< Il tulipano nero < Parte seconda
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Alexandre Dumas - Il tulipano nero (1850)
Traduzione dal francese di Giovanni Chiarini (1851)
XVII - Conclusione.
Parte seconda - XVI

XVII


Conclusione.


Van Baerle accompagnato da quattro guardie, che aprivansi un passo tra la folla, tagliò obliquamente versò il tulipano nero, cui via via che si avvicinava, divorava con gli occhi.

Lo vide finalmente, vide quell’unico fiore, che doveva sotto sconosciute combinazioni di caldo, di freddo, d’ombra e di luce apparire un giorno per mai più scomparire. Lo vide a sei passi; ne assaporò le grazie e la perfezione; lo vide da dietro le giovinette, che formavano una guardia d’onore a quel re della nobiltà e della purezza. E intrattanto però quanto più assicuravasi co’ suoi occhi della perfezione del fiore, tanto più il suo cuore era lacerato. Egli cercava attorno di sè alcuno per indirizzargli una domanda sola; ma dovunque visi sconosciuti, dovunque intenti col guardo al trono, dov’erasi assiso lo Statolder.

Guglielmo, che attirava l’attenzione generale, si alzò, girò intorno tranquillamente lo sguardo sulla folla esaltata, e il suo occhio prespicace arrestossi a riprese sulle tre estremità di un triangolo formato in faccia di lui da tre scene e tre drammi ben differenti.

A uno degli angoli, Boxtel impaziente e divorante senza battere occhio la persona del principe, i fiorini, il tulipano nero e l’assemblea.

All’altro, Cornelio ansimante, muto, fisso, senza vita, senza cuore, senza amore, se non che pel tulipano nero sua creatura.

Finalmente al terzo, ritta sopra di un gradino tra le vergini di Harlem, una bella Frisona vestita di merino rosso ricamato d’argento, e velata di merletti cascanti in larghe pieghe dalla sua cuffietta d’oro; Rosa finalmente che appoggiavasi palpitante e l’occhio tumido al braccio di un officiale di Guglielmo.

Vedendo allora il principe tutto il suo uditorio disposto, svoltolò lentamente la pergamena, e con voce calma, chiara e benchè fievole senzachè si perdesse un accento in grazia del silenzio religioso che formossi ad un tratto sopra i cinquanta mila spettatori e rattenne perfino il respiro sulle loro labbra:

— Voi sapete, disse a qual fine vi siete qui congregati.

«Il premio di cento mila fiorini è stato promesso a colui che trovasse il tulipano nero.

Il tulipano nero! — e questa maraviglia dell’Olanda è là esposto ai vostri sguardi; — il tulipano nero è stato trovato, e tale con tutte le condizioni volute dal programma della società orticola di Harlem.

La storia del suo nascimento e il nome del suo autore saranno inscritti nel libro di onoranza della città.

Fate accostare il proprietario del tulipano nero».

E pronunziando queste parole, il principe per giudicare dell’effetto che produrrebbero, girò il suo occhio aquilino sulle tre estremità del triangolo.

Vide Boxtel lanciarsi dal suo gradino;

Vide Cornelio fare un movimento involontario;

Vide finalmente l’officiale incaricato di sorvegliare Rosa, condurla o piuttosto spingerla dinanzi al trono.

Un doppio grido partì contemporaneamente dalla diritta e dalla sinistra del principe.

Boxtel fulminato, Cornelio smarrito avevano ambedue gridato:

— Rosa! Rosa!

— Il Tulipano è vostro, o giovinetta, non è vero? disse il principe.

— Sì, mio Signore! mormorò Rosa, che un bisbiglìo universale salutavala nella sua commovente bellezza.

— Oh! mormorò Cornelio, ella dunque mentiva quando diceva che avessergli rubato il fiore. Ah! ecco perchè dunque ha lasciato il Loevestein! Oh! dimenticato, tradito da lei, da lei che io credeva la mia amica migliore!

— Oh! gemè Boxtel dal canto suo, io sono perduto!

— Il Tulipano, proseguì il principe, porterà dunque il nome del suo inventore, e sarà inscritto al catalogo dei fiorì sotto il titolo di Tulipa nigra Rosa Barlaeensis a cagione del nome di Van Baerle, che sarà in seguito il nome di questo fiore.

E al tempo stesso Guglielmo prese la mano di Rosa e la pose nella mano di un uomo che erasi slanciato pallido, istupidito, morto dalla gioia, a piè del trono, salutando ora il suo principe, ora la sua fidanzata, ora Iddio che dal sublime dei cieli di zaffiro riguardava benigno lo spettacolo di due cuori felici.

Nel tempo stesso era del pari caduto ai piedi del presidente Van Herysen un altro uomo colpito da una ben differente emozione.

Boxtel annichilato sotto la rovina delle sue speranze, erasi svenuto.

Fu rialzato, gli fu sentito il polso e il suo cuore; era morto.

Tale incidente non turbò niente affatto la festa attesochè nè il principe nè il presidente non paresse che molto se ne interessassero.

Cornelio indietreggiò spaventato: nel ladro, nel falso Giacobbe aveva riconosciuto il vero Isacco Boxtel, suo vicino, che nella purezza della sua anima non aveva mai sospettato neppure per un istante di una azione così iniqua.

Del resto fu una gran fortuna per Boxtel che Dio gli spedisse proprio a tempo quell’attacco apopletico fulminante, che gli tolse di vedere più a lungo cose tanto dolorose al suo orgoglio e alla sua avarizia.

Poi al suono di trombe la processione ripreso il suo cammino senzachè niente fosse cambiato nel ceremoniale, se togli Boxtel morto, e Cornelio e Rosa trionfanti che camminavano accanto impalmati.

Quando si fu rientrati al palazzo comunale, il principe accennando col dito a Cornelio il sacchetto di cento mila fiorini d’oro:

— Io non so bene, diss’egli, da chi sia guadagnato quel denaro, se da voi o da Rosa; perchè voi avete ritrovato il tulipano nero, ella lo ha allevato e fatto fiorire; cosicchè offrendolo ella per dote non sarebbe giusto. D’altronde è il dono della città di Harlem fatto al tulipano nero.

Cornelio stava attento per sapere che volesse inferire il principe, che continuò:

— Io dono a Rosa cento mila fiorini, che ha ben guadagnati e che può offrirvi; sono il premio del suo amore, del suo coraggio e della sua onestà. Quanto a voi, o signore, grazie pure a Rosa che ha portato la prova della vostra innocenza, — e dicendo queste parole, il principe porse a Cornelio il famoso foglio della Bibbia, sul quale era scritta la lettera di Cornelio de Witt, e che aveva servito a rinvoltare i tre talli; — quanto a voi si è convinti che siete stato carcerato per un delitto che non avevate commesso. Perciò non solo siete libero, ma ancora i vostri beni come innocente sono per non confiscati, e vi sono resi. Signor Van Baerle, voi siete il battezzato di Cornelio de Witt e l’amico di Giovanni; restate degno del nome che vi ha affidato l’uno sul fonte battesimale, e dell’amicizia dell’altro, della quale aveavi onorato. Conservate la tradizione dei loro meriti, perchè quei de Witt mal giudicati, mal puniti in un momento d’aberrazione popolare erano due grandi cittadini, di cui l’Olanda va oggi superba.

Il principe a queste ultime parole, che pronunziò di una voce commossa contro il suo solito, diede a baciare le sue mani ai due sposi, che inginocchiaronsi dai lati.

Poi sospirando, continuò:

— Ahimè! siete voi ben felici, voi che forse sognando la vera gloria dell’Olanda e soprattutto la sua felicità vera, non cercate di conquistarle che tulipani di nuovi colori.

E gettando un’occhiata verso la Francia, come se egli vedesse nuove nuvole addensarsi da quella banda, rimontò nella sua carrozza e partì.


Dal canto suo Cornelio il medesimo giorno parti per Dordrecht con Rosa, la quale per mezzo della vecchia Zug spedita a suo padre in qualità d’ambasciatrice, fecelo prevenire di tutto il successo.

Quelli, che per il da noi esposto conoscono il carattere di Grifo, comprenderanno che ben difficilmente si riconciliò col suo genero. Egli aveva fitto nel cuore tutte le bastonate ricevute e da lui contate sulle ammaccature; egli diceva che sommavano a quarant’una; ma però finì coll’arrendersi per non essere meno generoso, come ei diceva, di Sua Altezza lo Statolder.

Divenuto custode dei tulipani dopo essere stato carceriere di uomini, fu il più crudo guardiano dei fiori che s’incontrasse in tutti i Paesi Bassi: bisognava vederlo sorvegliare le farfalle dannose, uccidere i gattacci e scacciare le api troppo affamate.

Siccome seppe la storia di Boxtel, e andava per le furie nel solo pensare che era stato lo zimbello del finto Giacobbe, fu lui che demolì l’osservatorio alzato già dall’invidioso dietro il sicomoro; perchè il recinto di Boxtel venduto all’incanto venne a ingrandire le caselle di Cornelio, che si chiuse in maniera da sfidare tutti i cannocchiali di Dordrecht.

Rosa sempre più bella, divenne anche più istruita, e a capo di due anni di matrimonio sapeva così ben leggere e scrivere da potersi sola incaricare della educazione di due bei figlioloni, che avea partorito nel mese di maggio del 1674 e 1675, come due tulipani, ma che aveanle dato tanto meno dolore del fiore famoso, al quale ella era debitrice di averli.

La ci s’intende che uno un bimbo e l’altro una bambina ebbero il nome di Cornelio e di Rosa.

Van Baerle restò fedele a Rosa come ai suoi tulipani; per tutta la sua vita si occupò del benessere di sua moglie e della coltura dei fiori, mercè la quale ei trovò un gran numero di varietà che sono iscritte al catalogo olandese.

I due principali ornamenti della sua sala erano in due gran cornici d’oro le due pagine della Bibbia di Cornelio de Witt; sopra d’una, sovvenghiamocene, il suo compare aveagli scritto di bruciare la corrispondenza del Marchese di Louvois; sull’altra aveva ei testato a Rosa la cipolletta del tulipano nero a condizione che ella con la dote di centomila fiorini sposasse un bel giovine da ventisei a vent’otto anni, che riamata l’amasse, condizione scrupolosamente adempita, benchè Cornelio non fosse morto, e appunto perchè non era morto.

Finalmente per combattere i futuri invidiosi, di cui la Provvidenza non si sarebbe forse compiaciuta di sbarazzarnelo come aveva fatto del mynheer Isacco Boxtel, egli scrisse sulla sua porta questo detto, che Grozio aveva scolpito il giorno della sua evasione sul muro del suo carcere:


«Chi alcuna volta non ha molto sofferto non può mai avere il diritto di dire: Io sono troppo felice



Fine della seconda ed ultima Parte.


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