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La Casa di Savoja, sempre in dipendenza feudale dall’Impero ed in pericoloso contatto colla Francia, aspirando a divenir italiana dopo che invano avea tentato impinguarsi a danno della Svizzera e della Francia, dovea tenersi amici i pontefici, sì perchè la devozione a questi fu sempre popolare e nazionale in Italia, sì perchè della loro potenza poteva essa farsi un appoggio contro le ambizioni altrui, intanto che per la piccolezza e per la lontananza non ne eccitava le gelosie. Mentre dunque per le ragioni opposte i re di Sicilia furono sempre a cozzo coi papi, i duchi di Savoja crebbero mediante favori continui della Chiesa; le diedero molti santi; a capo della magistratura e nelle ambasciate posero quasi sempre persone religiose: il conte Verde, fra ventitrè membri di cui componeva l’alto consiglio, ne voleva otto ecclesiastici; il clero teneva il primo posto negli stati generali; gran cancelliere degli Ordini cavallereschi era sempre o l’arcivescovo di Torino od altro prelato; ampia la giurisdizione del Foro anto ecclesiastico, da assorbire una metà dei processi; i beni e i feudi ecclesiastici rimanevano immuni; fin i malfattori restavano franchi per quindici giorni quando andassero a venerare la santa sindone. Dopo il 1560 risedeva a Torino un nunzio con ampie autorità, e gelosissimo di riservare a Roma le cause più importanti.
Ma al principio del secolo passato, Vittorio Amedeo II, che sossoprava l’Italia per ismania di mutare il titolo di duca in quello di re, ruppe a duri conflitti col papa, pretendendo eleggere egli stesso i vescovi nel suo paese, per (dicevangli gl’adulatori) «non mancare alla sua dignità». Peggio operò allorchè ottenne la Sicilia col titolao regio. Questo regno, per antichissimo canone, rilevava dalla suprema signoria del papa; onde, avendo il duca ricusato di riconoscerla, il papa ordinò a’ vescovi di colà di non riconoscer lui come re, donde urti e persecuzioni, e molti uscirono dall’isola.
Risoluto di vendicarsene, Vittorio Amedeo cominciò a sopprimere l’Inquisizione, avocando ai tribunali le cause a quella devolute; colpì di tasse i beni e le persone ecclesiastiche; puniva atrocemente chi tenesse conto dell’interdetto; mandò truppe protestanti su terre del papa, mentre fra’ sudditi di questo facea reclute. Clemente XI minacciò più volte scomunicarlo, e sempre sospese; solo ordinò che in tutte le chiese di Roma si esponesse il Venerabile, onde supplicare Iddio a toccar il cuore del duca. Ne seguì, come al solito, un miserabile strazio delle coscienze, massime nella Sicilia; il senato di Nizza obbligò i popolani di Roccasterone a riconoscere un parroco, benchè scomunicato e rimosso dal nunzio: a ribattere le pretensioni romane aguzzavansi legulej piemontesi, il Pensabene, il D’Aguirre, il Degubernatis: Vittorio Amedeo fece raccogliere materiali da Girolamo Settimo e Giambattista Caruso, e li mandò ad Elia Du Pin, che ne formò la Défense de la monarchie de Sicile contre les entreprises de la Cour de Rome (Amsterdam, 1716).
Non lasciarono sfuggire quest’occasione i Protestanti e gli spiriti forti, per veder di guadagnare il duca. Alberto Radicati, conte di Passerano e di Cocconato da Casale, fu de’ più ferventi oppositori alle pretensioni curiali; negava ogni supremazia del papa sui vescovi; la gerarchia ecclesiastica esser una corruzione della dottrina evangelica, donde passava a voltare in burla i dogmi e i misteri.
L’Inquisizione lo cita tre volte; ed egli non risponde; in contumacia è condannato ad esser bruciato vivo, ed egli trionfa in Torino: ma ecco un bel giorno gli è intimato che Vittorio Amedeo lo chiama. Egli va alla Corte con esitanza, e si sgomenta davvero quando nell’anticamera scorge il padre inquisitore e il procuratore fiscale. Pure Vittorio l’accolse graziosamente; l’avvertì che potenti nemici teneano l’occhio sopra di esso, e l’accusavano d’ateismo: avesse la cautela di parlare più temperato; del resto egli eragli riconoscente dello zelo che mostrava per gl’interessi della Corona.
— Se il re mi approva, non curo la disapprovazione di chicchessia: (rispose l’accorto cortigiano) se il re mi biasimasse, tacerei».
Vittorio l’assicurò della sua protezione: tornasse domani. E al domani lo interrogò se conoscesse a fondo i diritti delle due podestà. Il Radicati rispose averne fatto lo studio di tutta la sua vita: e se tutti ne sapessero altrettanto, nessun principe accetterebbe nel suo Stato altra podestà fuor della propria.
— Ma se così operassero, che diventerebbe l’autorità della Chiesa?» dimandò il principe.
— Diventerebbe una chimera, qual è veramente.
— Comprendete voi tutto il peso delle vostre parole quando trattate di chimera l’autorità che i papi tengono da Dio?
— Maestà sì, la conosco, e mi darebbe il cuore di mostrarle che tale autorità, non che venire da Dio, repugna al vangelo.
— Ma diminuendo questa autorità, non si correrebbe rischio di turbare la tranquillità pubblica?
— Mi permetta vostra maestà di non crederlo, qualora l’impresa fosse assunta da principe saggio quanto Vittorio Amedeo. Il senato di Venezia ha pur potuto mettere freno alle esorbitanze del clero, malgrado i dispareri che nascono nelle assemblee numerose. Quanto più sarebbe agevole a principe, che non dee consultare se non la propria volontà?»
Pochi giorni appresso, il re tornava a chiamarlo, e gli disse come le sue ragioni gli avessero fatto colpo, ma per restarne meglio convinto occorreagli di vederle rinfiancate con altre; ed esposte in iscritto per pesarle ad agio: il facesse, e mettesse cura di non asserire cosa senza provarla.
Il Radicati si pose all’opera, e già avevala ben avanzata quando si sparse voce di accordi fra Torino e Roma; al Radicati parve che il re nol ricevesse più colla cordialità di prima, nè in udienze private: che i magnati della Corte stessero seco sul grave; che frati e preti ridessero di lui, come già sovrastasse il giorno delle vendette. Son fantasie, con cui si piacciono alcuni da atteggiarsi perseguitati: fatto è che, non tenendosi più sicuro, uscì di Piemonte e passò in Inghilterra. Il marchese d’Aix, che colà stava ambasciadore del re, gli fece sapere come avesse avuto torto di abbandonare il Piemonte, dove nulla a temere v’aveva, nè il re cesserebbe di tenerlo in protezione. Pertanto deliberò rimpatriare: ma giunsegli ordine di indugiare finchè al re non avesse presentato il libro, del quale tanto si parlava ancor prima che comparisse. E il Radicati, datovi l’ultima mano, lo spedì a Torino.
Ma ecco il ministro intimargli che sua maestà era indignata gli avesse spedito uno scritto siffatto, e che non potrebbe più conservare seco relazione: i beni suoi, come di nobile migrato senza consenso regio, furono confiscati.
Il libro, stampato a Rotterdam, 1736, col titolo Receuil de pièces curieuses sur les matières les plus intéressantes, sostiene dodici proposizioni: 1° Il principe dee aver libera la collazione degli arcivescovadi, vescovadi, badie, parrocchie, e disporne a suo talento come i re di Francia: nominare inoltre i provinciali, priori, superiori degli Ordini religiosi, o rimuoverli. 2° Determini egli il numero de’ preti e dei frati di ciascun Ordine, monastero, collegio. 3° Incameri tutti i beni e le rendite della Chiesa e degli Ordini religiosi, dando al clero sufficienti provvigioni. 4° Vieti ai sudditi di donare mobili o stabili a Chiese o a corpi religiosi. 5° Proibisca ai Gesuiti o frati qualunque d’insegnare pubblicamente o privatamente, ma stabilisca scuole laicali nelle città e nelle borgate. 6° Proibisca al clero di ricevere mercede per la celebrazione di messe, punendo come simoniaco chi ne accetta. 7° Tenga per ribelli i confessori o ecclesiastici che ne’ penitenti o ne’ fedeli eccitano odio contro il sovrano. 8° Abolisca l’asilo delle chiese; pigli le terre del papa che si trovino nello Stato, come sono i feudi pontifizj in Piemonte. 9° Abolisca il Sant’Uffizio 10° e le confraternite del Rosario, del Monte Carmelo, della Cintura di sant’Agostino, del Cordone di san Francesco, dello Spirito Santo. 11° Diminuisca il numero delle feste, riducendole alle domeniche, pasqua, natale, capo d’anno, natività della Beata Vergine, tanto per distinguere i Cattolici dai Protestanti. 12° I beni del clero scomparta fra i nobili ed i Comuni; e poichè cesserebbero d’esser immuni dal tributo, diminuisca d’altrettanto le gravezze pubbliche.
Avanti procedere a tali riforme bisognava fondare l’Università e l’insegnamento laicale, togliendo ai Gesuiti l’educazione: stampare un’istruzione popolare sulla distinzione fra l’autorità spirituale e la temporale; e difondere gli scritti di frà Paolo Sarpi.
L’opera, alla quale precede il racconto dei fatti che su riferimmo, nella stampa fu dedicata a Carlo III Borbone re delle Due Sicilie; e poichè il Radicati confidava che questo diventerebbe re di tutta Italia, ricostituendo la nazione, gli offriva questi pensieri come conducenti a tal fine. È scritta con vivacità e acrimonia, neppure risparmiando l’autorità spirituale, e proponendo a modello Enrico VIII e il czar. Suggerisce però ai principi si mostrino zelanti della religione per ingannare il popolo, e averlo favorevole nella lotta contro gli ecclesiastici: non tocchino il dogma per non offendere gli altri sovrani.
In Inghilterra si amicò a Collins, a Tyndal, ad altri spiriti forti, e per secondarli avventò contro la Chiesa una finta lettera all’imperatore Trajano, ove si pongono a parallelo Maometto e Sosem, cioè Mosè. Fece pure una Storia succinta della professione sacerdotale antica, dedicata all’illustre e celebratissima setta degli spiriti forti da un libero pensatore (Freethinker) cristiano nazareno; e il Racconto fedele e comico della religione dei cannibali moderni, di Zelim Moslem, in cui l’autore dichiara i motivi che ebbe di rinunziare a tale idolatria abominevole. Ivi numera le cause che pervertirono i costumi dei Cristiani, i mali che la moltiplicità delle chiese e degli ecclesiastici causò alla repubblica cristiana, e i modi con cui si formò e si mantenne la monarchia papale; mentre l’autorità sacra come la civile spetta di diritto al sovrano.
Dappoi nella Dissertazione sulla morte (1733) sostenne la fatalità degli atti e giustificò il suicidio; essendo l’uomo semplice materia, ch’ebbe la vita per essere felice, può rinunziarvi quando manchi lo scopo. Per questo libro processato insieme collo stampatore, dall’Inghilterra dovette uscire, e vagò in Olanda e in Francia, impugnando anche le verità bibliche, massime nel libro La religione maomettana comparata colla pagana dell’Indostan da Ali-Ebu-Omar-Moslem, e in un sermone che fìngea predicato nell’assemblea de’ Quacqueri di Londra dal famoso fratello Elvell (1737).
È noto che Vittorio Amedeo abdicò, ma volendo intrigarsi ancora d’affari e forse ripigliare la corona, fu dal figlio fatto arrestare. Di questo fatto vergognoso le invereconde e spietate circostanze furono tenute occultissime; e poichè allora non v’avea giornali onde far propagare la bugia, il marchese d’Ormea ministro finse che una relazione di quei fatti fosse diramata alle legazioni, e la fece arrivare agli ambasciadori stranieri residenti in Torino quasi provenisse da infedeltà d’un impiegato. L’ebbe pure il Radicati, e tradottala in inglese, offrì al cavalier d’Ossono ministro di Piemonte a Londra di cedergliela, sperando così amicarsi Carlo Emanuele III, e ottenerne il rimpatrio. Non gli si badò: ond’egli, fingendo gli fosse mandata in forma di lettera da Torino, e aggiuntevi altre notizie, la pubblicò: più volte ristampata, fu una delle scritture più lette di quel tempo, e gli storici ne adottarono le favolose circostanze, come troppo spesso confondendo il proibito col vero.
Dicono che il Radicati, morendo in man di ministri protestanti, abjurasse gli errori contro il cristianesimo.