< Ippolito
Questo testo è stato riletto e controllato.
Euripide - Ippolito (428 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1928)
Terzo stasimo
Terzo episodio Esodo



coro
Strofe I

Sempre il pensiero dei Numi, qualora lo spirito m’occupa,
lungi ne tiene l’ambascia.
Ma questa speranza, nell’anima
chiusa, dilegua, se miro la sorte e gli eventi degli uomini,
ch’or da un lato, or dall’altro si volgono,
perché con errore molteplice
tramutan lor vita gli effímeri.

Antistrofe I
Deh, quello che invoco, volessero i Numi concedermi:
viver con sorte prospera,
con cuor non turbato dall’ansia!
Fama vorrei né troppo superba, né troppo spregevole;
ma, costumi adottando, che facili
si adattino ai giorni cangevoli,
felice vorrei sempre vivere.

Strofe II
Calmo non serbo il mio spirito dinanzi all’evento inatteso
quando l’astro piú fulgido io miro

d’Atene, de l’Ellade tutta,
per l’ira del padre, lo miro
fuggiasco in estranëa terra.
O sabbie dei patrii frangenti,
o montane foreste, dov’egli
con cagne veloci, le fiere
cacciava; e Dittinna era seco!

Antistrofe II
Piú non sarà che dei veneti
corsieri le coppie ci sospinga,
nello stadio di Limna agitando
il pie’ dei corsieri: la Musa,
che mai non dormia su le corde,
tacerà ne la casa paterna:
nell’ombre dei boschi, staranno
senza serti i refugi d’Artèmide:
col tuo bando, finita è la gara,
per le nozze con te, delle vergini.

Epodo
La tua ventura, il fato intollerabile,
lagrimando, io partecipo.
O madre, o madre misera,
che vita invan gli desti!
Ahimè, ahimè, mi cruccio coi Celesti.
Ahimè, ahimè, consessi delle Càriti,
e voi lontano
mandate il giovinetto
che immune è d’ogni macchia,
dalla sua patria, dal paterno tetto?

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.