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PREFAZIONE.
Questo Poema, da me principiato son molti anni, è stato dappoi, ora totalmente abbandonato, ora in cento guise mutato e corretto. Avendo fatto disegno di comporre un romanzo istorico e filosofico in versi, scelsi il tempo dell'azione in sul principio del quinto secolo dopo Gesù Cristo, nello scemare e finire dell’immenso potere romano.
Teodosio, poc’anzi, secondo l’uso introdotto da Diocleziano, avea partito l’impero fra Onorio ed Arcadio augusti; regnava Onorio nell’occidente, e il fanciullo Teodosio secondo, figlio d’Arcadio, nell’oriente, sotto la tutela di un Re di Persia chiamato Isdegerda: le leggi pubblicavansi bensì in tutto l'impero, comecchè così diviso, in nome de’ due principi uniti, Onorio e Teodosio suo nipote. Era allora sommo Pontefice Innocenzo primo. In qual modo Isdegerda divenisse acerbo persecutore dei Cristiani, può vedersi nel Muratori, annali d’Italia, all’anno 408 e seguenti.
Il luogo dell’azione è, parte, Alessandria d’Egitto, parte, l’antica selva, ov’era il tempio d’Iside e d’Osiri, presso della quale erano posti, il lago paludoso, detto il Marcotide, a destra 1; a sinistra, la valle abitata dal Cristiani. I principali attori del Poema sono i capi delle sette filofiche, le quali allora fiorivano in Alessandria; personaggio principalissimo è la celebre Ipazia figlia di Teone.
Fra le varie opinioni delle varie sette ho cercato di dipingere quale fosse lo spirito dei Romani che dominavano nell’Egitto, e quale lo spirito degli Egizi soggiogati. L’azione termina con la rivoluzione compita dai popoli vinti contro ai vincitori: gli attori del Poema operano ora per la possanza delle loro passioni, ora per quella non minore delle loro opinioni.
Finsi nel Poema emulo e nemico d’Isidoro un lascivo ambizioso ministro e sacerdote d’Osiride, che professando tutte le religioni, nè ad alcuna credendo, serve a tutti i tiranni e a tutte le sette. Egli è capo del filosofico Liceo di Alessandria, e ad un tempo fautore celato di una congiura, che, operando fra l’arte e le tenebre, rovesciar vuole gli altari della religione cristiana, venuta già prima in Egitto da Gerusalemme, ed insieme rovesciare le are profane del culto che professarono gli Egizi antichi, distruggendo ad un tempo la possanza dell’Impero d’Oriente presso al Nilo, ed il sacro trono dei proprii Re, che rialzare cercavasi da Isidoro. L’iniquo sacerdote seduce nascosamente il popolo, traviandone una parte dalle vie della possibile felicità; inganna ed acceca il Magistrato romano, detto Prefetto d’Oriente, a cui contrasta il potere, e di cui si mostra al fine del poema aperto nemico, facendosi dal popolo acclamare Stratego, cioè, primo fra' patrii magistrati, essendo sempre egiziano lo Stratego 2. Fra le civiche vicende conduce pur egli a morte la celebre Ipazia, che ha disprezzato l’amor suo.
Tre Isidori 3 vissero in quel tempo, ed è personaggio principale, ed anzi motore di tutto il Poema, uno degli Isidori. Confusamente dagli scrittori si parla di tutti e tre: io in un solo ho cercato di riunire quanto di loro diversamente si scrive, e quanto voleasi, o doveasi immaginare di lui, ultimo della già regnante stirpe de’ Tolomei, ed amatore riamato d’Ipazia. Alcuni scrittori lo vogliono sposo di lei, ed alcuni lo voglion nato nell’anno 465, mentre morì Ipazia nell’anno 415, ponendo in tale anno il Muratori i fieri tumulti succeduti nella città d’Alessandria (tali sono le sue parole). Io ho figurato Isidoro soltanto caldo amatore d’Ipazia, ed ho lasciato a lei quel certo soave, e direi divino candore, che adorna la bellezza e l’anima d’una vergine, in qualunque culto ella viva.
L’Ipazia di questo Poema è cristiana; misteri del suo cuore agitato sono ugualmente il nobile amor suo, e la religione sua santa, che lo combatte. L’amante suo, invitto liberator della patria, non è cristiano; ed ella, nel rifiutarne le nozze, trova una morte terribile fra il tumulto e la guerra civile.
Dalla maggior parte degli antichi istorici vien detta Ipazia acerba nemica dei Cristiani, ed anzi non mancò chi loro apponesse la morte di lei; nè però veruna certezza si può avere da noi del culto ch’ella seguiva. Il troppo celebre Inglese Tolando niega essere d’Ipazia una lettera, che sua credevasi da molti, scritta a S. Cirillo intorno al ciclo pasquale 4, lettera in cui Nestorio è chiamato empio; ora siccome sarebbe nella oscurità di quei secoli difficile l’indagare qual fosse la credenza d’Ipazia, ci basterà di ricordare, siccome tutti concordemente dicono, che altissimo avea l’animo, la virtù severa e non dubbia giammai, e nobilissimo il costume; e, se pure si vuole che ella cristiana non fosse, allora l’Ipazia di questo Poema, in gran parte assomigliantesi alla vera Ipazia, sarà personaggio non istorico, con nome vero e celebre, qual è il Telemaco tra’ Francesi, o quale la Saffo tra gl’Italiani. Mi sarebbe stato facil cosa il sostituire altro nome di donna vivente allora al caro nome d’Ipazia, se mai l’incredula filosofia richiamasse per suo proprio quel fantasma poetico, sotto il cui velo ho adombrata la dotta e casta vergine cristiana.
Anfilia è nome istorico. Costei, donna di gran fama e d’ingegno, siccome si vede dagli scritti di Porfirio, era nuora, non moglie, di Giamblico, e professava la filosofia in Alessandria. Nomi istorici parimenti sono quelli di Plotino, di Cirillo, di Amone, benchè non veri gli eventi che riguardano costoro nel Poema.
Vera e storica è la sommossa tentata dagli Egizi: ma nata da men nobile fonte, che io non ho detto nel Poema. Da molti secoli erasi colà perduta ogni memoria de’ Tolomei. Fra le vicende della presente età nostra, ho creduto miglior pensiero il non seguire in questo totalmente la storia; perciò ho finto, che Isidoro fosse, o almeno venisse creduto in Egitto, l'ultimo dell'antica numerosa stirpe de' Tolomei.
Scopo morale del mio scritto è, prima di ogni altra cosa, il mostrare, che il porre lo stato in civili contese, onde mutarne le leggi proprie ed antiche, è colpevole mezzo di menzognera felicità; che non ha mai vera patria la gioventù, se non crede essere quella posta colà, dove trovasi il sacro cenere dei grandi, per cui si onora la città propria; poichè il saldo operoso amore della venerata terra nativa non cresce, se non in petti generosi od amatori così delle rigide virtù, come del culto religioso ed avito: e finalmente, che ammirabili sono l’ingegno ed il valore allora solamente, quando sono con fede sincera adoperati per la vera gloria della patria.
Si è cercato provare con gli eventi medesimi quanto mal giovino le opposte dottrine delle scuole nei tempi, in cui manca agli uomini il freno delle leggi, e perciò quanto sia migliore e più possente la forte, l’ottima, l’immortale filosofia dei Cristiani.
Nel Poema non si trovano nè Dei del paganesimo, nè angioli, nè demoni: tutto si opera per le sole umane ravvolgitrici passioni, secondo le leggi della natura, e l’occulto volere di Dio: laonde non vi è nulla di quel maraviglioso, che forma quasi l’anima ed il distintivo carattere della vera poesia epica.
L’opera può chiamarsi romanzo in versi; non epopea, che sarebbe troppo difficile lavoro, perch’io potessi degnamente compirlo.
- ↑ [p. 22 modifica](1) La necessità di ravvicinare tutti i luoghi della scena ha fatto trasportare dal lago Meri alla palude Mareotide quell'antico giudizio che facevasi nell'Egitto agli spenti.
- ↑ [p. 22 modifica](2) Vedi l’opera del signor Letronne, Socio dell'Istituto di Francia, la quale ha per titolo: Recherches pour servir à l'histoire de l'Egipte, pendant la domination des Grecs et des Romains, etc. Paris 1823, part. II, chap. I, § 1, 2, 3.
- ↑ [p. 22 modifica](3) Per ciò che riguarda il filosofo Isidoro e le sue nozze con Ipazia, vedi Agatopisto Crom., vol. V cap. 67 pag. 300 e seg., ove parla dei frammenti dell’opera di Damascio raccolti da Suida.
- ↑ [p. 22 modifica](4) Vedi per l’istoria d’Ipazia, e il dubbio ch’ella fosse cristiana, le memorie sull’istoria ecclesiastica del sig. Le-Nain de Tillemont, vol. XIV pag. 276, e il P. Lupo, che pubblica una lettera di lei a S. Cirillo, dov’ella mostra la volontà di farsi cristiana. Dicono Ipazia moglie d’Isidoro Suida, Fozio. — Ne parla anche Socrate nella sua istoria ecclesiatica.