Questo testo è completo. |
◄ | XIX | XXI | ► |
XX
La fuga
Non combaciando interamente coi margini d’uscita della galleria, quell’enorme ostacolo aveva lasciato alcune piccole fessure attraverso le quali filtrava ancora un po’ di luce.
Guidati da quel barlume, i tre europei e l’arabo si spinsero sino al fondo della galleria, osservando attentamente l’ostacolo che impediva a loro d’uscire.
— Cosa ne dite? — chiese Ottone all’inglese, che nella sua qualità d’ufficiale del genio era più competente di tutti.
— Il masso è enorme — rispose l’interrogato. — Non deve pesare meno di dieci tonnellate.
— Venti uomini, per quanto robusti, non possono spostare simile peso!
— È vero — disse l’inglese, scoraggiato. — Soltanto una mina potrebbe smuoverlo.
— Allora per noi è finita.
— Lo temo.
— Vediamo, signore — disse Matteo. — Avete esplorata tutta la caverna?
— No.
— Voi, dunque, non potete affermare che non vi sia qualche altra apertura.
— Non potrei dirlo.
— Oltre la caverna avete notato qualche altra galleria?
— Sì, mi parve d’averne veduta una.
— Andiamo ad esplorarla — disse Ottone. — Abbiamo ancora dei rami resinosi che ci serviranno a meraviglia.
— Venite — disse l’inglese.
Lasciarono la galleria e fecero ritorno nella caverna contenente il tesoro. I sedici negri si erano stesi al suolo, aspettando con rassegnazione la morte.
Essi si credevano ormai irreparabilmente perduti ed avevano rinunciato a qualsiasi tentativo, reputandolo assolutamente inutile.
— Vi è qualcuno di voi che conosca questa caverna? — chiese l’inglese.
— È la prima volta che la vediamo — rispose uno schiavo in nome di tutti.
— La esploreremo noi — disse l’inglese.
Vi erano quattro rami resinosi che ardevano piantati nelle fessure del suolo.
Ne fece spegnere tre, indi, preso il quarto, si diresse verso un angolo della caverna, dove si vedeva una specie di spaccatura.
— Ecco qui un passaggio — disse l’ingegnere. — Vedremo dove metterà.
— Che sia chiuso?
— Si fa presto a saperlo.
Alzò la torcia e guardò la fiamma. Tosto la vide piegarsi verso la caverna.
— Vi è una corrente d’aria che viene dal fondo della galleria! — esclamò con voce rotta dalla gioia. — Ciò significa che vi è qualche apertura comunicante con l'esterno.
— Sarà tanto vasta da permetterci l’uscita? — disse Ottone.
— Lo vedremo.
L’inglese si cacciò in quella spaccatura e si trovò in una specie di corridoio molto basso e molto stretto, il quale scendeva rapidamente.
Seguito quindi da vicino da Ottone, da Matteo e dall’arabo, s’inoltrò per duecento passi; poi si trovò dinanzi ad una piccola caverna circolare.
Dalla volta, molto alta, cadeva un fascio di luce.
— Ecco il luogo donde entra l’aria!
L’apertura che si vedeva in mezzo alla volta era di forma quasi circolare e pareva sufficiente a permettere l’uscita ad un corpo anche ben rotondo. Tutta la difficoltà stava nel salire fino a quell’apertura.
— Siamo salvi! — esclamò Matteo.
— Adagio, amico — disse Ottone. — Vi sono almeno sei metri e nè io nè tu siamo tanto alti.
— E non abbiamo nessuna scala — aggiunse l’arabo.
L’inglese invece taceva e pareva immerso in profondi pensieri.
— Cosa ne dite? — chiese Ottone, volgendosi verso l’ex-prigioniero.
— Io dico che usciremo di qui.
— In qual modo?
— Daremo la scalata a quell’apertura.
— Voi sapete che non abbiamo nemmeno un palo.
— Abbiamo qualche cosa di meglio.
— Spiegatevi.
— Le ceste dei nostri negri. Mettendole l’una sopra l’altra formeremo una colonna di quattro o cinque metri.
— Non cadrà?
— Le ceste sono molto larghe e riempiendole di polvere d’oro daremo alla colonna la stabilità necessaria. ... l’arabo cadde mandando un forte gemito...
(Cap. XXI).
— Che ora è?
— Sono le sette e mezzo — disse Ottone, dopo aver guardato l’orologio.
— Aspetteremo le dieci per uscire.
— E perchè non usciamo ora? — chiese Matteo.
— L’arabo può aver lasciate delle sentinelle presso la caverna. Se ci vedessero uscire, darebbero l’allarme e per noi sarebbe finita.
— È vero — disse Ottone. — E quando saremo usciti, cosa faremo?
— Entreremo in Kilemba senza farci scorgere e andremo a impadronirci del nostro treno volante. L’arabo non l’avrà di certo guastato.
— E verremo subito qui a ricaricare il tesoro? — disse l’arabo.
— Certo.
— Vorrei però vendicarmi di quel cane di Altarik — fece Ottone.
— Penseremo più tardi a lui. Prima il pallone e poi il tesoro — disse l’inglese.
Tornarono indietro e avvertirono gli schiavi della fortunata scoperta; poi comandarono a loro di riempire tutte le ceste di polvere d’oro e di accumularle nell’ultima caverna.
Quando quel lavoro fu compiuto, l’inglese cominciò a rizzare la colonna.
I negri, robusti e agili, non si trovarono imbarazzati ad innalzarla, procurando di darle la maggiore solidità possibile.
— In alto il più agile — gridò l’inglese.
La colonna era alta cinque metri e l’apertura sei e mezzo.
Un negro, il più lesto, scalò la colonna con infinite precauzioni, e quantunque questa oscillasse più volte pericolosamente dopo non pochi sforzi, potè guadagnare la sommità.
— Ci sei? — chiese l’inglese.
— Sì — rispose il negro.
— Esci, e guarda se nei dintorni vi sono delle sentinelle.
La sua assenza durò cinque minuti.
— Padrone — disse, curvandosi sul foro, — ho veduto due arabi fermi dinanzi all’entrata della galleria.
— Sono armati?
— Di fucili e di lance.
— Non ne vedi altri?
— No, padrone.
— E il mostro che vola si vede?
— Sì, è sospeso sopra la piazza del mercato.
— Puoi scendere fino al bosco e procurarti una liana?
— Lo farò.
— Non farti scorgere dai due arabi.
— Non mi vedranno.
— Cosa volete farne della liana? — chiese Ottone all’inglese.
— Ci servirà per salire. Questa colonna può solo servire ai negri, che sono agili.
— Uccideremo gli arabi di sentinella?
— Credo che sia inutile assalirli. Faremo il giro della collina, così non si accorgeranno della nostra fuga.
— E come faremo a entrare inosservati in Kilemba? Vi saranno delle sentinelle di turno.
— Conosco un passaggio che non è mai guardato. Noi giungeremo sulla piazza del mercato senza essere veduti da nessuno.
— Qualche galleria sotterranea?
— Sì, fatta aprire dal sultano per fuggire in caso di pericolo.
— E dove mette?
— Dietro il capannone del sultano.
— Vorrei dare una buona lezione anche a quel briccone.
— Ne avremo il tempo, dopo.
— Padrone — venne ad avvisare in quel momento il negro. — ho trovato la liana.
— Legala a qualche roccia, poi lasciala cadere fino a noi.
Lo schiavo fu pronto a obbedire. L’inglese si aggrappò alla corda vegetale e si arrampicò fino all’apertura; gli altri lo seguirono.
Quando furono fuori si radunarono fra quattro enormi massi, che li nascondevano completamente. L’inglese e Ottone salirono su una di quelle rocce, guardando intorno.
Verso la galleria scorsero subito una grande massa di fuoco e accanto due arabi armati di fucile e di lance. Altre sentinelle non si vedevano in alcuna direzione.
In lontananza, illuminato dall’ultimo quarto di luna, si scorgeva il Germania librato a cinquanta metri dal suolo.
— Non comprendo come Altarik non l'abbia fatto abbassare fino al suolo — disse Ottone.
— Guardate attentamente: non vedete brillare un punto rosso sulla navicella?
— Sì — disse Ottone, con stupore.
— Ciò vuol dire che vi è qualcuno nella piattaforma.
— Che vi sia Heggia?
— Il vostro negro? — chiese l’inglese.
— Sì.
— Come può essere ancora libero?
— Avrà scorta a tempo la carovana d’Altarik e si sarà rifugiato sulla piattaforma.
— Gli uomini di Altarik sono armati di fucili e avrebbero potuto rovinare facilmente il mio treno aereo.
— Voi sapete che l’arabo tiene molto ad avere il pallone ed avrà proibito ai suoi uomini di guastarlo.
— Sono ansioso di conoscere questo mistero. Se Heggia si trova ancora nella piattaforma noi siamo salvi.
— Partiamo — disse risolutamente l’inglese. — Quando avremo il pallone, verremo qui a caricare il tesoro.
Ridiscesero e si misero in cammino, seguiti da tutti gli altri.
Procedevano in silenzio, badando a non far rotolare pietre che potessero attirare l’attenzione dei due arabi.
Raggiunto il bosco, l’inglese si volse verso i negri dicendo loro:
— Voi rimarrete nascosti qui, e aspetterete il nostro ritorno. Se sarete leali, vi daremo poi delle armi e vi lasceremo liberi.
— Voi ci avete salvati dalla morte — disse il negro più anziano. — Noi vi serviremo dunque fedelmente finchè lo vorrete voi.
— E perchè non condurli con noi? — chiese Matteo.
— E chi ci aiuterebbe poi a caricare il tesoro? — disse l’inglese. — Se li conduciamo con noi saremo costretti poi ad abbandonarli in Kilemba, non potendo caricarli tutti sulla piattaforma.
— Il Germania potrebbe forse sollevarli, però sarebbe necessario rinforzare i palloni. Ci vorrebbe troppo — disse Ottone.
— Avete ancora del gas? — chiese l’inglese.
— Sì, e basterà per dare tanta forza al Germania da sollevare voi e il tesoro.
— Gonfieremo i palloni dopo caricata la polvere d’oro.
— Andiamo, signori. Se tutto va bene, fra qualche ora il dirigibile si alzerà sopra la collina, con grande sorpresa dei negri di Kilemba.
Raccomandarono ai negri di non muoversi e si misero in cammino in mezzo alla boscaglia, aprendosi il passo, faticosamente, in causa degli arbusti eccessivamente folti.
Impiegarono non meno di due ore per scendere al piano; però quella discesa fu compiuta felicemente senza incontrare nè negri, nè arabi.