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VII
L’Invidioso.
Difatti que’ poveri giovani aveano ben molto bisogno di essere guardati dalla protezione del Signore.
Mai non erano stati così presso alla disperazione quanto in questo stesso momento in cui credeansi certi della loro felicità.
Noi non metteremo in dubbio la prespicacia dei nostri lettori al punto di sospettare neppure che nel nostro antico amico Giacobbe non abbiano riconosciuto il nostro antico nemico Isacco Boxtel.
Il lettore ha dunque indovinalo che Boxtel avesse seguito dal Buitenhof al Loevestein l’oggetto del suo amore e l’oggetto del suo odio: Il Tulipano nero e Cornelio Van Baerle.
Ciò che tutt’al più un tulipaniere, e un tulipaniere invidioso non avrebbe mai potuto scuoprire, l’esistenza cioè dei talli e le ambizioni del prigioniero, l’invidia se non avesseli fatti scuoprire a Boxtel, avvebbeglieli fatti almeno indovinare.
L’abbiamo visto più fortunato sotto il nome di Giacobbe che d’Isacco fare amicizia con Grifo, la cui conoscenza e ospitalità innaffiò per alcuni mesi col miglior ginepro, che fosse stato mai fabbricato da Texel ad Anversa.
Ne addormentò le diffidenze; perchè abbiamo visto che il vecchio Grifo era diffidente; ne addormentò le diffidenze, diciamolo, lusingandolo di un connubio con Rosa.
Carezzò inoltre i di lui istinti sbirreschi, dopo aver piaggiato il di lui orgoglio paterno. Ne carezzò gl’istinti sbirreschi, dipingendogli coi più scuri colori il sapiente prigioniero che Grifo teneva sotto i suoi chiavistelli, e che al dire dello sciocco Giacobbe, aveva fatto un patto con Satanasso per nuocere a Sua Altezza il principe d’Orange.
Era dapprima così ben riuscito con Rosa non già con ispirarle simpatìa, — Rosa aveva sempre pochissimo amato il mynheer Giacobbe, — ma parlandole di matrimonio e d’amorosa follia, aveva sulle prime ammorzato ogni sospetto che ella avesse potuto concepire.
Abbiamo visto come la sua imprudenza a seguitare Rosa nel giardino l’avesse denunziato agli occhi della giovinetta, e come l’istintivi timori di Cornelio avessero messo ambo i giovani in guardia contro costui.
Ciò che aveva di più inquietato il prigioniero, — il nostro lettore deve ricordarsene, — fu la collera grande, in cui montò Giacobbe contro Grifo a proposito del tallo calpestato.
In questo momento la sua rabbia era altrettanto più grande in quanto che sospettasse sì che Cornelio avesse un secondo tallo, ma il sospetto era la sua certezza.
Spiò perciò Rosa e seguilla non solo nel giardino, ma ancora ne' corridoi.
Solamente, siccome questa volta seguivala allo scuro a piedi scalzi, non fu nè visto nè sentito, menochè a Rosa parve vedere sbalugginare un non so che come un’ombra verso la scala.
Ma gli era troppo tardi; Boxtel aveva saputo dalla stessa bocca del prigioniero resistenza del secondo tallo.
Scotto della furberia di Rosa, che avesse fatto sembiante di non accorgersene dalla caselletta, e non dubitando, che quella commediola non fosse stata rappresentata per isforzarlo a tradirsi, ei raddoppiò di precauzione e messe in scena tutti gli accorgimenti del suo spirito per continuare a spiare altrui senza esser’egli spiato.
Vide portare da Rosa un gran vaso di maiolica di cucina in camera; vide che Rosa lavossi poi a molte acque le sue belle manine tutte imbrattate di terra, che aveva impastata per preparare al tulipano il miglior letto possibile.
In fine prese in una soffitta una cameretta giusto in faccia alla finestra di Rosa, abbastanza distante da non poter essere riconosciuto a occhio nudo, ma abbastanza vicina per potere seguire col soccorso del suo cannocchiale tutto quello che fosse fatto al Loevestein nella camera della giovinetta, come aveva seguito a Dordrecht tutto quello che facevasi nel prosciugatoio di Cornelio.
Da soli tre giorni era istallato nel suo soffitto, che non aveva più alcun dubbio.
Di mattina alla levata del sole il vaso di maiolica era sulla finestra; e simile alle avvenenti donne di Mieris e di Metzu, Rosa appariva alla finestra, incorniciata dai primi tralci verdeggianti della vergine vite e del caprifoglio.
Rosa guardava il vaso di maiolica di tale occhio che mostrava a Boxtel il valore reale dell’oggetto racchiusovi.
Il racchiuso nel vaso era dunque il secondo tallo, cioè la suprema speranza del prigioniero.
Quando le notti minacciavano di essere troppo fresche, Rosa riponeva il vaso di maiolica. E faceva bene: seguiva le istruzioni di Cornelio, il quale temeva che il tallo non si gelasse.
Quando il sole divenne più caldo, Rosa riponeva il vaso dalle undici di mattina alle due dopo mezzogiorno. E faceva pur bene: Cornelio temeva che la terra non si prosciugasse troppo.
Ma quando la punta del fiore comparve fuori, Boxtel ne fu tuttaffatto convinto; e non era alto ancora un pollice che grazie al suo canocchiale l’invidioso non aveva più dubbio nessuno.
Cornelio possedeva due talli, e il secondo era affidato all’amore e alla cura di Rosa. Perchè, bene intesi, l’amore dei due giovani non era isfuggito a Boxtel.
Bisognava dunque trovare il modo di trafugare quel secondo tallo confidato alle cure di Rosa e all’amore di Cornelio. Ma non era facil cosa.
Rosa vigilava il suo tulipano, come una madre sorveglia il suo bambino; più ancora, come una tortorella cuopre le sue uova.
Nella giornata Rosa non assentavasi dalla sua camera; di più, cosa strana! Rosa non assentavasi più neppure la sera.
Per sette giorni spiò Rosa inutilmente: non escì punto di camera sua.
Ciò accadde nei sette giorni d’imbroglio, che resero Cornelio così infelice, privandolo a un tempo di tutte le nuove di Rosa e del suo tulipano.
Rosa durerebbe per sempre a tenere il broncio con Cornelio? Gli avrebbe reso ben più difficile di quello che non se l’era immaginato, un tale furto.
Lo diciamo furto, perchè Isacco con tutta semplicità erasi fermato a questo progetto di rubare il tulipano; e siccome germogliava nel più profondo mistero, siccome i due giovani nascondevano la sua esistenza a tutto il mondo, e siccome sarebbesi più creduto a lui, tulipaniere riconosciuto, che ad una giovinetta estranea a tutti i dettagli della orticoltura, o ad un prigioniero condannato per delitto di alto tradimento, rinchiuso, sorvegliato, spiato, e che malamente avrebbe dal fondo del suo carcere potuto reclamare; d’altronde fattosi egli possessore del tulipano seguendo la legge dei mobili e di tutti gli altri oggetti trasportabili in cui il possesso fa fede della proprietà, otterrebbe dicertissimo il premio, sarebbe dicertissimo coronato invece di Cornelio, e il tulipano invece di chiamarsi Tulipa nigra Barlaeensis chiamerebbesi Tulipa nigra Boxtellensis o Boxtellea.
Il minheer Isacco non erasi ancora deciso quale di questi due nomi dare al tulipano nero; ma siccome tutti e due significano la stessa cosa, non stava qui l’importanza.
L’importanza stava nel poter rubare il tulipano. Ma perchè Boxtel potesse rubarlo, bisognava che Rosa escisse di camera.
Però fu una vera gioia per Isacco o per Giacobbe, come si dirà, nel vedere riprendere i convegni soliti della sera.
Ei cominciò a profittare dell’assenza di Rosa per istudiare intanto la porta, che chiudeva benissimo e a due mandate con una semplice toppa, di cui Rosa sola teneva sempre la chiave.
Boxtel ebbe il pensiero di sottrarre la chiave a Rosa, ma oltrechè ciò non fosse cosa molto facile di frugare nelle tasce della giovine, appena che si fosse accorta di averla smarrita, avrebbe fatto mutare la toppa, non escendo di camera sua se non a serratura cambiata; e allora Boxtel avrebbe commesso un delitto inutile.
Adunque valeva meglio valersi di un altro mezzo.
Boxtel fece una raccolta di chiavi le più che potesse, e mentre che Rosa e Cornelio passavano alla graticola una delle loro ore fortunate, egli provolle tutte.
Due dicevano alla serratura; una girò la prima mandata, ma non fece scattare la seconda. Poteva servire questa con poca rettificazione a farlesi.
Boxtel la spalmò leggermente di cera e rinnovò lo esperimento. L’ostacolo rincontrato dalla chiave nella seconda girata lasciò l’impronta sulla cera; cosicchè non ebbe egli che a seguire quella impressione con una lima sottile.
Con due giorni di lavoro Boxtel condusse la chiave a perfezione. La porta di Rosa fu aperta senza strepito, senza sforzo, e il falsario trovossi nella camera della giovine, solo a solo col tulipano.
La prima azione criminosa di Boxtel era stata di scavalcare un muro per disotterrare il tulipano; la seconda di penetrare nel prosciugatolo di Cornelio per una finestra aperta; e la terza d’introdursi nella camera di Rosa con una chiave falsa.
Lo si vede, che l’invidia faceva fare a Boxtel rapidi passi nella carriera del delitto. Ei trovossi dunque solo a solo col tulipano.
Un ladro ordinario si sarebbe messo il vaso sotto braccio, e l’avrebbe portato via. Ma Boxtel non era un ladro ordinario e fece i suoi calcoli, osservando il tulipano coll’aiuto della sua lanterna cieca. Vide che non era ancora tanto innanzi da dargli la certezza che fosse nero, quantunque le apparenze ne offrissero tutta la probabilità.
Riflettè che se non fiorisse nero, o che se pure fiorisse con qualche macchia qualunque, avrebbe commesso un furto inutile.
Riflettè che tal furto avrebbe fatto strepito, che sarebbesi preso qualche indizio dopo il fatto del giardino, che si farebbero delle ricerche, e che, per quanto bene potesse egli nascondere il tulipano, non sarebbe stato impossibile ritrovarlo.
Riflettè che nascondendolo di maniera che non si fosse potuto ritrovare, potrebbe nel portarlo or qui or là subire un qualche malanno.
Riflettè finalmente che meglio valeva, dacchè egli teneva la contracchiave della camera di Rosa e poteavi entrare a suo beneplacito, valeva meglio aspettarne la fioritura, prenderlo un’ora avanti o un’ora dopo che fiorisse, e partire sull’istante senza perdere un minuto di tempo per Harlem, dove, primachè si fosse reclamato, il tulipano sarebbe davanti i giudici.
Allora o lui o lei reclamassero pure e accusassero Boxtel di furto.
Gli era un piano ben concepito e degno in tutto e per tutto di chi l’aveva ideato.
Perciò tutte le sere durante l’ora zuccherata, che i giovani passavano alla graticola della prigione, Boxtel entrava nella camera di Rosa, non già per violare il santuario della verginità, ma per seguire i progressi che faceva il tulipano nero nella fioritura.
La sera, a cui siamo arrivati, egli era per entrarvi come l’altre sere; ma, noi l’abbiamo visto, i giovani non avevano scambiate che poche parole, quando Cornelio licenziò Rosa, perchè vegliasse sul tulipano.
Boxtel, vedendo Rosa rientrare in camera sua dieci minuti dopo esserne escita, si accorse che il tulipano avesse fiorito o che fosse lì lì per fiorire.
Era dunque in questa notte che la gran partita andava a giocarsi; e però Boxtel presentossi a Grifo con una doppia provvisione di ginepro, cioè con una bottiglia per tasca.
Grifo brillo, Boxtel poco meno restava padrone di casa.
Alle undici Grifo era ubriaco spolpo. Alle due di mattina Boxtel vide Rosa escire di camera, ma teneva ella visibilmente in braccio un oggetto che portava con gran precauzione.
Quell’oggetto doveva essere senza dubbio nessuno il tulipano nero allora fiorito.
Ma che ne farebbe?
Che forse con quello partirebbe sul momento per Harlem?
Non pareva possibile che una giovinetta sola, di notte, si azzardasse a un viaggio simile.
Andava a mostrare a Cornelio il tulipano?
Era più probabile.
Seguì Rosa scalzo e sulla punta de’ piedi.
La vide accostarsi alla graticola; la sentì chiamare Cornelio.
Al lume della lanterna cieca, vide il tulipano sbocciato, nero come la notte, nella quale egli era nascosto.
Intese tutti i progetti fissati tra Cornelio e Rosa d’inviare un espresso a Harlem.
Vide le labbra dei due giovani toccarsi, poi intese che Cornelio licenziò Rosa.
Vide Rosa chiudere la lanterna cieca e incamminarsi alla sua camera. Ve la vide rientrare.
Poi dieci minuti dopo la vide riescire e chiudere l’uscio con due mandate.
Perchè chiudeva la porta con tanta cura? Perchè dentro a quella porta chiudeva il tulipano nero.
Boxtel che vedeva tutto dal sottoscala del piana superiore alla camera di Rosa, scese uno scalino dal suo piano, mentre Rosa scendevane uno dal suo; di maniera che quando Rosa fu all’ultimo scalino della sua scala scesa con piè leggiero, Boxtel con mano anco più leggiera toccava la serratura della camera di Rosa.
E in quella mano, ci s’intende bene, era la contracchiave che apriva la porta di Rosa, nè più nè meno facilmente della vera.
Ecco perchè abbiamo detto al principio del capitolo, che i poveri giovani avevano bisogno di essere guardati dalla protezione diretta del Signore.