la forza abbatta.
Sì parlando fra sè, fuor dell’armato
Suo stuol si slancia e ’l fier nemico, acceso
150Di maggior rabbia a tal baldanza, affronta
E ’l rampogna così: - Scontrato alfine
Tu sei, fellon superbo? Era tua speme
Giugner senza contrasto all’alta meta
De’ tuoi disegni rei? trovar pensasti
155Pel terror di tua possa o per la forza
Di tua lingua deserto il divin soglio,
Il soglio di quel Dio ch’osti infinite
Trae con un cenno dalla polve fuora,
Di lui che stende il solitario braccio
160Di là d’ogni confino, e con un lieve
Suo tocco, ei sol, te annichilar con quante
Schiere hai d’intorno, e giù nel buio eterno
Sommergere ti può? Ciascuno, il vedi,
Non seguì tuoi drappelli; ha Dio tuttora
165Per sè qualche fedel: cieco a te cieco
Io parvi allor che a te, che a tanti iniqui
Oppormi osai: solo or non sono, e chiaro
Scorgi, ma tardi, che talor sol uno
Segue il dritto sentier, mentr’erran mille.
170- Mal per te (disdegnoso a lui risponde
E torvo il gran nemico) il primo giungi,
Primo ti cerca la vendetta mia,
E primo avrai la tua mercè. Cotanta
Audacia tua che nel Senato augusto,
175Ove raccolta stavasi la terza
Parte de’ numi, ad innalzar ti spinse
Sedizïose voci, il braccio mio
Primiera sentirà. Niuno è fra questi
Che, mentre in cor l’eterea fiamma e ’l divo
180Valor si sente, riconoscer voglia
Onnipotente alcuno. Alto desìo
Di gloria inver, ma periglioso troppo,
Ti spinge innanzi agli altri, e grato assai
Fiami il mostrar in te qual sia la sorte
185Che lor sovrasta. Un qualche istante io solo
Sospenderolla, onde non sia tuo vanto
Il mio tacere. Odimi dunque: a Spirti
Celesti io mi pensai che fosse il cielo
E libertade una medesma cosa;
190Ma veggo or ben che di torpore ingombro
Il numero maggior, tra feste e canti
Sol uso, ama il servir. Tai son le vili
Tue torme di cantori, imbelli schiavi,
Ch’osan servaggio a libertade opporre,
195E tai quest’oggi il paragon dell’armi
Li mostrerà. - D’uno in un altro errore
(Torvo Abdïel soggiunge) ognor t’avvolgi,
Ribelle spirto, e poichè ’l dritto calle
Abbandonasti, anco avvolgendo sempre
200T’andrai vie più. Dov’è il servaggio allora
Che quanto vuol natura e Dio s’adempie,
E sì sublime è di chi regna il merto?
Qual paragon fra noi, fra Dio? Chi saggio,
Chi buon, chi degno, chi possente al paro
205Esser puote di lui? Ben quegli è schiavo
Che uno stolto signore a te simile
Scêrsi potè, che di servir sofferse
Un ribelle, un fellon: così codeste
Torme servono a te, così lo schiavo
210Di te stesso tu sei, tu ch’osi audace
Il glorïoso ministero nostro
Rinfacciarci empiamente: a te dovuto
Regno è l’inferno, e là tra ferri aspetta
Il guiderdon di tua perfidia: in cielo
215Eternamente io servirò l’Eterno,
Fedele e pronto osservator de’ suoi
Giustissimi comandi. Abbiti intanto
Quell’omaggio che merti. - Ei dice, e sopra
Il superbo cimier ratto gli avventa
220Con gran tempesta un colpo. Occhio o pensiero
Prevenir non potea, non che lo scudo
Tanta ruina. Barcollando indietro
Ben dieci lunghi passi andò Satáno,
Piegò i ginocchi alfin, ma si sostenne
225Sulla sua lancia smisurata. Un monte
Così talor la ringorgata possa
D’acque o gl’irati sotterranei venti
Dal suo sito trabalzano e con tutti
I pini suoi l’affondan mezzo. Un alto
230Stupor assalse le ribelli squadre
E rabbia anco maggior, veggendo a un tratto
Il lor più prode a terra: un lieto grido
Con fausto augurio alzano i nostri, e un fero
Di battaglia desìo gl’infiamma. Allora
235Michele impon che della mischia il segno
Dia la gran tuba. Ne rimbomba tutta
Del ciel l’ampiezza, ed il celeste Osanna
Le fide schiere intuonano. Non stette
L’oste nemica a bada, e al fero scontro
240Non men fera scagliossi. Or procellosa
Furia s’innalza e non più udito in cielo
Fragore immenso, universal: le urtate
Armi rendon discorde orribil suono,
E metton fiamme e folgori le ruote
245Degli enei carri; d’infocati dardi
Fischia per l’aere un così denso nembo
Che quasi sotto ad ignea vôlta copre
L’un’oste e l’altra; di terribil mugghio
Lungi rintrona il cielo, e se allor v’era
250La terra, tutta si sarìa la terra
Scossa dall’imo centro. In te stupore
Non desteran miei detti, o Adam, se pensi
Che d’ambo i lati milïoni insieme
D’Angeli s’affrontaro, onde sol uno
255E ’l minimo di lor, brandito avrebbe
Questi elementi ed agguagliato tutta
La forza di lor masse. Or qual dovea
Dei due campi infiniti esser la possa
E l’urto immensurabile, bastante
260Tutto a crollar dalle sue sedi il cielo,
Se quei che tutto può, certi confini
Alle lor forze non ponea? Là sembra
Un numeroso esercito ogni schiera,
E ad una schiera rassomiglia in forza
265Ciascuna destra. A valoroso duce
È pari ogni guerrier, ciascun sa quando
Avanzarsi o star dee, quando lo sforzo
Della pugna girar, quando le file,
Fieri solchi di guerra, a chiuder s’hanno,
270Quando ad aprir: niun di ritratta o fuga
Pensier, niun atto ignobile: ciascuno
Fida in se stesso, e nel suo braccio solo
Par che riposta la vittoria estimi.
Degne d’eterna fama illustri imprese
275Ed infinite han loco; ampia si sparge
La zuffa e varia; or sullo stabil suolo
Fermano il piede, or sul vigor dell’ali
Ergonsi l’aria a tempestar che sembra
Tutta di foco un procelloso campo.
280Dubbia per lungo tempo in lance eguale
La battaglia pendè, quando Satáno
Che valor portentoso avea dimostro
Tutto quel giorno e niuno a sè nell’armi
Trovato egual, colà s’avviene alfine
285Ove dei Serafin più densa e fera
Arde la mischia, e di Michel la spada
Scorge che intere squadre a un colpo miete.
Alto brandito ad ambe man con lena
Immensa discendea l’orribil ferro
290Sterminator. Ratto colà Satáno
S’affretta ad impedir tanta ruina,
E ’l suo scudo di decuplo adamante
V’oppon, rotonda, vasta, alpestre mole.
Al suo venir l’Arcangelo possente
295Rattiene il braccio distruttore: ei spera
Che, sottomesso e strascinato in ceppi
Il duce de’ ribelli, avrà pur fine
Quell’intestina guerra, e torvo il ciglio,
Acceso il volto, a dirgli prende: - Iniquo
300Autor del male, del mal che nome ignoto
Fu sempre in cielo e v’infierisce or tanto
Con quest’acerba abbominevol lutta,
Di cui pur debbe alfine a te sul capo
Ed a’ seguaci tuoi cadere il danno,
305Ah! com’hai tu di quest’eterna pace
Il bel seren turbato ed a natura
Gittati in sen col tuo delitto i primi
Germi d’ogni miseria! ahi come in tanti
Già puri e fidi, or traditori e felli
310Stillasti il tuo velen? Ma non pensarti
Di turbar qui l’almo riposo: il cielo,
Che di letizia è sede, opre non soffre
Di vïolenza e guerra, e in bando eterno
Da sè ti scaccia: vanne, e teco mena
315Il male, empia tua prole; entro i suoi golfi
Te colla ciurma tua l’inferno attende.
Il tuo furor laggiuso e le tue trame
Traggi con te, laggiù t’affretta innanzi
Che questa spada ad eseguire imprenda
320La tua condanna, o pria che l’ali impenni
L’ira divina e colaggiù t’avventi
Con pena assai maggior. - Tu pensi (bieco
Gli risponde Satán) col vano fiato
Di tue minacce atterrir lui che ancora
325Non potesti coll’opre? Il men gagliardo
Hai tu de’ miei per anco in fuga spinto,
O abbattuto così che tosto invitto
Non risorgesse? E or me più agevol stimi
Piegar co’ detti imperïosi e quinci
330Scacciarmi colla voce? Ah folle! questa
Che tu di fellonia chiamare ardisci,
E noi chiamiam di gloria alta contesa,
Così non finirà. Coll’armi in pugno
O qui trionferemo, o queste sedi
335Noi cangeremo in quel medesmo inferno,
Di che tu cianci, liberi pur sempre
Se regnar non possiam. Tue forze estreme
Or tu raduna, e quelle insiem di lui
Che chiami onnipossente, anco v’aggiungi;
340Non fuggo io, no, chè da lung’ora in cerca
Di te mi raggirai. - Dissero, e pronti
Eccoli al gran cimento. Or qual potrebbe
Lingua, benchè celeste, i fatti eccelsi
De’ due campioni raccontare? e quale
345Poss’io quaggiù fra le terrene cose
Paragon ritrovar che a tanta altezza
Di divino valor sollevi ed erga
L’umano imaginar? chè ben di numi
Hanno sembianza alla statura, all’armi,
350Se movono, se stanno, atti del cielo
A decider l’impero. Or l’ignee spade
Ruotano e in fulminosi orrendi cerchi
Squarciano l’aere: due gran soli opposti
Sembran gli ardenti scudi. Orror, stupore
355Le schiere ingombra, che repente indietro
Si fan, lasciando ai due guerrier sovrani,
La ’ve più folta era la mischia, un largo
Campo nel mezzo. Anco è periglio l’aura,
Che fischia e rugge ai colpi lor. Men grande
360Fora l’urto e ’l fragor, se, di natura
L’ordin sconvolto e fra i celesti globi
Insorta guerra, furïosi incontro
L’uno dell’altro si scagliasser due
Astri nemici in mezzo al cielo e insieme
365Confondesser le sfere. Ecco ad un punto
Ciascun di loro il poderoso braccio
Che sol dal divin braccio è vinto in forza,
Alza e tal colpo libra, onde per sempre
La gran contesa alfin decisa resti,
370Era egual la destrezza, egual la possa;
Ma il brando che a Michel lo stesso Dio
Diè di sua mano, e dalla rocca avea
Dell’armi sue già tolto, è di tal tempra
Che al suo terribil filo acuta o salda
375cosa non regge. Di Satán la spada
Che d’alto scende ruïnosa, a mezzo
L’aer esso incontra e ratto in due la parte;
Nè s’arresta Michel, ma con veloce
Giro al nemico d’un rovescio fende
380Profondamente il destro lato. Allora
Satán da pria sentì ’l dolore, e tutto
Si contorse e fremè: sì fero e crudo
Gli aprì le membra quel superno acciaro!
Ma la sostanza eterea, a lungo mai
385Non divisibil, con stupendo e pronto
Ricorrimento ammarginossi. Un rio
Di nettareo sgorgò sangue celeste
Dalla gran piaga fuor, qual dai superni
Spirti uscir puote, e il già sì terso arnese
390Tutto gli tinse. D’ogni lato a un tratto
In suo soccorso e in sua difesa molti
Volâr de’ suoi più forti, e su gli scudi
Altri al suo carro il riportaro intanto
Fuor della pugna. Ivi il posâr ringhiante
395D’atroce rabbia, di dolor e d’onta,
Chè scorge aver chi lo pareggia, e doma
Sente cotanto quell’audace speme
D’agguagliarsi all’Eterno. Ei riede tosto
Sano però qual pria: chè all’uom simìli
400Non son gli spirti già, ma vigor pari
Hanno di vita in ogni parte, e solo
Distrutti appien, ponno morir. Somiglia
La lor testura al fluido aere leggiero
Che scisso appena, è riunito: in essi
405Tutto spira, ode, vede e sente e pensa,
E a grado loro or dense forme or rare
Prendon, vario color, vario sembiante,
Varia statura. Non men degne intanto
D’eterna fama luminose imprese
410Han loco in altro lato ove il possente
Gabrïele combatte, e ’l denso stuolo
Del feroce Molocco urta e rovescia
Innanzi a’ suoi stendardi. In suon d’orgoglio
Vantava questi strascinar avvinto
415Del suo carro alle ruote il pio guerriero,
E contro il Santo Unico in ciel dal negro
Labbro scagliava empie bestemmie, allora
Che d’un subito colpo infino al cinto
Rimase fesso, e con squarciato usbergo
420E fieri urli fuggì. Sull’una e l’altra
Ala Urïele e Rafaello in fuga
Spinsero i lor nemici Adramelecco
Ed Asmodéo, benchè membruti ed alti
E armati d’uno scoglio d’adamante,
425Due Troni potentissimi e superbi
Ch’esser da men che numi aveano a sdegno;
Ma da ferite orribili squarciati
Per entro a piastra e maglia appreser tosto
Meno audaci pensier. Nè lento è altrove
430A travagliar le ribellanti torme
Il valente Abdïel, chè stende al suolo
Con raddoppiati spaventosi colpi
Arïele, Arïocco, e quell’orrendo
Turbine Ramïel, da fero foco
435Inceso ed arso. Or qui di mille e mille
Narrar le gesta ed eternare i nomi
Sulla terra potrei; ma quegli eletti
Spirti, contenti di lor fama in cielo,
D’umane lodi non si prendon cura;
440E de’ nemici lor, sebbene in possa
Meravigliosi ed in guerriere prove,
E di fama bramosi, il ciel per sempre
Ogni memoria cancellò da’ suoi
Sacri volumi; onde nel nero obblìo
445Si lascin senza nome. Allor che forza
È da giustizia e verità divisa,
Sol merta onta e disprezzo, ancor che aspiri
A gloria e cerchi coll’infamia fama:
Copra quegli empj alto silenzio eterno!
450Dell’oste avversa i più famosi e forti
Già vinti e domi, ad ondeggiar comincia
L’intero campo loro, in molte parti
Percosso e rotto. Entra pertutto cieca
Confusïon, scompiglio; è sparto il suolo
455Di fracassati arnesi; ignei spumanti
Corsieri e carri e condottieri insieme
Giaccion sossopra in spaventevol monte
Chi abbattuto non è, stanco s’arretra,
Spossato, trafelante; omai da freddo
460Spavento presa e da languore oppressa
La maggior parte de’ nemici, inetta
È alla difesa; in vergognosa fuga
Tutti già vanno. Del lor fallo in pena,
La tema ed il dolore, a cui suggetti
465Non eran per l’innanzi, essi la prima
Volta or provaro. Tal non fu la sorte
Delle sciolte da colpa elette schiere:
In cubica falange intera e salda
Elleno s’avanzâr: delle lor armi
470Egregia, impenetrabile è la tempra
Instancabile il braccio, e benchè smosse
Per la forza talor d’urto possente
Sien dal lor posto, pur sicure e immuni
Son da ferite e duol: grazia sovrana
475Che alla lor fedeltade Iddio concede.
Alfin la notte ripigliando il corso
Pel fosco ciel, tregua e silenzio impone
Al fero suon dell’armi, ed ambo accoglie
Sotto al suo manto il vincitore e ’l vinto.
480Sul conteso terren co’ prodi suoi
Accampossi Michele, e a guardia intorno
Folgoreggianti Cherubin dispose:
Ma d’altra parte sotto l’ombre intanto
Sparve Satán co’ suoi ribelli, e lunge
485Ad attendarsi andò. Di rabbia pieno,
Di riposo incapace, ei là raguna
A notturno consiglio i suoi più grandi,
E impavido fra lor così favella:
- Or sì conosco il valor vostro a prova,
490Compagni amati, e la passata pugna
Non solo insuperabili, non solo
Degni di libertà, troppo per noi
Umile oggetto, ma d’onor, d’impero,
Di gloria e fama degni appien mostrovvi.
495Voi quanto il re del cielo aveva intorno
Al trono suo di più possente, in questo
Dì sostenuto avete, e se il poteste
Intero un dì, voi nol potrete ancora
Eterni giorni? Egli credea bastanti
500Quelle sue forze a soggiogarci; eppure
Nol furon esse. Ad ingannarsi è dunque
Colui soggetto che infallibil sempre
Noi stimammo finor. D’armi men salde
Coperti, è ver, provato abbiam pugnando
505Qualche svantaggio, e il non sentito in pria
Dolor sofferto, ma sprezzarlo ancora
Tosto sapemmo. Or sì veggiam per prova
Che a mortal danno soggiacer non puote
La nostra empirea forma, e le divise
510Membra innata virtù tosto risalda.
D’un così lieve male anco fia lieve
Il riparo trovare: armi più ferme,
Dardi più violenti, in novo scontro
O ci daran vittoria, o in lance eguale,
515(Giacchè eguali in valor ci fe’ natura)
Terran sospeso della guerra il fato.
S’altra ascosa cagion rese migliore
L’ostil fortuna, mentre ancor serbiamo
Tutto il vigor di nostre menti illeso,
520Or qui s’indaghi, ed il comun consiglio
Là ci discopra. - Ei siede, e in piè Nisroco
Tosto si leva, fra que’ Prenci il primo.
Egli, dal crudo agon scampato appena,
Smagliata, infranta ha l’armatura, e tutto
525Rabbuffato, affannato e fosco in vista
Così risponde: - O de’ diritti nostri
Sostenitor magnanimo, o possente
Nostro liberator, sì, troppo è dura
Anco per numi e diseguale impresa
530Pugnar con armi diseguali, e contro
Chi non ligio al dolor scaglia il dolore
Insiem coi colpi, ed ogni danno quindi,
Ogni nostra ruina uopo è che nasca.
Che mai giova il valor, che mai la possa,
535Ancorchè senza pari, incontro ai crudi
Assalti di quell’aspro orribil senso
Ch’ogni più forte braccio abbatte e snerva?
Star privi del piacer ben si può forse
E la vita passar contenta e queta
540In calma placidissima profonda;
Ma de’ mali il peggior, miseria estrema
È il cruccio del dolor, che, giunto al colmo,
Rovescia ogni costanza. Or se avvi alcuno
Che inventar sappia con qual forza ed arte
545Agl’inimici nostri intatti ancora
Possiam recare offesa o armarci almeno
Di schermo egual, nostra salvezza e quanto
Gli si convien per sì gran merto a dritto,
Noi gli dovrem. - Con grave ciglio a lui
550Satáno allor: - Quel che all’impresa estimi
Tu di tanto momento, io qui l’arreco
Già divisato. Al rilucente aspetto
Di questo spazïoso etereo suolo
Tutto così di vaghe piante adorno,
555D’ambrosj fiori e frutti e gemme ed oro,
Chi di noi volge un guardo e insiem non scorge
Che di quanto quassuso appar di fuore
Ei serbar dee gli occulti semi in grembo?
Sì, nell’ime sue viscere covando
560Di spiritosa ignea natura stanno
Scure e crude materie in fin che tocche
Da’ rai celesti e sviluppate e scosse
Rompan l’alta prigione e varie e vaghe
S’aprano al chiaro dì. Queste dall’alte
565Latebre lor d’infernal fiamma pregne,
Trarransi fuora; in fondo a vôti ordigni,
Lunghi, rotondi in pria compresse, e quindi
Con igneo tocco ad un spiraglio angusto
Repente accese, con tonante scoppio
570Avventeran contro lo stuol nemico
Tai di ruina orribili strumenti
Che quanto opponsi, fracassato, sparso,
Sterminato saranne, e sbigottita
Crederà l’oste quel fulmineo telo
575Al Tonante di man strappato alfine.
Breve fia l’opra, e innanzi al dì l’evento
Compierà nostre brame. Ogni timore
Sgombrate intanto e dell’usato ardire
Armate il cor. Quando consiglio e forza
580Congiunti son, non che mancar di speme,
Piana stimar dovete ogn’ardua impresa.
Con questi detti i lor languenti spirti
E la cadente speme egli ravviva.
La gran scoperta ognuno ammira, ognuno
585Rapita a sè la crede: agevol tanto
Suol apparir quel che, mentr’era ignoto,
E scuro ed arduo ed impossibil parve!
Forse avverrà nelle future etadi,
O Adam, se fia che il mal prevalga e inondi
590Questa or sì bella e fortunata terra,
Forse avverrà che alcun de’ figli tuoi,
Agli altrui danni inteso, o dall’inferno
Inspirato ed instrutto, anco una volta
Que’ feri ordegni e la satanic’arte
595Dalle tenebre tragga, un don fatale
Al guasto per le colpe uman lignaggio,
Oimè! ne faccia, e delle mutue stragi
Moltiplichi le vie! Repente all’opra
Volò ciascun, nè in argomenti e dubbi
600Quel consesso trattenne; a un tratto pronte
Fur mani innumerabili, ad un tratto
Un ampio giro del celeste suolo
Volser sossopra, e in lor recessi oscuri
Gli alti primordj e le segrete fonti
605Miraron di natura: ivi del foco
Gli alimenti trovaro, informi masse
Di nitro e zolfo che mischiate in pria,
Poi con arte sottil disposte e secche
In negri sceverâr minuti grani
610E ne feron conserva. Altri le vene
Delle pietre cercaro e de’ metalli
(Nè dissimili viscere ha la terra),
E ne formaro i cavi ordigni e i globi
Fulminei rovinosi: altri i ministri
615Di ratta fiamma calami provvide,
E così pria del rinascente albòre,
Sotto la sola consapevol notte,
Cheti, guardinghi, inosservati il tutto
Apprestaro e compiero. Or quando in cielo
620Il bel mattin sorgea, sursero anch’essi
Gli Angeli vincitori: il suon di guerra
Sparse la tromba, e di lor armi d’oro
Da capo a piè coverte, in un istante
Tutte ordinârsi le raggianti schiere;
625E tosto alcuni lievemente armati
Dagli albeggianti colli andaro intorno
Ogni piaggia spiando, ove il nemico
Siasi accampato, se alla pugna riede,
Che fa, se move o stassi. Ecco ad un tratto
630Indi non lungi le ondeggianti insegne
Ne scorgon essi; ei s’avanzava in lenta,
Ma forte e salda massa. Indietro allora
Sovr’ali rapidissime di foco
Rivola, Zofïel, fra tutti i messi
635Quei ch’ha più ratta e infaticabil penna,
E in mezzo l’aere alto sì grida: - All’armi,
Guerrieri, all’armi; ecco il nemico, in fuga
Mal lo credemmo, ed inseguirlo in questo
Dì non dovrem: non paventate amici,
640Ch’oggi ci sfugga; ei vien qual densa nube,
E un risoluto disperato ardire
Ha in volto: ognun l’adamantino usbergo
S’adatti bene, ognun l’elmo si calchi
In testa, e forte il tondo scudo imbracci;
645E questo il dì, s’io ben raccolgo i segni,
Che lieve pioggia no, ma ruïnosa
Cadrà tempesta di fiammanti strali.
Ei così parla alle già pronte squadre,
Ch’alla battaglia d’ogn’impaccio sciolte
650Mosser repente, nè di là lontano
Il nemico scoprîr che denso e vasto
S’inoltrava con gravi alteri passi
In cubica falange, e ad essa in mezzo
Dai profondi squadron coperte e ascose
655Le infernali sue macchine traea.
Fermârsi alquanto uno dell’altro a fronte
I due campi nemici allor che fuori
Delle sue schiere si lanciò Satáno,
Ed alto gridò loro: - A destra e a manca
660S’apran le file, e veggan tutti omai
Quei che ci odian così, che accordo e pace
Da noi sol vuolsi, e con aperte braccia
Pronti siamo ad accôrli, ov’essi il tergo
A noi non volgan disdegnosi e crudi:
665Di ciò sto in forse: testimone il cielo
Ne sia però che quanto a noi s’aspetta
Tutto compiemmo: or voi ch’io già de’ miei
Disegni instrussi, le proposte nostre
Fate udir loro in brevi accenti e forti.
670Queste ambigue parole ei disse appena,
Ch’a destra e a manca aprendosi veloce
Di sue schiere la fronte ripiegossi
Sull’uno e l’altro fianco, e agli occhi nostri,
Spettacol novo e strano! a un tratto offerse
675Di cavi bronzi triplicata fila,
Che su ruote girevoli distesi
E di quercia o d’abete a grossi tronchi
Abbattuti e rimondi in monte o in selva,
O a gran pilastri simili, vêr noi
680Sporgean le minaccianti orride bocche.
Dietro ognun d’essi un Serafin si stava
Che un calamo scotea d’accesa punta,
E mentre noi ne’ pensier nostri assorti
Stiamo e sospesi, ecco di lor ciascuno
685A un picciol foro la sua canna appressa
Con lieve tocco. D’improvvisa vampa
Tutto arse il ciel, di vortici fumosi
Tutto ingombrossi; un fiero tuon muggìo
Dalle profonde vomitanti gole
690Di quegli ordigni, che dell’aere tutte
Le viscere squarciò: di ferrei globi,
D’incatenate folgori ad un punto
Contro noi rapidissima s’avventa
Grandinosa tempesta: in piè restarsi
695Niun potè a tanta furia, ancor che saldo
Stesse qual rupe; ma rinfusi a mille
E a mille i guerrier nostri uno sull’altro
Precipitaro in un momento, e l’armi
A quel disastro ebber gran parte. Ah! senza
700Il grave ingombro loro, in spazio breve,
Come a natura spiritale è dato,
Ristringendosi a un tratto, o con obbliquo
Veloce slancio avríen schivar potuto
Tanta ruina. Or tra le fide schiere
705Tutto è scompiglio, e attonito ciascuno
Più che farsi non sa; chè s’elle incontro
A’ nemici si scagliano, già in atto
Sta d’avventar l’irresistibil nembo
De’ fulmini secondi un’altra fila
710Di Serafini. Inutile il coraggio,
Inutile il valor veggono i nostri,
Ma pur la fuga hanno in orror. Satáno
Trïonfator già credesi, già pari
Al Tonante, all’Eterno, e in detti amari
715Li rampogna e deride. In ira accesi
Eglino di colà si tolgon ratti,
Gittano l’armi ed a’ vicini monti
(Chè il cielo ancora offre di monti e valli
Il vario ameno aspetto, e a quell’imago
720L’ebbe poi questo suol) corron veloci,
Volan quai lampi. Or qui l’estrema possa
Che negli Angeli suoi pose l’Eterno,
Ammira, o Adam! quelle montagne stesse
Afferran, scrollan, svellono dall’ime
725Radici coi lor rivi e scogli e boschi;
Per l’irte cime abbrancanle ed in alto
Le brandiscon travolte. Assalse tutta
L’oste nemica uno stupore, un gelo,
Quando venirsi spaventoso incontro
730Vide de’ monti il rovesciato fondo,
E sotto il peso lor sepolti, oppresse
Restar gli ordigni suoi, le sue speranze;
Indi se stessa dalle masse enormi
Anco investita che piombavan d’alto
735Per l’aria intenebrata, e mille a un tempo
Ricoprian di lor mole armate squadre.
Crebbero il danno le armature infrante,
Schiacciate e infitte in lor sostanza, ond’aspro
Duolo insoffribil nacque, un gemer cupo
740Sotto quel carcer ponderoso, un lungo
Divincolarsi, uno strisciar di quegli
Spirti che prima alla più pura luce
Eran simíli, e di più grosse forme
Or il fallo vestì. L’esempio nostro
745Seguono gli altri, e de’ vicini colli
Squarciati e svelti s’armano; con fero
Urto e riurto a mezzo l’aere i monti
Cozzan coi monti, ed in terribil ombra,
Quasi sotterra, arde la pugna. È tanto
750Il furore e ’l fragor, ch’ogn’altra guerra
Parebbe un gioco al paragon. Si mesce
Sullo scompiglio orribile scompiglio,
E tutto sparso di ruine il cielo
In ultimo conquasso ito sarebbe;
755Ma il Padre onnipossente dal celeste
Penetrale, dov’ei securo siede
E la gran somma delle cose libra,
Previsto ben tanto tumulto avea
Ed il tutto permesso onde far pieno
760L’alto proposto di mostrare al cielo
Dell’unto Figlio suo la gloria, e tutta
Palesar la sua possa in lui traslata
E vendicarlo appien. Quindi rivolto
Vêr lui che a lato gli sedea, sì disse:
765- O fulgor di mia gloria, amato Figlio,
Nel cui sembiante l’invisibil mia
Divinità visibile si rende,
Esecutor de’ miei decreti eterni,
Onnipotenza egual, passati omai
770Due giorni son, quai li contiamo in cielo,
Che condusse Michel le mie falangi
A domar que’ perversi. Atroce e dura
Fu la battaglia, qual dovea, fra tali
Nemici in lor balìa da me lasciati
775E che uguali io creai. Degli uni il fallo
Tra loro, è ver, un disagguaglio ha posto,
Ma lento si parrìa, mentr’io sospendo
La gran condanna che sugli empj dee
Cadere un giorno, e troppo lunga fora
780Così quest’aspra lutta. Omai tutt’ebbe
Il suo corso la guerra, e d’armi invece,
A’ monti stessi ancor dato ha di piglio
Lo sfrenato furor che il ciel minaccia
Disfare omai. Due dì passaro, il terzo
785È tuo, per te l’ho fisso, e fin qui tutto
Soffrii perchè sol tua la gloria fosse
Di trarre a fin guerra sì grande, e solo
Il potrai tu. Tanta virtude e tanta
Grazia io trasfusi in te che cielo e inferno
790Conosceranno il tuo poter maggiore,
Siccome il mio; d’ogni confronto, e spenta
Questa rabida fiamma, unico e degno
Tu d’ogni cosa apparirai, qual merti,
Per la sacra unzïone, erede e rege.
795Vanne perciò, nella paterna possa
Onnipotente, sul mio carro ascendi,
Guida le rote rapide crollanti
L’empirea mole, l’apparecchio tutto
Traggi di guerra fuor, trai l’arco e i tuoni,
800Rivesti l’armi onnipossenti, il brando
Al fortissimo fianco appendi, incalza
Que’ figli delle tenebre, da tutti
I confini del ciel nel più profondo
Baratro li sommergi, e a voglia loro
805Laggiù il mio Nume e l’unto Re Messia
Imparino a sprezzar. - Disse, e sul Figlio
Tutta versò de’ raggi suoi la piena,
E questi in volto tutto il Padre espresso
Mostrò ineffabilmente e a lui rispose:
810- Padre e Signore de’ celesti troni,
Primiero, Ottimo, Massimo, Santissimo,
Sempre esaltar mia gloria è per te dolce,
Per me la tua, qual debbo. È mio diletto
E vanto e gloria mia che tu dichiari,
815Pago di me, tua volontade empiuta,
Di che beato io son. Scettro e possanza,
Tuoi doni, io lieto assumo, e ancor più lieto
Li deporrò, quando alla fine in tutti
Tu sarai tutto, io sarò in te per sempre,
820E in me stesso del par tutti saranno
I diletti da te. Ma quei che abborri,
Abborro io pur non meno, e vestir posso,
Come la tua clemenza, il tuo terrore,
In tutto imagin tua. Cinto del sommo
825Tuo potere io bentosto avrò dal cielo
Quegl’iniqui sbanditi e al fondo spinti
Del preparato a lor tetro soggiorno,
Alle catene tenebrose, al sempre
Immortal verme del pensier che osaro
830Al giusto impero tuo, viva sorgente
D’ogni felicità, farsi ribelli.
Allora i Santi tuoi, lunge divisi
Da quegl’impuri, risonar faranno
Di sublimi alleluia il sacro monte,
835Ed io primo fra lor. - Disse, inchinossi
Sopra il suo scettro, e dalla destra surse,
Dalla destra di gloria ov’ei sedea.
A rosseggiar la terza aurora in cielo
Già cominciava, ed ecco, in suon d’orrendo
840Turbo, fuor balza rovinoso il carro
Della paterna Deità tra un folto
Scagliar di fiamme. Si raggiran mosse
Da interno spirto animator le ruote
L’une entro l’altre, ma ne reggon quattro
845Forme di Cherubini il corso, e quattro
Ha ciaschedun meravigliose facce.
D’occhi, quasi di stelle, erano sparsi
Lor corpi ed ali; non men d’occhi piene
Le rote di berillo, e nel lor corso
850Via via foco avventavano. S’incurva
Sopra il lor capo cristallina vôlta,
E di zaffiro un rilucente solio
Sorge sovr’essa, ove al più puro elettro
I varj suoi color l’iride mesce.
855Coverto di tutt’armi il Figlio appare,
Ed il mistico arnese, opra celeste
In cui lampeggia manifesto il Vero
Per infusa virtù, si cinge al petto
E ’l carro ascende. La Vittoria a destra
860Gli sta con aquilini agili vanni;
Pendongli l’arco e la faretra piena
Delle trisulche folgori sul fianco,
E di fumo, di vampe e di faville
Gli ruota e stride intorno orribil nembo.
865In mezzo a innumerabili migliaia
Di Santi ei s’avanzò. Splendea da lungi
Il suo venir. Ben ventimila carri
(Già il numero io ne intesi) a destra e a manca
Schierati l’accompagnano; sublime
870Su trono di zaffiro e sulle penne
De’ Cherubini assiso, ei vien fendendo
Con immenso fulgóre i cristallini
Celesti campi. Scerserlo da prima
I suoi, che pieni d’esultanza e gioia
875A un tratto fur, quando il gran segno in cielo,
Il suo drappel dagli Angeli portato,
Per l’aere balenò. Pronto Michele
Tutte riduce allor le sparse squadre
Sott’esso in un sol corpo. A sè davante
880Il divino poter sgombra la via;
Torna ciascuno de’ divelti monti
Alla sua sede; udîr sua voce, e tosto
Mossero obbedïenti: il ciel ripiglia
L’usato aspetto, e di novelli fiori
885Ride sparsa ogni valle, ogni collina.
La sciagurata oste ribelle il vide,
Ma vie più s’ostinò; per nova pugna,
Stolta! raccolse le sue forze e speme
Prese dal disperar. Ah! rabbia tanta
890In Spiriti celesti ebbe ricetto?
Ma quali meraviglie e quai prodigi
Quei pertinaci cor, quel cieco orgoglio
Potean piegar? La lor protervia a quanto
Più frangerla potea, si fe’ più dura.
895La vista di sua gloria in essi innaspra
Il dolore, il livor, e a tanta altezza
Pur agognando, a ricompor più feri
Si dan le squadre lor, per forza o frode
Fermi d’aver di Dio vittoria alfine,
900O nell’estrema universal ruina
Cader ravvolti: di ritratta o fuga
Ogni pensier quindi han sbandito. Intanto
Alle fide coorti a destra e a manca
Il gran Figlio di Dio così favella:
905- Statevi pur, d’Angeli e Santi o voi
Rifulgenti ordinanze, oggi dall’armi
Vi rimanete, de’ suoi fidi accette
Furo all’Eterno le guerriere prove,
E il valore invincibile ch’ei dievvi,
910Mostraste appien; ma ad altra man s’aspetta
Su quella ciurma rea scagliar la pena;
Egli medesmo il debbe, o il braccio solo
Ch’ei destinò vindice suo. Di questo
Giorno l’impresa, no, d’armate mani
915Copia non chiede. Statevi, e mirate
Come di Dio per me sovra quest’empj
Si versi l’ira. Io fui, non voi, l’oggetto
De’ lor dispregi, anzi del lor livore,
E tutta contro me lor rabbia han volta,
920Perocchè il Padre, a cui del ciel la somma
Gloria appartiensi, la possanza e ’l regno,
A suo grado onorommi. Il lor gastigo
Ei quindi a me rimise, ei vuol che a prova
Vengan, com’è lor brama, e chi più forte
925Di noi pugnando sia, scorgano alfine,
Od essi insieme, o contro loro io solo.
Tutto è per lor la forza; ogn’altro pregio
E chi in quello gli avanza, hanno in non cale;
Fuorchè di forza dunque altra contesa
930Con essi aver non vo’. - Disse, e il sembiante
Di tal terror vestì, che alcun la vista
Non potè sostenerne, e furïoso
Su i nemici si spinse. A un punto i quattro
Cherubini spiegâr l’ampie stellate
935Ali che fean congiunte orribil’ombra;
E col fragor di ruinoso fiume
O d’oste innumerabile, si mosse
Il fero carro. Contro gli empj, fosco
Qual notte, egli s’avventa; il fisso empiro
940Tutto crollò sotto l’ardenti ruote,
Fuorchè il trono di Dio; già loro è sopra,
Già dieci mila folgori nel pugno
Stringe, innanzi gli manda, e, tra le folte
Schiere balzando, atroci spasmi infigge
945Nell’alme scellerate. Ecco ciascuno
Di quegli audaci ogni coraggio e forza
Perduto ha già, lor cadono di mano
Le inutili armi: sopra scudi ed elmi
E d’elmo invan coperte teste ei passa
950Di stramazzati Serafin possenti
E Troni che, qual schermo al suo furore,
Le divelte montagne allor bramaro
Aver pur anco addosso. In ogni parte
Fioccan non meno tempestosi i dardi
955Dalla faccia quadruplice dei quattro
Tremendi occhiuti e dalle vive ruote
D’occhi infiniti anch’esse sparse. Tutti
Gli regge un solo spirto; ogni occhio spande
Su i maladetti orrido lume, e tale
960Scocca foco feral che infermi, emunti
Tutti li lascia del vigor primiero,
Sbigottiti, sfiniti, oppressi e domi.
Pur la metà del suo poter non volle
Mostrare il vincitor, ma a mezzo il corso
965L’empito di sue folgori rattenne;
Chè struggerli non già, ma sol dal cielo
Sterminarli disegna. Egli dal suolo
Gli abbattuti rïalza, e a sè davanti,
Qual affollata paurosa mandra,
970Con furie e con terror gl’incalza e spinge
Agli estremi confini, al cristallino
Muro del ciel, ch’ampio si fende, indentro,
Si ripiega, s’attorce, e vêr gli abissi
Vasta disserra spaventevol gola.
975A quella vista mostruosa indietro
Trassersi con orror, ma li rìpinse
Lo spavento maggior che aveano a tergo:
Dall’altezza del ciel giù capovolti
Gittansi, ed han l’ardente, eterno sdegno
980Sempre alle spalle per l’immensa via.
L’insoffribil fragore udì l’inferno,
E vide il ciel precipitar dal cielo;
Tremonne tutto e ne fuggìa, se meno
Alto gittate il Fato avea le nere
985Sue basi e meno saldamente avvinte.
Cadder per nove dì: mugghiò stordito
Il Caosse, e del suo sconvolto regno
Ben dieci volte s’addoppiò l’orrore,
Tal l’ingombrò ruina! Alfin sue fauci,
990Quant’eran larghe, spalancò l’inferno,
Tutti ingoiolli e sovra lor si chiuse;
L’inferno degna di quegli empj stanza,
D’inestinguibil foco atra vorago,
D’ogni dolor, d’ogni miseria albergo.
995Scarco di lor s’allegra il cielo, e tosto
Richiude il muro suo, che al loco torna
Donde ravvolto s’era. Il trionfante
Suo carro indietro il vincitor ritorce:
Tutti gli Angeli suoi che muti in prima
1000Stavan sue gesta ad ammirar, con alti
Plausi gli vanno incontro, e in man ramose
Palme tenendo, ogni ordine lucente
Lui di vittoria Re cantando esalta,
Lui, figlio, erede e donno, a cui fu dato
1005Scettro, e ’l più degno è di regnar. Per mezzo
Al cielo in pompa trionfale ei passa
Alla sublime reggia, al tempio santo
Del Padre suo, che in trono eccelso assiso
Nella sua gloria lo raccoglie, ov’ora
1010Gli siede a destra nel gioire eterno.
Così agli oggetti di quaggiù le cose
Celesti assomigliando, a farti meglio
Per quel ch’avvenne accorto, io ti svelai,
Come bramasti, ciò che forse all’uomo
1015Fora stato altrimenti ognor nascoso;
Qual s’accese nel ciel discordia e guerra
Fra le angeliche squadre, e quanto acerba
Fu la sorte di lor che ribellanti
Con Satáno aspirar tropp’alto osaro.
1020Pel tuo felice stato or ei si strugge
D’amara invidia e macchinando stassi
Come sedur, come nel fallo stesso
Trar con seco ti possa, e di sua pena,
Dell’eterno suo duol vederti a parte.
1025Questo un sollievo, una vendetta fora
Dolce per lui che a far dispetto agogna
Al Re del ciel così. Chiudi l’orecchio
Al tentator nemico, avverti e reggi
Lei ch’è di te men forte, e quale il frutto
1030Sia del disubbidir, dalla tremenda
Narrata istoria aver ti giovi appreso.
Potean star saldi e caddero: rimembra
Il fero caso e di fallir paventa.



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