< Il tulipano nero < Parte seconda
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Alexandre Dumas - Il tulipano nero (1850)
Traduzione dal francese di Giovanni Chiarini (1851)
V - Il secondo tallo.
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V


Il secondo tallo.


La notte fu buona, e la giornata del domani fu ancora migliore.

I giorni precedenti la prigione erasi fatta squallida, scura, bassa bassa; gravava di tutto il suo peso sul povero prigioniero. I suoi muri erano neri, la sua aria fredda, le spranghe così raffittite da lasciarvi appena penetrare il giorno.

Ma quando Cornelio risvegliossi, un raggio di sole mattinale strisciava sulla ferrata; alcuni piccioni fendevano l’aria con le loro ali stese, mentre altri cruccolavano amorosi sul tetto vicino alla finestra ancora chiusa.

Cornelio corse alla finestra e l’aperse; parvegli che la vita, la gioia e quasi la libertà entrassero con i raggi del sole nell’oscura sua stanza.

Fioriavi l’amore e con lui fioriva attorno al prigioniero ogni cosa: l’amore, fiore celeste ben’altrimenti profumato di tutti i fiori terreni.

Quando Grifo entrò nella stanza di Van Baerle invece di trovarlo mesto e coricato come gli altri giorni, trovollo alzato, e cantante un’arietta di un opera.

— Ohè! fece Grifo.

— Stamani come va? disse Cornelio.

Grifo lo guardò in cagnesco.

— Il cane, il signor Giacobbe, la nostra bella Rosa, stanno tutti bene?

Grifo digrignò i denti e tagliò corto, rispondendo:

— Eccovi la vostra colezione.

— Grazie, amico Cerbero; viene a tempo, che ho una gran fame.

— Ah! voi avete fame? disse Grifo.

— Toh! perchè no? domandò Van Baerle.

— Pare che la cospirazione cammini, disse Grifo.

— Qual cospirazione? dimandò Cornelio.

— Buono! so quello che mi dico, ma staremo con tanti d’occhi, signor sapiente; state tranquillo: sì con tanti d’occhi.

— Così va fatto amico Grifo! così va fatto! La mia cospirazione come pure la mia persona è ai vostri comandi.

— Si vedrà a mezzogiorno, disse Grifo, e escì.

— A mezzogiorno, ripetè Cornelio, che cosa vuol dire? Via, aspettiamo mezzogiorno e vedremo.

Gli era facile aspettare mezzogiorno: aspettava le nove ore.

Battè mezzogiorno, e s’intese per le scale non solamente il passo di Grifo, ma il passo di tre o quattro soldati che salivano con lui.

Si aprì la porta, Grifo entrò introducendo gli nomini, e chiuse l’uscio dietro a loro.

— Via! ora perquisiamo.

Fu cercato nelle tasche di Cornelio, tra l’abito e la sua sottoveste, tra la sottoveste e la camicia, tra la camicia e la carne: non fu trovato niente.

Fu cercato dentro le lenzuola, dentro le materasse, dentro il saccone: non fu trovato niente.

Quanto allora felicitossi Cornelio per non avere accettato il terzo tallo. Grifo in questa perquisizione avrebbelo certo trovato per ben nascosto che fosse stato, e lo avrebbe trattato come il primo.

Del resto mai prigioniero assistette di un viso più sereno a una perquisizione fatta nella sua stanza.

Grifo si ritirò coll’apis e i tre o quattro fogli di carta bianca che Rosa aveva dato a Cornelio; ciò fu il solo trionfo della spedizione.

Alle sei Grifo tornò ma solo; Cornelio volevalo addolcire; ma Grifo brontolò, serrandosi con le due dita le labbra, ed escì all’indietro come un uomo che abbia paura di essere aggredito.

Cornelio diede in uno scroscio di riso; per cui Grifo che ne conosceva il perchè, gli gridò attraverso la graticola:

— Bene! bene! ben ride, chi ultimo ride.

Chi doveva ridere l’ultimo, in quella sera almeno, era Cornelio, perchè aspettava Rosa.

Rosa venne alle nove, ma venne senza lanterna: non avea più bisogno di lume, che sapea già leggere. E poi il lume poteva tradire Rosa viepiù spioneggiata da Giacobbe. E poi al fin dei conti vedevasi troppo il rossore di Rosa, quand’ella arrossiva.

Di che parlarono i due giovani quella sera? Di quelle cose di cui parlane in Francia sulla soglia di una porta tutti gl’innamorati, da una parte all’altra del balcone in Ispagna, dall’alto al basso di un terrazzino in Oriente.

Parlarono di cose che mettono le ali ai piedi alle ore, e aggiungon penne al tempo.

Di tutto parlarono fuorchè del tulipano nero.

Poi alle dieci come il solito si lasciarono.

Cornelio era felice e così pienamente felice quanto può esserlo un tulipaniere cui non siasi punto parlato del suo tulipano.

Ei trovava Rosa graziosa come senza paragone: la trovava buona, leggiadra, avvenente.

Ma perchè Rosa proibiva che si parlasse del tulipano?

L’era un capriccetto di Rosa. E Cornelio diceva dentro di sospirando, che la femmina non è perfetta.

Una parte della notte meditò su questa imperfezione; che è quanto dire che, finchè fu sveglio, pensò sempre a Rosa.

Una volta addormentato, la sognò. Ma la Rosa dei sogni era ben altrimenti più perfetta della Rosa reale. Non solamente quella parlava del tulipano, ma di più portava a Cornelio un magnifico tulipano nero piantato in un vaso della China.

Cornelio svegliossi con un brivido universale di gioia, e mormorò:

— Rosa, Rosa, io ti amo.

E siccome facevasi giorno, Cornelio non giudicò a proposito di riaddormentarsi. Restò dunque tutta la giornata fisso nella idea che gli era rimasta svegliandosi.

Ah! se Rosa avesse parlato del tulipano, Cornelio avrebbela preferita alla regina Semiramide, alla regina Cleopatra, alla regina Elisabetta, alla regina Anna d’Austria, che è quanto dire alle più grandi e alle più belle regine del mondo.

Ma Rosa avea proibito sotto pena di non tornar più, avea proibito che per tre giorni non si parlasse di tulipani.

Erano settantadue ore concesse all’amante, è vero; ma erano settantadue ore minimate alla orticoltura. È vero però che su queste settantadue ore già trentasei erano passate; e le altre trentasei passerebbero ben sollecite, diciotto aspettando, e diciotto ricordando.

Rosa tornò alla medesima ora: Cornelio sopportò eroicamente la sua penitenza. Questo Cornelio gli era un degnissimo pitagorico, e purchè fossegli permesso di avere una sola volta per giorno novelle del suo tulipano, sarebbe rimasto anche cinque anni senza parlare d’altro, secondo lo statuto dell’ordine.

Del resto la bella visitatrice capiva bene che quando si comanda da una parte, bisogna cedere dall’altra. Rosa lasciava prendere le sue dita dalla graticola; e lasciava che Cornelio baciasse a traverso della ferratella, le sue ciocche di capelli.

Povera ragazza! tutti questi vezzi amorosi le erano ben più dannosi che di parlare del tulipano.

Ella ben lo comprese tornando nella sua stanza col cuore palpitante, le guancie ardenti, le labbra arse, gli occhi rugiadosi.

Il dimani sera poi dopo scambiate le prime parole, dopo le prime carezze fatte, Rosa guardò Cornelio attraverso la graticola, al buio, con quello sguardo che sente anche quando non vede.

— Ebbene! ella disse, ha buttato!

— Ha buttato! che? che? domandò Cornelio, non osando credere che Rosa da sè abrogasse la durata della sua prova.

— II tulipano, disse Rosa.

— Come, esclamò Cornelio, voi dunque permettete?....

— Eh! sì, disse Rosa di un tuono di tenera madre che permetta a suo figlio una contentezza.

— Ah! Rosa! esclamò Cornelio, sporgendo le sue labbra, attraverso le sbarrette di ferro, nella speranza di toccare; una guancia, una mano, la fronte, qualche cosa insomma; ma meglio di queste, toccò due labbra semiaperte.

Rosa gettò un piccolo strillo. Cornelio si accorse che bisognava affrettarsi a proseguire la conversazione, perchè il suo inatteso contatto aveva spaventato fortemente Rosa.

— Buttato ben diritto? egli dimandò.

— Diritto come un fuso di Frigia, disse Rosa.

— È ben’alto?

— Due pollici almeno.

— Oh! Rosa, abbiatene ben cura, e vedrete come crescerà presto.

— Posso averne più cura? disse Rosa. Non penso che a lui.

— Che a lui, o Rosa? Guardate che ora sono geloso io.

— Eh! voi sapete bene che pensando a lui è lo stesso che pensare a voi. Non lo perdo mai di vista; lo vedo da letto; mi sveglio, ed è il primo oggetto che miro; mi addormento, è l’ultimo oggetto che perdo di vista. Il giorno seggo e lavoro vicino a lui; che dal momento che è in camera mia, non lascio più la mia stanza.

— Avete ragiona, o Rosa: è la vostra dote, lo sapete.

— Sì, e mercè sua potrò sposare un giovine di ventisette o ventotto anni, che io amerò.

— Zitta, cattivella.

E Cornelio potè prendere le dita della giovanetta, il che se non fece cambiar di conversazione, fece almeno succedere il silenzio al dialogo.

Quella sera Cornelio fu il più felice dei mortali. Rosa lasciogli la sua mano per quanto egli volle, e lasciollo parlare a suo piacere del tulipano.

A partire da questo momento ciascun giorno apportava un progresso nel tulipano e nell’amore dei due giovani. Una volta eransi aperte le foglie, un’altra erasi sbocciato il fiore.

A questa nuova la gioia di Cornelio fu grande, e le sue dimande succedevansi con una rapidità che testimoniavano la loro importanza.

— Sbocciato! esclamò Cornelio, sbocciato?

— È sbocciato, ripetè Rosa.

Cornelio si senti mancare dalla gioia, e fu costretto ad attenersi alla ferriata.

— Ah! Dio mio! esclamò.

Poi rivolgendosi a Rosa:

— L’ovale è regolare? il cilindro è pieno? le punte sono ben verdi?

— L’ovale è quasi un pollice e si appunta come un ago; il cilindro gonfia i suoi fianchi, e le punte sono pronte a screpolare.

Questa notte Cornelio potè dormir poco: l’era un momento supremo quello della screpolatura delle punte.

Due giorni dopo Rosa annunziò che erano screpolate.

— Screpolate, o Rosa! esclamò Cornelio; l’involucro è screpolato! Ma dunque allora si vede, si può distinguere già?....

E il prigioniero arrestossi affannoso.

— Sì, rispose Rosa, sì, può distinguersi una strisciolina di differente colore, sottile come un capello.

— E il colore? insistè Cornelio tremando.

— Ah! rispose Rosa, l’è ben cupo.

— Bruno?

— Oh! più cupo.

— Più cupo, mia buona Rosa, più cupo! oh! grazie. Cupo come l’ebano, cupo come....

— Cupo come l’inchiostro col quale vi ho scritto.

Cornelio gettò un grido di stolta gioia. Poi arrestandosi ad un tratto, disse a mani giunte:

— Oh! Rosa, non vi può essere angiolo da compararsi a voi.

— Veramente? disse Rosa sorridendo a tale esaltazione.

— O Rosa, voi avete fatto tanto; o Rosa, vi siete tanto adoperata per me; o Rosa, il mio tulipano va a fiorire, e fiorisce nero! Rosa, Rosa, Dio non ha creato sulla terra cosa più perfetta di voi.

— Dopo il tulipano però?

— Chetatevi, cattivella; chetatevi! Per pietà non turbate la mia gioia! Ma ditemi, Rosa, credete che tra due o tre giorni al più tardi il tulipano vada a fiorire?

— Dimani o posdimani, dicerto.

— Ah! e io non lo vedrò, esclamò Cornelio rovesciandosi indietro, non lo bacerò come una meraviglia di Dio che deve adorarsi, come bacio le vostre mani, o Rosa, come bacio i vostri capelli, come bacio le vostre guancie, quando per caso trovansi a contatto della graticola.

Rosa avvicinò la sua guancia non per caso, ma volontariamente; le avide labbra del giovine vi si affissero.

— Madonna! esclamò Rosa, ve lo porterò, se volete.

— Ah! no, no! Appenachè sarà aperto, guardatelo bene all’ombra; e sull’istante, vedete, sull’istante spedite a Harlem a prevenire il presidente della società di orticultura, che il gran tulipano nero è fiorito. Lo so bene, Harlem è lontano, ma coi quattrini troverete un espresso. Ne avete o Rosa?

Rosa sorrise, rispondendo:

— Oh! sì!

— Un buon pochi? dimandò Cornelio.

— Trecento fiorini.

— Oh! se avete trecento fiorini, non un espresso, ma voi stessa dovete andare a Harlem.

— Ma in questo tempo il fiore?.....

— Lo porterete con voi. Capite bene che non bisogna che ve ne separiate neppure per un minuto.

— Ma non separandomi punto da lui, mi separo però da voi, signor Cornelio, disse Rosa attristata.

— È vero, mia dolce, mia cara Rosa. Mio Dio! gli uomini sono cattivi! Che ho loro io fatto? e perchè mi hanno tolto la libertà? Avete ragione, o Rosa, non potrei vivere senza di voi. Ebbene ecco spedirete qualcuno ad Harlem; e in fede mia, il miracolo è tanto grande da far muovere lo stesso presidente, che verrà in persona a Loevestein a cercare del tulipano.

Poi arrestandosi a un tratto e con voce tremante:

— Rosa! mormorò, Rosa! e se non fosse poi nero?

— Madonna? lo saprete dimani o posdimani a sera. </noinclude>

— Aspettare fino alla sera per saperlo, o Rosa!... Morirò d’impazienza. Non potremmo combinare un segnale?

— Farò di meglio.

— Che farete?

— Se si apre di notte, verrò, oh! si verrò a dirvelo da me; e se di giorno, verrò all’uscio, e striscerò un biglietto o di sotto alla porta o per la graticola tra la prima e la seconda ispezione di mio padre.

— Oh! Rosa, che mi dite mai! Ciò sarà per me una doppia contentezza.

— Ecco le dieci, bisogna che io vi lasci.

— Sì, sì, disse Cornelio, andate, Rosa, andate!

Rosa si ritirò quasi che trista, Cornelio l’avea quasi mandata via.

Era, è vero, per vegliate sul tulipano nero.


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