< Iliade (Monti)
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Omero - Iliade (Antichità)
Traduzione dal greco di Vincenzo Monti (1825)
Libro XVI
Libro XV Libro XVII

LIBRO DECIMOSESTO


ARGOMENTO

Achille, mosso dalle preghiere di Patroclo, gli concede di vestirsi delle sue armi e di menare a battaglia i Mirmidoni. Sue parole nella partenza di Patroclo. Questi si mostra ai Troiani, i quali, credendolo Achille, si volgono in fuga. Prodezze dell’eroe. Sarpedonte, dopo avere uccìso Pedaso, uno dei cavalli d’Achille, è posto a morte da Patroclo. Combattimento intorno al cadavere, che finalmente per volere di Giove è trasportato prodigiosamente nella Licia. Patroclo, volendo assalire le mura di Troia, n’è impedito da Apollo. Scontro di Ettore e di Patroclo. Morte di Cebrione scudiero di Ettore, e battaglia intorno ad esso. Apollo disarma invisibilmente Patroclo, che prima è ferito da Euforbo, e poscia ucciso ed insultato da Ettore. Predizioni dell’eroe morente.


E così questi combattean la nave.
Presentossi davanti al fiero Achille
Patroclo intanto un caldo rio versando
Di lagrime, siccome onda di cupo
Fonte che in brune polle si devolve5
Da rupe alpestre. Riguardollo, e n’ebbe
Pietà il guerriero piè-veloce, e disse:
Perchè piangi, Patróclo? Bamboletta
Sembri che dietro alla madre correndo
Torla in braccio la prega, e la rattiene10
Attaccata alla gonna, ed i suoi passi
Impedendo piangente la riguarda
Finch’ella al petto la raccolga. Or donde
Questo imbelle tuo pianto? Ai Mirmidóni

O a me medesmo d’una ria novella15
Sei forse annunziator? Forse di Ftia
La ti giunse segreta? E pur la fama
Vivo ne dice ancor Menézio, e vivo
Tra i Mirmidón l’Eàcide Peléo,
D’ambo i quali d’assai grave a noi fôra20
Certo la morte. O per gli Achei tu forse
Le tue lagrime versi, e li compiagni
Là tra le fiamme delle navi ancisi,
E dell’onta puniti che mi fêro?
Parla, m’apri il tuo duol, meco il dividi.25
   E tu dal cor rompendo alto un sospiro
Così, Patróclo, rispondesti: O Achille,
O degli Achei fortissimo Pelíde,
Non ti sdegnar del mio pianto. Lo chiede
Degli Achei l’empio fato. Oimè, che quanti30
Eran dianzi i miglior, tutti alle navi
Giaccion feriti, quale di saetta,
Qual di fendente. Di saetta il forte
Tidíde Dïomede, e di fendente
L’inclito Ulisse e Agamennón; trafitta35
Ei pur di freccia Eurípilo ha la coscia.
Intorno a lor di farmaci molt’opra
Fan le mediche mani, e le ferite
Ristorando ne vanno. E tu resisti
Inesorato ancora? O Achille! oh mai40
Non mi s’appigli al cor, pari alla tua,
L’ira, o funesto valoroso! E s’oggi
Sottrar nieghi gli Achivi a morte indegna,
Chi fia che poscia da te speri aita?
Crudel! nè padre a te Peléo, nè madre45
Tetide fu: te il negro mare o il fianco
Partorì delle rupi, e tu rinserri
Cuor di rupe nel sen. Se doloroso

Ti turba un qualche oracolo la mente;
Se di Giove alcun cenno a te la madre50
Veneranda recò, me tosto almeno
Invía nel campo; e al mio comando i forti
Mirmidoni concedi, ond’io, se puossi,
Qualche raggio di speme ai travagliati
Compagni apporti. E questo ancor mi assenti,55
Ch’io, delle tue coperto armi le spalle,
M’appresenti al nemico, onde ingannato
Dalla sembianza, in me comparso ei creda
Lo stesso Achille, e fugga, e l’abbattuto
Acheo respiri. Nella pugna è spesso60
Una via di salute un sol respiro;
E noi di forze intégri agevolmente
Ricaccerem la stanca oste alle mura
Dalle navi respinta e dalle tende.
   Così l’eroe pregò. Folle! chè morte65
Perorava a se stesso e reo destino.
   E a lui gemendo di corruccio Achille:
Che dicesti, o Patróclo? In questo petto
Terror d’udite profezie non passa,
Nè di Giove alcun cenno a me la diva70
Madre recò. Ma il cor mi rode acerba
Doglia in pensando che rapirmi il mio
Un mio pari s’ardisce, e del concesso
Premio spogliarmi prepotente. È questo,
Questo il tormento, il dispetto, la rabbia75
Onde l’alma è angosciata. Una donzella
Di valor ricompensa, a me prescelta
Da tutto il campo, e da me pria coll’asta
Conquistata per mezzo alla ruina
Di munita città, questa alle mie80
Mani ha ritolta l’orgoglioso Atride,
Come a vil vagabondo. Ma le andate

Cose sien poste nell’obblío; chè l’ira
Viver non debbe eterna. Io certo avea
Fatto un severo nel mio cor decreto85
Di non porla, se prima non giugnesse
Alle mie navi de’ pugnanti il grido
E la pugna. Ma tu le mie ti vesti
Armi temute, e alla battaglia guida
I bellicosi Tessali; chè fosco90
Di Teucri e fiero un nugolo vegg’io
Circondar già le navi, e al lido stringersi
In poco spazio i Greci, e su lor tutta
Troia versarsi, audace fatta e balda
Perchè vicino balenar non vede95
Dell’elmo mio la fronte. Oh fosse meco
Stato re giusto Agamennón! Ben io
T’affermo che costoro avrían fuggendo
De’ lor corpi ricolme allor le fosse.
Or ecco che n’han chiuso essi d’assedio:100
Perocchè nella man di Dïomede,
A tener lunge dagli Achei la morte,
L’asta più non infuria, nè d’Atride
La voce ascolto io più dall’abborrita
Bocca scoppiante; ma sol quella intorno105
Dell’omicida Ettorre mi rimbomba
Animante i Troiani. E questi alzando
Liete grida guerriere il campo tutto
Tengon già vincitori. E nondimeno
Va, ti scaglia animoso, e dalle navi110
Quella peste allontana, nè patire
Che le si strugga il fuoco, e ne sia tolta
Del desïato ritornar la via.
Ma, quale in mente la ti pongo, avverti
De’ miei detti alla somma, e m’obbedisci,115
Se vuoi che gloria me ne torni, e grande

Dai Greci onore, e che la bella schiava
Con doni eletti alfin mi sia renduta.
Cacciati i Teucri, fa ritorno: e s’anco
L’altitonante di Giunon marito120
Ti prometta vittoria, incauta brama
Di pugnar senza me con quei gagliardi
Non ti seduca, nè voler ch’io colga
Di ciò vergogna e disonor: nè spinto
Dall’ardor della pugna alle fatali125
Dardanie mura avvicinar le schiere
Della strage de’ Teucri insuperbito;
Onde non scenda dall’Olimpo un qualche
Immortale a tuo danno. Essi son cari,
Non obblïarlo, al saettante Apollo.130
Posti in salvo i navili, immantinente
Dunque dà volta, e lascia ambo a vicenda
Struggersi i campi. Oh Giove padre! oh Pallade!
E tu di Delo arciero Iddio, deh fate
Che nessun possa nè Troian nè Greco135
Schivar morte, nessuno; onde del sacro
Ilïaco muro la caduta sia
Di noi due soli preservati il vanto.
   Mentre seguían tra lor queste parole
Aiace omai cedea l’arena oppresso140
Da gran selva di strali. Rintuzzava
Le sue forze il voler di Giove e il nembo
Delle teucre saette. Il rilucente
Elmo percosso un suon mettea che orrendo
Gl’intronava le tempie, ed incessante145
Sovra i chiavelli il martellar cadea.
Langue spossata la sinistra spalla
Dall’assiduo maneggio affaticata
Del versatile scudo. E tuttavolta
Nè la calca premente, nè de’ colpi150

La tempesta il potea mover di loco.
Scuotegli i fianchi più affannato e spesso
L’anelito: il sudor discorre a rivi
Per le membra, nè puote a niuna guisa
Pigliar respiro il valoroso. Intanto155
D’ogni parte l’orror cresce e il periglio.
   Muse dell’alto Olimpo abitatrici,
Or voi ne dite per che modo il primo
Fuoco alle navi degli Achei s’apprese.
   Di frassino una grave asta scotea160
Aiace. A questa avvicinato Ettorre
Tal trasse un colpo della grande spada
Che netta la tagliò là dove al tronco
Si commette la punta. Invan vibrava
Il Telamónio eroe l’asta privata165
Della sua cima, che lontan cadendo
Risonò sul terren. Raccapricciossi
Il magnanimo, e vide ivi d’un nume
Manifesta la man; vide che avverso
L’Altitonante del pugnar le vie170
Tutte gli avea precise, e decretata
De’ Teucri all’armi la vittoria. Ei dunque
Lunge dai dardi si ritrasse; e ratto
I Troi gittaro nella nave il foco,
Che tosto le si apprese, e d’ogni lato175
L’inestinguibil fiamma si diffuse.
   Si batté l’anca per dolore Achille,
Vista la vampa divorante; e, Sorgi,
Mio Patroclo, gridò: sorgi. Alle navi
L’impeto io veggo della fiamma ostile.180
Deh che il nemico non le prenda, e tutti
Ne precluda gli scampi: su via, tosto
Armati; chè i miei forti io ti raduno.
   Disse: e Patróclo si vestía dell’armi

Folgoranti. Alle gambe primamente185
I bei schinieri si ravvolse adorni
D’argentee fibbie. La corazza al petto
Poscia si mise del veloce Achille
Screzïata di stelle. Indi la spada
Di bei chiovi d’argento aspra e lucente190
Dall’omero sospese. Indi lo scudo
Saldo e grande imbracciò: la valorosa
Fronte nell’elmo imprigionò, su cui
D’equine chiome orrendamente ondeggia
Una cresta. Alfin prese, atte al suo pugno,195
Valide lance; ed unica d’Achille
L’asta non prese, immensa, grave e salda
Cui nullo palleggiar Greco potea,
Tranne il braccio achilléo: massiccia antenna
Sulle cime del Pélio un dì recisa200
Dal buon Chirone, ed a Peléo donata,
Perchè fosse in sua man strage d’eroi.
   Comanda ei quindi che i cavalli al cocchio
Subito aggioghi Automedon, guerriero
Cui dopo Achille rompitor di squadre205
Sovra ogni altro ei pregiava: ed in battaglia
Nel sostener gl’impetuosi assalti
Del nemico, ad Achille era il più fido.
Rotti adunque gl’indugi, Automedonte
I veloci corsieri al giogo addusse210
Balio e Xanto che un vento eran nel corso,
E partoriti a Zefiro gli avea
L’Arpia Podarge un dì ch’ella pascendo
Iva nel prato lungo la corrente
Dell’Oceán. Dall’una banda ei poscia215
Pedaso aggiunse, corridor gentile,
Cui seco Achille un dì dalla disfatta
Città d’Eezïon s’avea condotto;

E quantunque mortale iva del paro
Co’ destrieri immortali. Intanto Achille220
Su e giù scorrendo per le tende, tutti
Di tutto punto i Mirmidóni armava.
   Quai crudivori lupi il cor ripieni
Di molta gagliardia, prostrato avendo
Sul monte un cervo di gran corpo e corna,225
Sel trangugiano a brani, e sozze a tutti
Rosseggiano di sangue le mascelle:
Quindi calano in branco ad una bruna
Fonte a lambir colle minute lingue
Il nereggiante umor, carne ruttando230
Mista col sangue: il cor ne’ petti audaci
S’allegra, e il ventre ne va gonfio e teso:
Tali dintorno al bellicoso amico
Del gran Pelíde intrepidi si affollano
I mirmidonii capitani; e in mezzo235
A lor s’aggira il marzïale Achille
I cavalli animando e i battaglieri.
   Cinquanta eran le prore che veloci
Avea condotte a Troia il caro a Giove
Tessalo prence, e carca iva ciascuna240
Di cinquanta guerrieri. A cinque duci
N’avea dato il comando, ed ei la somma
Potestà ne tenea. Guida la prima
Squadra Menéstio, scintillante il petto
Di varïato usbergo. Era costui245
Prole di Sperchio, fiume che da Giove
L’origine vantava; e di Peléo
La bella figlia Polidora a Sperchio
Partorito l’avea, donna mortale
Commista con un Dio. Ma lui la fama250
Nel popolo dicea prole di Boro,

Di Perieréo figliuol, che tolta in moglie
L’avea solenne e di gran dote ornata.
   Guidava la seconda il marzio Eudoro
Generato di furto, a cui fu madre255
La figlia di Filante Polimela,
Danzatrice leggiadra. Innamorossi
In lei Mercurio un dì che alle cantate
Danze la vide della Dea che gode
Del romor delle cacce e d’aureo strale;260
La vide, e della casa alle superne
Stanze salito giacquesi furtivo
Il pacifico Iddio colla fanciulla,
E lei fe’ madre d’un illustre figlio,
D’Eudoro, egregio nella pugna al pari265
Che rapido nel corso. E poichè tratto
Fuor l’ebbe dal materno alvo Ilitía
Curatrice de’ parti, e l’almo ei vide
Raggio del Sol, la genitrice al prode
Attóride Echecléo passò consorte,270
Di largo dono nuzïal dotata.
Nudrì poscia il fanciullo ed allevollo
L’avo Filante con paterna cura,
E di figlio diletto in loco il tenne.
   Capitan della terza era il valente275
Memalide Pisandro, il più perito
De’ Mirmidóni nel vibrar dell’asta
Dopo il compagno del Pelíde Achille.
   La quarta il veglio cavalier Fenice,
E conducea la quinta Alcimedonte,280
Di Laerce buon figlio. Or poichè tutti
Gli ebbe schierati co’ lor duci Achille,
Gravi ed alte parlò queste parole:
   Mirmidoni, di voi nullo mi ponga
Le minacce in obblío, che, mentre immoti285

Su le navi la mia ira vi tenne,
Fêste a’ Troiani, me accusando tutti,
E dicendo: Implacabile Pelíde,
Certo di bile ti nudrío la madre:
Crudel, che tieni a lor dispetto inerti290
Nelle navi i tuoi prodi. A Ftia deh almeno
Redir ne lascia su le nostre prore,
Da che nel cor ti cadde una tant’ira.
Questi biasmi in accolta a me sovente
Mormoraste, o guerrieri. Or ecco è giunto295
Del gran conflitto che bramaste il giorno.
All’armi adunque; e chi cuor forte in petto
Si chiude, a danno de’ Troiani il mostri.
   Sì dicendo, destò d’ogni guerriero
E la forza e l’ardir. Strinser più densa300
Tosto le schiere l’ordinanza, uditi
Del lor sire gli accenti. E in quella guisa
Che industre architettor l’una su l’altra
Le pietre ammassa, e insieme le commette
Acconciamente a costruir d’eccelso305
Palagio la muraglia all’urto invitta
Del furente aquilon: non altramente
Addensati venían gli elmi e gli scudi.
Scudo a scudo, elmo ad elmo, e uomo ad uomo
S’appoggia; e al moto delle teste vedi310
L’un coll’altro toccarsi i rilucenti
Cimieri e l’onda delle chiome equine:
Sì de’ guerrier serrate eran le file.
Iva il paro d’eroi dinanzi a tutti
Patroclo e Automedonte, ambo d’un core315
E d’una brama di dar dentro ei primi.
   Con altra cura intanto alla sua tenda
Avvïossi il Pelíde, ed un forziere
Aprì di vago lavorío, cui Teti

Gli avea riposto nella nave e colmo320
Di tuniche e di clamidi del vento
Riparatrici, e di vellosi strati.
Quivi una tazza in serbo egli tenea
Di pregiato artificio, a cui null’altro
Labbro mai non attinse il rubicondo325
Umor del tralcio, e fuor che a Giove, ei stesso
Non libava con questa ad altro iddio.
Fuor la trasse dell’arca, e con lo zolfo
La purgò primamente: indi alla schietta
Corrente la lavò. Lavossi ei pure330
Le mani, e il vino rosseggiante attinse.
Ritto poscia nel mezzo al suo recinto
Libando, e gli occhi sollevando al cielo,
A Giove, che il vedea, fe’ questo prego:
   Dio che lungi fra’ tuoni hai posto il trono,335
Giove Pelasgo, regnator dell’alta
Agghiacciata Dodona, ove gli austeri
Selli che han l’are a te sacrate in cura,
D’ogni lavacro schivi al fianco letto
Fan del nudo terreno, i voti miei340
Già tu benigno un’altra volta udisti,
E dalle piaghe degli Achei vendetta
Dell’onor mio prendesti. Or tu pur questa
Fïata, o padre, le mie preci adempi.
Io qui fermo mi resto appo le navi;345
Ma in mia vece alla pugna ecco spedisco
Con molti prodi il mio diletto amico.
Deh vittoria gl’invía, tonante Iddio,
L’ardir gli afforza in petto, onde s’avvegga
Ettore se pugnar sappia pur solo350
Il mio compagno, o allor soltanto invitta
La sua destra infierir, quando al tremendo
Lavor di Marte lo conduce Achille.

Ma dalle navi achee lungi rimosso
L’ostil furore, a me deh tosto il torna355
Con tutte l’armi e co’ suoi forti illeso.
   Sì disse orando, e il sapïente Giove
Parte del prego udì, parte ne sperse.
Udì che dalle navi alfin respinta
Fosse la pugna, e non udì che salvo360
Dalla pugna tornasse il caro amico.
   Libato a Giove e supplicato, Achille
Rïentrò, rinserrò nell’arca il sacro
Nappo: e di nuovo della tenda uscito
Ritto all’ingresso si fermò bramoso365
Di mirar de’ Troiani e degli Achei
La terribile mischia. E questi al cenno
Dell’ardito Patróclo in ordinati
Squadroni, e tutti di gran cor precinti
Già piombano su i Teucri, e si dispiccano370
Come rabide vespe, entro i lor nidi
Lungo la strada stimolate all’ira
Da procaci fanciulli, a cui diletta
Travagliarle incessanti a loro usanza.
Stolti! chè a sè fan danno ed all’ignaro375
Passeggiero innocente. Le sdegnose
Che ne’ piccioli petti han grande il core,
Sbucano in frotta, e alla difesa volano
De’ cari parti. Coll’ardir di queste
Si versâr dalle navi i Mirmidóni.380
N’era immenso il fracasso, e di Menézio
Confortandoli il figlio alto gridava:
Commilitoni del Pelíde Achille,
Siate valenti; della vostra possa
Ricordatevi, amici, e combattiamo385
Per la gloria di lui, forti campioni
Del più forte de’ Greci. Il suo fallire

Vegga il superbo Atride, e dell’oltraggio
Fatto al maggiore degli eroi si penta.
   Sprone alle forze e al cor di ciascheduno390
Fur le parole. Si serrâr, scagliârsi
Sul nemico ad un punto; e si sentiva
Terribilmente rimbombar le navi
Al gridar degli Achei. Ma come i Teucri
Di Menézio mirâr l’inclito figlio395
Esso e l’auriga Automedonte al fianco
Folgoranti nell’armi, a tutti il core
Tremò: le schiere scompigliârsi, ognuna
Nella credenza che il Pelíde avesse
Deposta l’ira, e l’amistà ripresa.400
Studia ognuno la fuga, ognun procaccia
La sua salvezza. Allor Patróclo il primo
La fulgida vibrò lancia nel mezzo
Dove più densa intorno all’alta poppa
Del buon Protesilao ferve la calca:405
E Pirecmo ferì, che dalle vaste
Rive dell’Assio e d’Amidone avea
Seco i peonii cavalier condutti.
Gli mise il colpo alla diritta spalla,
E quei riverso e gemebondo cadde410
Nella polve. Si volse al suo cadere
Il peonio drappello in presta fuga,
E tutto si sbandò, morto il suo duce
Prestantissimo in guerra. Repulsati
I nemici, l’eroe spense le vampe;415
Ma il navigio restò mezz’arso e monco.
   E qui fuggire e sgominarsi i Teucri,
E gli Achivi inseguirli, e via pe’ banchi
Delle navi cacciarli in gran tumulto.
Siccome allor che dall’eccelsa vetta420
Di gran monte le nubi atre disgombra

Il balenante Giove, appaion tutte
Subitamente le vedette e gli alti
Gioghi e le selve, e immenso s’apre il cielo:
Così respinta l’ostil fiamma, aprissi425
De’ Dánai il core e respirò. Ma tregua
Non si fece alla zuffa; ancor non tutti
Davan le spalle agl’incalzanti Achei
Gli ostinati Troiani: e tuttavolta
Resistendo, cedean forzati e lenti430
Gli occupati navigli. Allor diffusa
In maggior spazio la battaglia, ognuno
De’ dánai duci un inimico uccise.
   Fu Patroclo il primier che con acuto
Cerro percosse Arëilíco al fianco435
Nel voltarsi che fea. Lo passa il ferro,
Frange l’osso; e boccon cade il meschino.
Trafisse Menelao Toante al petto
Scoperto dello scudo, e freddo il fece.
Il figliuol di Filéo, visto a rincontro440
Venirsi Anficlo d’assaltarlo in atto,
Il previen, lo colpisce ove più ingrossa
Della gamba la polpa. Infrange i nervi
La ferrea punta, e a lui le luci abbuia.
E voi l’armi d’ostil sangue non vile445
Antíloco tingeste e Trasiméde
Valorosi Nestoridi. Coll’asta
Antíloco passò d’Antímio il fianco,
E il distese boccon. Máride irato
Per l’ucciso fratello innanzi al caro450
Cadavere si pianta, e contra Antíloco
La picca abbassa. Ma di lui più ratto
Trasiméde il prevenne, e non indarno
Volò la punta. All’omero lo giunse,
I muscoli segò del braccio estremo,455

E netto l’osso ne recise. Ei cadde
Fragoroso, e l’avvolse eterna notte.
Da due germani i due germani uccisi
Così n’andaro a Dite, ambo valenti
Di Sarpedon compagni, ambo famosi460
Lanciatori, figliuoi d’Amisodaro
Che la Chimera, insuperabil mostro
Di molte genti esizio, un dì nudriva.
   Aiace d’Oiléo sovra Cleóbolo
Correndo impetuoso il piglia vivo465
Nella calca impacciato, e via sul collo
L’enorme daga calando lo scanna.
Si tepefece per lo sangue il ferro;
E la purpurea morte e il vïolento
Fato le luci gli occupò per sempre.470
   S’azzuffâr Lico e Peneléo: ma in fallo
Trasser ambo le lance. Allor più fieri
Dier mano al brando. Del chiomato elmetto
Lico il cono percosse: ma la spada
Si franse all’elsa. All’avversario il ferro475
Assestò Peneléo sotto l’orecchio,
E tutto ve l’immerse. Penzolava
In giù la testa dispiccata, e sola
Tenea la pelle. Così cadde e giacque.
   Merïon velocissimo correndo480
Acamante raggiunse appunto in quella
Che il cocchio ei monta, e al destro omero il fere.
Ruinò quel percosso dalla biga,
E morte gli tirò su gli occhi il velo.
   Idomenéo la lancia nella bocca485
D’Erimanto cacciò. La ferrea cima
Apertasi la via sotto il cerébro
Rïuscì per la nuca, spezzò l’osso
Del gorgozzule, e sgangherògli i denti;

Talchè di sangue s’empîr gli occhi, e sangue490
Soffiò dal naso e dalle fauci aperte.
Così concio il coprì l’ombra di morte.
E questi fûro i condottieri achei
Che spensero ciascuno un inimico.
   Qual su capri ed agnelle i lupi piombano495
Sterminatori, allor che per inospita
Balza neglette dal pastor si sbrancano;
Appena le adocchiâr, che ratti avventansi
Alle misere imbelli e ne fan strazio:
Non altrimenti si vedeva i Dánai500
Dar sopra i Teucri che del core immemori
Con orribile strepito fuggivano.
   Nel folto della mischia il grande Aiace
Sempre ad Ettór volgea l’asta e la mira.
Ma quel mastro di guerra ricoperto505
Il largo petto di taurino scudo
All’acuto stridor delle saette
E al sibilo dell’aste attento bada,
Ben s’accorgendo alla contraria parte
Già piegar la vittoria: e tuttavolta510
Teneasi saldo alla salvezza intento
Degli amati compagni. Alfin, siccome
Per l’etere sereno al cielo ascende
Su dal monte una nube allor che Giove
Tenebrosa solleva la tempesta:515
Non altrimenti dalle navi i Teucri
Dier volta urlando, e non avea ritegno
Il ritrarsi e il fuggir. Lo stesso Ettorre,
Via coll’armi dai rapidi destrieri
Trasportato in mal punto, la difesa520
Abbandona de’ suoi che la profonda
Fossa accalca e impedisce. Ivi sossopra
Molti destrier precipitando spezzano

E timoni e tirelle, e conquassati
Lascian là dentro co’ lor duci i carri.525
E Patroclo gl’incalza, ed incitando
Fieramente i compagni, alla suprema
Ruina anela de’ Troiani. E questi
D’alte grida e di fuga empion già tutte
Sbaragliati le vie. Saliva al cielo530
Vorticosa di polve una procella:
Spaventati i cavalli a tutta briglia
Correan dal mare alla cittade; e dove
Maggior vede l’eroe turba e scompiglio
Minaccioso gridando a quella volta535
Drizza la biga. Traboccar dai cocchi
Vedi sotto le ruote i fuggitivi,
E i vôti cocchi sobbalzando volano
Risonanti. Varcâr d’un salto il fosso
Gl’immortali destrieri oltre anelando,540
I destrier che a Peléo diero gli Dei
Preclaro dono. E tuttavia l’eroe
Contra Ettór li flagella, desïoso
Pur d’arrivarlo e di ferir. Ma lui
Traean già lunge i corridor veloci.545
   Come d’autunno procelloso nembo
Tutta inonda la terra, allor che Giove
Densissime dal ciel versa le piogge
Quando contra i mortali arma il suo sdegno,
I quai, cacciata la giustizia in bando550
E la vendetta degli Dei schernita,
Vïolente nel fôro e nequitose
Proferiscon sentenze: allor furenti
Sboccan ne’ campi i fiumi; giù dal monte
Precipitando le sonanti piene555
Squarcian le ripe, e nel purpureo mare
Devolvonsi mugghiando, e del cultore

Corrompono la speme e la fatica:
Così gementi corrono e sbuffanti
I troiani cavalli. Intanto rotte560
Le prime schiere, di Menézio il figlio
Le ricaccia, le stringe alla marina,
Lor tagliando il ritorno al desïato
Ilio; e tra il mare e il Xanto e l’alto muro
Incalzava, uccideva e vendicava565
Molte morti d’eroi. E primamente
Ferì d’asta Pronóo che mal di scudo
Copriasi il petto. Lo trafisse; e quegli
Giù cadendo, nell’armi risonò.
Poi d’Enópo il figliuol Téstore assalse570
Impetuosamente. Iva costui
Sovra elegante cocchio, la persona
Curvo ed in atto di raccor le briglie,
Che smarrito nel cor s’avea lasciato
Dalle mani fuggir. Gli si fe’ sopra575
L’eroe coll’asta, e tal gli spinse un colpo
Su la destra mascella, che la siepe
Sprofondógli dei denti. A questo modo
Infilzato nell’asta sollevollo
Dalla conca del cocchio, e il trasse a terra.580
Quale il buon pescator sovra sporgente
Scoglio seduto colla lenza, armata
Di fulgid’amo, fuor dell’onda estragge
Enorme pesce; a cotal guisa il Greco
Fuor del cocchio tirò colla lucente585
Asta il confitto boccheggiante, e poscia
Lo scrollò dalla picca, e lungi al suolo
Lo gittò sanguinoso e senza vita.
   Quindi Eríalo, che contro gli venía,
Giunge d’un sasso al mezzo della fronte,590
E in due, chiusa nel forte elmo, la spacca.

Boccon versossi nella sabbia, e morte
Lo si recinse e gli rapío la vita.
Indi Erimante, Anfótero ed Epalte
E il figliuol di Damástore Tlepólemo,595
L’Argéade Polimélo ed Echio e Piro
E con Evippo Iféo tutti in un mucchio
Rovesciò, rassegnò morti alla terra.
   Ma Sarpedonte visto de’ compagni
Per le man di Patróclo un tale e tanto600
Scempio, i suoi Licii rincorando, e insieme
Rampognando, Oh vergogna! o Licii, ei grida,
Dove, o Licii, fuggite? Ah per gli Dei
Rivolate alla pugna. Io di costui
Corro allo scontro, per saper chi sia605
Questo fiero campion che vi diserta,
Che sì nuoce ai Troiani, e già di molti
Forti disciolse le ginocchia. - Disse,
E via d’un salto a terra in tutto punto
Si lanciò dalla biga. Ed a rincontro610
Come Patroclo il vide, ei pur nell’armi
Si spiccò dalla sua. Qual due grifagni
Ben unghiati avoltoi forte stridendo
Sovra un erto dirupo si rabbuffano,
Tal vennero quei due gridando a zuffa.615
   Li vide, e tocco di pietade il figlio
Dell’astuto Saturno, in questi detti
A Giunon si rivolse: Ohimè, diletta
Sorella e sposa! Sarpedon, ch’io m’aggio
De’ mortali il più caro, è sacro a morte620
Pel ferro di Patróclo. Irresoluta
Fra due pensieri la mia mente ondeggia,
Se vivo il debba liberar da questo
Lagrimoso conflitto, e a’ suoi tornarlo

Nell’opulenta Licia; o consentire625
Che qui lo domi la tessalic’asta.
   E a lui grave i divini occhi girando
L’alma Giuno così: Che parli, o Giove?
Che pretendi? Un mortale, un destinato
Da gran tempo alla Parca, or della negra630
Diva ritorlo alla ragion? Fa pure,
Fa pur tuo senno: ma degli altri Eterni
Non isperar l’assenso. Anzi ti aggiungo,
E tu poni nel cor le mie parole:
Se vivo e salvo alle paterne case635
Renderai Sarpedon, bada che poscia
Del par non voglia più d’un altro iddio
Alla pugna sottrarre il proprio figlio;
Chè molti sotto alle dardanie mura
Stan nell’armi a sudar figli di numi,640
A cui porresti una grand’ira in seno.
Chè s’ei t’è caro e lo compiagni, il lascia
Nella mischia perir domo dall’asta
Del figliuol di Menézio: ma deserto
Dall’alma il corpo, al dolce Sonno imponi645
Ed alla Morte, che alla licia gente
Il portino. I fratelli ivi e gli amici
L’onoreranno di funereo rito
E di tomba e di cippo, alle defunte
Anime forti onor supremo e caro.650
   Disse; e al consiglio di Giunon s’attenne
Degli uomini il gran padre e degli Dei,
E sangue piovve per onor del caro
Figlio cui lungi dalle patrie arene
Ne’ frigii campi avría Patroclo ucciso.655
   Già l’uno all’altro si fa sotto e sono
Alle prese. Patróclo a Trasimélo,
Di Sarpedonte valoroso auriga,

Trapassò l’anguinaglia, e lo distese.
Mosse secondo Sarpedonte, e in fallo660
La grand’asta vibrò, che trasvolando
La destra spalla a Pédaso trafisse.
Si riversò sbuffando in su l’arena
Il trafitto cavallo, e dal ferino
Petto l’alma si sciolse gemebonda.665
Visto il compagno corridor disteso
Gli altri due costernârsi, e a calci, a salti
Diersi; il timone cigolò; confuse
Implicârsi le briglie. Ma riparo
L’intrepido vi mise Automedonte,670
Che rapido insorgendo, e via dal fianco
Sguäinata la lunga acuta spada
Tagliò netto al giacente le tirelle,
E fu l’opra d’un punto. Entrambi allora
Rassettârsi i corsieri, e raddrizzârsi675
Al cenno della briglia obbedïenti.
   E qui di nuovo alla crudel tenzone
Si spinsero i campioni, e pur di nuovo
Errò dell’asta Sarpedonte il tiro,
Che via sovresso l’omero sinistro680
Di Patroclo trascorse e non l’offese.
Gli fe’ risposta il Tessalo, nè vano
Il suo telo volò, chè dove è cinto
Da’ suoi ripari il cor gli aperse il petto.
   Qual rovina una quercia o pioppo o pino685
Cui sul monte tagliò con affilata
Bipenne il fabbro a nautico bisogno,
Tal Sarpedonte rovinò. Giacea
Steso innanzi alla biga, e colle mani
Ghermía la polve del suo sangue rossa,690
E fremendo gemea pari a superbo
Tauro, onor dell’armento e d’aureo pelo,

Che da lïon, che il giunge alla sprovvista,
Sbranato cade, e sotto la mascella
Del vincitore mugolando spira.695
Tale del licio condottier prostrato
Dal tessalico ferro in sul morire
Era il gemito e l’ira. E Glauco il suo
Dolce amico per nome a sè chiamato,
Caro Glauco, gli disse, or t’è mestieri700
Buon guerriero mostrarti, e oprar le mani
Audacemente. Tu dell’aspra pugna
Se magnanimo sei, l’incarco assumi:
Corri, vola, e de’ Licii i capitani
Alla difesa del mio corpo accendi.705
Difendilo tu stesso, e per l’amico
Combatti: infamia ti deriva eterna
Se me dell’armi mie spoglia il nemico,
Me pel certame delle navi ucciso;
Tien saldo adunque e pugna, e di coraggio710
Tutte infiamma le squadre. - In questo dire
Le narici affilò, travolse i lumi,
E la morte il coprì. Col piede il petto
Calcògli il vincitor, l’asta ne trasse,
E il polmon la seguía, sì che dal seno715
Il ferro a un tempo gli fu svelto e l’alma.
A’ suoi sbuffanti corridori intanto
Scioltisi e in atto di fuggir, lasciando
Del lor signore il cocchio, i Mirmidoni
Parârsi innanzi, e gli arrestâr. Ma Glauco720
Dell’amico alla voce il cor compunto
Di profondo dolor sospira e geme,
Chè mal può dargli la richiesta aita.
L’impedisce la piaga al braccio infissa
Dallo strale di Teucro allor che Glauco,725
De’ suoi volando alla difesa, assalse

L’alta muraglia degli Achei. Compresso
Si tenea colla manca il braccio offeso
L’infelice, ed orando al saettante
Nume di Delo, O re divino, ei disse,730
O che di Licia, o che di Troia or béi
Tua presenza le rive, odi il mio prego;
Che dovunque tu sia puoi d’un dolente
Qual, lasso! mi son io, la voce udire.
Di che grave ferita e di che doglia735
Trafitto io porti questo braccio il vedi;
Nè il sangue ancor mi si ristagna, e tale
Incessante m’opprime una gravezza
L’omero tutto, che dell’asta al peso
Mal reggo, e mal poss’io coll’inimico740
Avventurarmi alla battaglia. Intanto
Di Giove il figlio Sarpedonte giace
Fortissimo guerriero, e l’abbandona
Ahi! pure il padre. Ma tu, Dio pietoso,
Quest’acerba mia piaga or mi risana:745
Deh! placane il dolor, forza m’aggiungi,
Sì che i Licii compagni inanimando,
Io gli sproni al conflitto, e a me medesmo
Pugnar sia dato per l’estinto amico.
   Sì disse orando, ed esaudillo il nume:750
Della piaga sedò tosto il tormento,
Stagnonne il sangue, e gagliardia gli crebbe.
Sentì del Dio la man, fe’ lieto il core
L’esaudito guerrier: de’ Licii in prima
A incitar corre d’ogni parte i duci755
Alla difesa dell’estinto: move
Quindi a gran passi fra’ Troiani, e chiama
Polidamante e Agénore, ed Enea
Anco ed Ettorre, e in rapide parole
Lor fattosi davanti, Ettore, ei grida,760

Tu dimentichi i prodi che per te
Dalla patria lontani e dagli amici
Spendono l’alma, e tu lor nieghi aita.
Giace de’ Licii il condottiero, il giusto
Forte lor prence Sarpedon. Gradivo765
Sotto Patróclo l’atterrò: correte,
V’infiammi, amici, una giust’ira il petto;
Non patite, per dio! che i Mirmidóni
Lo spoglino dell’armi, e villania
Facciano al morto vendicando i Dánai770
Da noi spenti. - Sì disse, e ricoperse
Dolor profondo le dardanie fronti;
Chè un gran sostegno, benchè stranio, egli era
D’Ilio, e molta seguía gagliarda gente
Lui fortissimo in guerra. Difilati775
Mosser dunque e serrati i teucri duci
Contra il nemico, ed Ettore, fremente
Del morto Sarpedon, li precorrea.
   D’altra parte Patróclo, anima ardita,
Sprona l’acheo valor. Gli Aiaci in prima,780
Già per sè caldi di coraggio, infiamma
Con questi detti: Aiaci, ora vi caglia
Di far testa a costoro, e vi mostrate
Quali un tempo già foste, anzi migliori.
Il campion che primiero la bastita785
Saltò de’ Greci, Sarpedonte è steso.
Oh se fargli pur onta e strascinarlo
E spogliarlo dell’armi ne si dêsse!
E stramazzargli accanto un qualcheduno
De’ suoi compagni a disputarlo accinti!790
   Disse, e diè nel desío de’ due guerrieri.
Quinci e quindi le schiere inanimate
Troiani e Licii, Mirmidóni e Achei
Sovra l’estinto s’azzuffâr mettendo

Orrende grida; e con fragore immenso795
Risonavano l’armi. Un fiero buio
Su l’aspra pugna allor Giove diffuse,
Onde costasse molta strage il corpo
Dell’amato figliuol. Primi i Troiani
Respinsero gli Achei, spento Epigéo.800
Del magnanimo Agácle era costui
Illustre figlio, e fra gli audaci Tessali
Audacissimo. A lui di Budio un giorno
L’alma terra obbedía. Ma spento avendo
Un suo valente consobrino, ei supplice805
A Peléo rifuggissi ed alla diva
Consorte: e questi a guerreggiar co’ Teucri
D’Ilio ne’ campi lo spedîr compagno
Dell’omicida Achille. Or qui costui
Già l’animose mani al combattuto810
Cadavere mettea, quando d’un sasso
Ettore il giunse nella fronte, e tutta
In due gliela spezzò dentro l’elmetto.
Cadde prono sul morto l’infelice,
E chiuse i lumi nell’eterna notte.815
   Addolorato dell’ucciso amico
Dritto tra’ primi pugnator scagliossi
Di Menézio il buon figlio: e qual veloce
Sparvier che gracci paventosi e storni
Sparpaglia per lo cielo e li persegue;820
Tal nel denso de’ Licii e de’ Troiani
Irrompesti, o Patróclo, alla vendetta
Del caduto compagno. A Stenelao,
Caro figliuol d’Itemenéo, percosse
D’un rude sasso la cervice, e i nervi825
Ne lacerò. Piegâr, ciò visto, addietro
I combattenti della fronte: ei pure
Piegò l’illustre Ettorre; e quanto è il tratto

Di stral che in giostra o in omicida pugna
Vibra un buon gittator, tanto i Troiani830
Dier volta addietro dall’Acheo repulsi.
   Il primo che converse ardito il viso
Fu de’ Licii scudati il capitano
Glauco; e a Batícle, di Calcon diletto
Magnanimo figliuol, tolse la vita.835
In Grecia egli era possessor di molte
Splendide case, e per dovizia il primo
Fra i Tessali tenuto. A lui si volse
Il Licio all’improvvista, e il giavellotto
Gli ficcò nelle coste appunto in quella840
Che costui l’inseguiva ed era in atto
Già d’afferrarlo. Ei cadde, e un fragor cupo
Dieder l’armi sovr’esso. Alla caduta
Dell’egregio guerriero alto dolore
Gli Achei comprese ed alta gioia i Teucri,845
Che stretti a Glauco s’avanzâr più baldi.
Nè si smarrîr gli Achivi, ma di punta
Si spinsero allo scontro. E Merïone
Laogono prostese, audace figlio
D’Enétore che in Ida era di Giove850
Sacerdote, e qual nume il popol tutto
Lo riveriva. Merïon lo colse
Tra il confin dell’orecchio e della gota,
E tosto l’alma uscì del corpo, e lui
Un’orrenda ravvolse ombra di morte.855
Incontro all’uccisor la ferrea lancia
Enea diresse, e a lui che sotto l’orbe
Del gran pavese procedea securo,
Assestarla sperò. Ma quei del colpo
Avvistosi, e piegata la persona860
L’asta schivò che sibilante e lunga
Andò di retro a conficcarsi in terra.

Ne tremolò la coda, e quivi tutta
Perdè l’impeto e l’ira che la spinse.
Come fitto nel suolo, e indarno uscito865
Enea si vide dalla mano il telo;
Per certo, o Merïon, disse rabbioso,
Un assai destro saltator tu sei:
Ma questa lancia mia, se t’aggiungea,
T’avría ferme le gambe eternamente.870
   E Merïone di rimando: Enea,
Forte sei, ma ti fia duro la possa
Prostrar d’ognuno che al tuo scontro vegna,
Chè mortal se’ tu pure: e s’io con questa
In pieno ti corrò, con tutto il nerbo875
Delle tue mani e la tua gran baldanza
La palma a me darai, lo spirto a Pluto.
   Disse: e Patróclo con rampogna acerba
Garrendolo: Perchè cianci sì vano
Tu che sei valoroso, o Merïone?880
Per contumelie, amico, unqua non fia
Che l’inimico quell’esangue ceda,
Ma col far che più d’un morda il terreno.
Orsù, lingua in consiglio, e braccio in guerra,
Tregua alle ciance, e mano al ferro. - E dette885
Queste cose, s’avanza, e l’altro il segue.
   Quale è il romor che fanno i legnaiuoli
In montana foresta, e lunge il suono
Va gli orecchi a ferir, tale il rimbombo
Per la vasta pianura si solleva890
Di celate, di scudi e di loriche,
Altre di duro cuoio, altre di ferro,
Ripercosse dall’aste e dalle spade:
Ned occhio il più scernente affigurato
Avría l’illustre Sarpedon: tant’era895
Negli strali, nel sangue e nella polve

Sepolto tutto dalla fronte al piede.
Senza mai requie al freddo corpo intorno
Facean tutti baruffa: e quale è il zonzo
Con che soglion le mosche a primavera900
Assalir susurrando entro il presepe
I vasi pastorali, allor che pieni
Sgorgan di latte; di costor tal era
La giravolta intorno a quell’estinto.
   Fissi intanto tenea nell’aspra pugna905
Giove gli sguardi lampeggianti, e seco
Sul fato di Patróclo omai maturo
Severamente nell’eterno senno
Consultando venía, se il grande Ettorre
Là sul giacente Sarpedon l’uccida,910
E dell’armi lo spogli; o se preceda
Al suo morire di molt’altri il fato.
E questo parve lo miglior pensiero,
Che del Pelíde Achille il bellicoso
Scudier ricacci col lor duce i Teucri915
Alla cittade, e molte vite estingua.
Però d’Ettore al cor tale egli mise
Una vil tema, che montato il cocchio
Ratto in fuga si volse, ed alla fuga
I Troiani esortò, chiaro scorgendo920
Inclinarsi di Giove a suo periglio
Le fatali bilance. Allor piè fermo
Neppur de’ Licii lo squadron non tenne,
Ma tutti si fuggîr visto il trafitto
Re lor giacente sotto monte orrendo925
Di cadaveri: tante su lui caddero
Anime forti quando della pugna
A Giove piacque esasperar gli sdegni.
Così le corruscanti arme gli Achivi

Trasser di dosso a Sarpedonte, e altero930
Alle navi invïolle il vincitore.
   Allor l’eterno adunator de’ nembi
Ad Apollo così: Scendi veloce,
Febo diletto, e da quell’alto ingombro
D’armi sottraggi Sarpedonte, e terso935
Dall’atro sangue altrove il porta, e il lava
Alla corrente, e lui d’ambrosia sparso
D’immortal veste avvolgi: indi alla Morte
Ed al Sonno gemelli fa precetto
Che all’opime di Licia alme contrade940
Il portino veloci, ove di tomba
E di colonna, onor de’ morti, egli abbia
Da’ fratelli conforto e dagli amici.
   Disse: e al paterno cenno obbedïente
Calossi Apollo dall’idéa montagna945
Sul campo sanguinoso, e in un baleno
Di sotto ai dardi Sarpedon levando,
E lontano il recando alla corrente
Tutto lavollo, e l’irrigò d’ambrosia,
E di stola immortal lo ricoperse;950
Quindi al Sonno comanda ed alla Morte
D’indossarlo e portarselo veloci:
E quei subitamente ebber deposto
Nella licia contrada il sacro incarco.
   In questo mentre di Menézio il figlio955
I cavalli e l’auriga inanimando
Ai Licii dava e ai Dardani la caccia.
Stolto! chè in danno gli tornò dassezzo.
Se d’Achille obbedía saggio al comando,
Schivato ei certo della Parca avrebbe960
Il decreto fatal: ma più possente
È di Giove il voler, che de’ mortali.
Arbitro della tema ei mette in fuga

I più forti a suo senno, e allor pur anco
Ch’egli medesmo a battagliar li sprona,965
Lor toglie la vittoria; e questo ei fece
D’audacia empiendo di Patróclo il petto.
   Or qual prima, qual poi spingesti a Pluto,
Quando alla morte ti chiamâr gli Dei,
Magnanimo guerrier? Fur primi Adresto,970
Autónoo, Echeclo, ed Epistorre e Périmo
Prole di Mega, e Melanippo; quindi
Elaso e Mulio con Pilarte; e come
Stese questi al terren, gli altri non fûro
Lenti alla fuga. E per Patróclo allora975
(Ch’ei dirotto nell’ira innanzi a tutti
Furïava coll’asta) avrían di Troia
Consumato gli Achei l’alto conquisto;
Ma Febo Apollo lo vietò calato
Su l’erta d’una torre, alto disastro980
Meditando al guerriero, e scampo ai Teucri.
Tre volte il cavalier dell’arduo muro
Su gli sproni montò; tre volte il nume
Colla destra immortal lo risospinse,
Forte picchiando sul lucente scudo.985
Ma come più feroce al quarto assalto
L’eroe spiccossi, minacciollo irato
Con fiera voce il saettante iddio:
Addietro, illustre baldanzoso, addietro:
Alla tua lancia non concede il fato990
Espugnar la città de’ generosi
Teucri, nè a quella pur del grande Achille
Sì più forte di te. - Questo sol disse:
Ed il guerriero retrocesse e l’ira
Schivò del nume che da lungi impiaga.995
   Avea frattanto su le porte Scee
De’ suoi fuggenti corridori Ettorre

Rattenuta la foga, e in cor dubbiava
Se spronarli dovesse entro la mischia
Novellamente, e rinfrescar la pugna,1000
O chiamando a raccolta entro le mura
L’esercito ridurre. A lui nel mezzo
Di questo dubbio appresentossi Apollo,
Tolte d’Asio le forme. Era d’Ettorre
Zio cotest’Asio ad Ecuba germano,1005
E nondimeno ancor di giovinezza
Fresco e di forze, di Dimante figlio,
Che del frigio Sangario in su le rive
Tenea suo seggio. La costui sembianza
Presa, il nume sì disse: Ettor, perchè1010
Cessi dall’armi? È d’un tuo pari indegna
Questa desidia. Di vigor vincessi
Io te quanto tu me! ben io pentirti
Farei del tuo riposo. Orsù, converti
Contra Patróclo que’ destrieri, e trova1015
D’atterrarlo una via: fa che l’onore
Di questa morte Apollo ti conceda.
   Disse; e di nuovo il Dio nel travaglioso
Conflitto si confuse. In sè riscosso
Ettore al franco Cebrïon fe’ cenno1020
Di sferzargli i destrieri alla battaglia:
Ed Apollo per mezzo ai combattenti
Scorrendo occulto seminava intanto
Tra gli Achei lo scompiglio e la paura,
E fea vincenti col lor duce i Teucri.1025
Sdegnoso Ettorre di ferir sul volgo
De’ nemici, spingea solo in Patróclo
I gagliardi cavalli, e ad incontrarlo
Diè il Tessalo dal cocchio un salto in terra
Coll’asta nella manca, e colla dritta1030
Un macigno afferrò aspro che tutto

Empieagli il pugno, e lo scagliò di forza.
Fallì la mira il colpo, ma d’un pelo;
Nè però vano uscì, chè nella fronte
L’ettóreo auriga Cebrïon percosse,1035
Tutto al governo delle briglie intento,
Cebrïon che nascea del re troiano
Valoroso bastardo. Il sasso acuto
L’un ciglio e l’altro sgretolò, nè l’osso
Sostenerlo poteo. Divelti al piede1040
Gli schizzâr gli occhi nella sabbia, ed esso,
Qual suole il notator, fece cadendo
Dal carro un tómo, e l’agghiacciò la morte.
E tu, Patróclo, con amari accenti
Lo schernisti così: Davvero è snello1045
Questo Troiano: ve’ ve’ come ei tombola
Con leggiadria! Se in pelago pescoso
Capitasse costui, certo saprebbe
Saltando in mar, foss’anche in gran fortuna,
Dallo scoglio spiccar conchiglie e ricci1050
Da sazïarne molte epe: sì lesto
Saltò pur or dal carro a capo in giuso.
Oh gli eccellenti notator che ha Troia!
   Sì dicendo, avventossi a Cebrïone
Come fiero lïon che disertando1055
Una greggia, piagar si sente il petto,
E dal proprio valor morte riceve.
Ma ratto contra a quel furor si slancia
Ettore dalla biga; e i due superbi
Incomincian col ferro a disputarsi1060
L’esangue Cebrïon. Qual due lïoni
Che per gran fame e per gran cor feroci
S’azzuffano d’un monte in su la cima
Per la contesa d’una cerva uccisa;
Non altrimenti i due mastri di guerra,1065

L’intrepido Patróclo e il grande Ettorre,
Ardono entrambi del crudel desío
Di trucidarsi. Il teucro eroe la testa
Del cadavere afferra, e lo ghermisce
Il Tessalo d’un piede, e la sua presa1070
Nè quei nè questi di lasciar fa stima.
Allor Troiani e Achivi una battaglia
Appiccâr disperata: e qual gareggiano
D’Euro e di Noto i forti fiati a svellere
Nelle selve montane il faggio e il frassino1075
Ed il ruvido cornio; e questi all’aere
Dibattendo le lunghe e larghe braccia
Con immenso ruggito le confondono,
Finchè li vedi fracassarsi, e opprimere
Fragorosi la valle: a questa immagine1080
L’un su l’altro scagliandosi combattono
Troiani e Dánai del fuggir dimentichi.
Dintorno a Cebrïon folta conficcasi
Una selva d’acute aste e d’aligeri
Dardi guizzanti dalle cocche; assidua1085
D’enormi sassi una tempesta crepita
Su gli ammaccati scudi; ed ei nel vortice
Della polve giacea grande cadavere
In grande spazio, eternamente, ahi misero!
Dei cari in vita equestri studi immemore.1090
   Finchè del sole ascesero le rote
Verso il mezzo del ciel, d’ambe le parti
Uscíano i colpi con egual ruina,
E la gente cadea. Ma quando il giorno
Su le vie dechinò dell’occidente,1095
Prevalse il fato degli Achei che alfine
Dall’acervo dei teli, e dalla serra
De’ Troiani involâr di Cebrïone
La salma, e l’armi gli rapîr di dosso.

Qui fu che pieno di crudel talento1100
Urtò Patróclo i Troi. Tre volte il fiero
Con gridi orrendi gli assalì, tre volte
Spense nove guerrier; ma come il quarto
Impeto fece, e parve un Dio, la Parca
Del viver tuo raccolse il filo estremo,1105
Miserando garzon, chè ad incontrarti
Venía tremendo nella mischia Apollo:
Nè camminar tra l’armi alla sua volta
L’eroe lo vide, chè una folta nebbia
Le divine sembianze ricopría.1110
Vennegli a tergo il nume, e colla grave
Palma sul dosso tra le late spalle
Gli dechinò sì forte una percossa,
Che abbacinossi al misero la vista
E girò l’intelletto. Indi dal capo1115
Via saltar gli fe’ l’elmo il Dio nemico,
E l’elmo al suolo rotolando fece
Sotto il piè de’ corsieri un tintinnío,
E si bruttaro del cimier le creste
Di sangue e polve; nè di polve in pria1120
Insozzar quel cimiero era concesso
Quando l’intatto capo e la leggiadra
Fronte copriva del divino Achille.
Ma in quel giorno fatal Giove permise
Che d’Ettore passasse in su le chiome1125
Vicino anch’esso al fato estremo. Allora
Tutta a Patróclo nella man si franse
La ferrea, lunga, ponderosa e salda
Smisurata sua lancia, e sul terreno
Dalla manca gli cadde il gran pavese1130
Rotto il guinzaglio. Di sua man l’usbergo
Sciolsegli alfine di Latona il figlio,
E l’infelice allor del tutto uscío

Di sentimento; gli tremaro i polsi,
Ristette immoto, sbalordito, e in quella1135
Tra l’una spalla e l’altra lo percosse
Coll’asta da vicin di Panto il figlio
L’audace Euforbo, un Dardano che al corso
E in trattar lancia e maneggiar destrieri
La pari gioventù vincea d’assai.1140
La prima volta che sublime ei parve
Su la biga a imparar dell’armi il duro
Mestier, venti guerrieri al paragone
Riversò da’ lor cocchi; ed or fu il primo
Che ti ferì, Patróclo, e non t’uccise.1145
Anzi dal corpo ricovrando il ferro
Si fuggì pauroso, e nella turba
Si confuse il fellon, che di Patróclo
Benchè piagato e già dell’armi ignudo
Non sostenne la vista. Da quel colpo1150
E più dall’urto dell’avverso Dio
Abbattuto l’eroe si ritirava
Fra’ suoi compagni ad ischivar la morte.
Ed Ettore, veduto il suo nemico
Retrocedente e già di piaga offeso,1155
Tra le file vicino gli si strinse,
Nell’imo casso immerse l’asta e tutta
Dall’altra parte rïuscir la fece.
Risonò nel cadere, ed un gran lutto
Per l’esercito achivo si diffuse.1160
   Come quando un lïone alla montagna
Cinghial di forze smisurate assalta,
E l’uno e l’altro di gran cor fan lite
D’una povera fonte, al cui zampillo
Veníano entrambi ad ammorzar la sete;1165
Alfin la belva dai robusti artigli
Stende anelo il nemico in su l’arena:

Tal di Menézio al generoso figlio
De’ Teucri struggitor tolse la vita
Il troian duce, e al moribondo eroe1170
Orgoglioso insultando, Ecco, dicea,
Ecco, o Patróclo, la città che dianzi
Atterrar ti credesti, ecco le donne
Che ti sperasti di condur captive
Alla paterna Ftia. Folle! e non sai1175
Che a difesa di queste anco i cavalli
D’Ettór son pronti a guerreggiar co’ piedi?
E che fra’ Teucri bellicosi io stesso
Non vil guerriero maneggiar so l’asta,
E preservarli da servil catena?1180
Tu frattanto qui statti orrido pasto
D’avoltoi. Che ti valse, o sventurato,
Quel tuo sì forte Achille? Ei molti avvisi
Ti diè certo al partire: O cavaliero
Caro Patróclo, non mi far ritorno1185
Alle navi se pria dell’omicida
Ettór sul petto non avrai spezzato
Il sanguinoso usbergo... Ei certo il disse,
E a te, stolto che fosti! il persuase.
   E a lui così l’eroe languente: Or puoi1190
Menar gran vampo, Ettorre, or che ti diero
Di mia morte la palma Apollo e Giove.
Essi, non tu, m’han domo; essi m’han tratto
L’armi di dosso. Se pur venti a fronte
Tuoi pari in campo mi venían, qui tutti1195
Questo braccio gli avría prostrati e spenti.
Ma me per rio destin qui Febo uccide
Fra gl’Immortali, e tra’ mortali Euforbo,
Tu terzo mi dispogli. Or io vo’ dirti
Cosa che in mente collocar ben devi:1200
Breve corso a te pur resta di vita:

Già t’incalza la Parca, e tu cadrai
Sotto la destra dell’invitto Achille.
   Disse e spirò. Disciolta dalle membra
Scese l’alma a Pluton la sua piangendo1205
Sorte infelice e la perduta insieme
Fortezza e gioventù. Sovra l’estinto
Arrestatosi Ettorre, A che mi vai
Profetando, dicea, morte funesta?
Chi sa che questo della bella Teti1210
Vantato figlio, questo Achille a Dite
Colto dall’asta mia non mi preceda?
   Così dicendo, lo calcò d’un piede,
Gli svelse il telo dalla piaga, e lungi
Lui supino gittò. Poi ratto addosso1215
All’auriga d’Achille si disserra,
Di ferirlo bramoso. Invan; chè altrove
Gl’immortali sel portano corsieri,
Che in bel dono a Peléo diero gli Dei.

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