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Cagliostro
Renata duchessa di Ferrara I Plinj


Giuseppe Balsamo, nato a Palermo l’8 giugno 1743 da Pietro Balsamo e Felicia Braconieri, aggregato ai Fatebenefratelli di Caltagirone, imparò un poco di chimica e medicina, e presto ne uscì per iscapestrarsi fra begli umori, tagliacantoni, attrici, duelli, bische, falsificazioni di cedole e di contratti. Per una truffa costretto a spatriare, associossi al greco Altotas, che pretendeva essere l’ultimo depositario delle scienze occulte, e che morì poi per esalazioni di suoi preparati: con esso girò la Grecia, l’Egitto, Malta, dove carpì i secreti d’un famoso chimico Pinto: e valeasi della scienza di Kircher e di Robertson, maneggiando gli specchi magici, usando la radomanzia, confezionando profumi inebbrianti, fabbricando drappi di lino che pareano seta, colorando stampe che spacciava per aquarelli, e indagando il grande segreto, cioè quello di convertire i vili metalli in oro. Conosceva gli uomini costui, sicchè contava sulla loro dabbenaggine. Variò nome secondo l’opportunità; conte Harat, conte Fenice, marchese dei Pellegrini, Belmonte, Melissa, infine prevalse quello di conte di Cagliostro. A chi volesse contezza dell’esser suo, rispondea Sum qui sum; pure talvolta narrava d’aver conosciuto Abramo, assistito al supplizio di Cristo; oppure discendere da Carlo Martello; essere generato da un granmaestro di Malta in una principessa di Trebisonda, e altre baje ch’erano credute dal secolo, il quale non credeva più ai vangeli. Se si chiedeva la base del suo sapere diceva: In verbis, in herbis, in lapidibus. Sposata una romana, la pose sulla mala via, sicchè, oltre guadagnare del proprio corpo, essa lo secondava abilmente vendendo polveri panurgiche, vino d’Egitto per ravvigorire i nervi, pomate ringiovanenti e rinverginanti; ed egli le diceva; — Io volto le teste a costoro, tu fa il resto».

Con ciò e col falsificare biglietti, in complicità con un marchese Agliata suo compatriota che poi fini sulla forca, arricchì; a vicenda impoverì perchè imprigionato ed espulso, o derubato da suoi complici, o pel suntuoso vestire e il lauto banchettare e viaggiare per posta con molte carrozze e ricche livree. A chi stupisse di quella enigmatica ricchezza, confidava che, a forza di calcoli, indovinava i numeri del lotto; noi sappiamo ch’era espertissimo nel plasmare gemme e nel falsare monete e cedole; che signori sfibrati e donne avvizzite pagano lautamente chi promette rinvigorirli e rinfiorirle, e che il mondo retribuisce largamente i ciarlatani. In fatto, affiliato alla setta degli alchimisti, medico della scuola dei Paracelso e dei Rosacroce, destro quanto Lavater nel conoscere la fisionomia, emulo degli astrologhi nell’indovinare, acquistò fama nella Spagna; poi in Inghilterra, ove processato più volte, seppe sgabellarsene: poi in Russia ove le famigliarità di sua moglie col Potemkin eccitarono la gelosia di Caterina II, che lo regalò riccamente perchè partisse.

Crebbe di potenza col legarsi ai Franchimuratori.

Le origini della Massoneria colloca alcuno fin nel paradiso terrestre, dove uno degli Eloim mescolatosi con Eva, generò Caino, mentre Adonai, altro degli Eloim, creò Adamo che da Eva generò Abele. Fra le due stirpi rimase eterna sconcordia, e i figli di Caino inventarono le arti: Adonhiran fu chiamato da Salomone a fabbricare il suo tempio, durante la quale impresa fu da un gigante ucciso e trascinato nell’abisso del fuoco. Ma quivi glorificato, tornò a compire l’opera. Salomone per gelosia lo fe uccidere; ma nove maestri ne trovarono il cadavere, assassinarono gli assassini, e in mezzo a un triangolo di fuoco ascosero il nome del Grande Architetto Dell’Universo, che fu custodito con gran segreto da alcuni eletti.

I moderati deducono la massoneria dai Templari, e che Giacomo Molay, ultimo costoro granmaestro, prima d’esser bruciato istituisse tre loggie, una delle quali a Napoli.

Il più probabile è che nascesse intorno al Mille, quando, rassicurati che il mondo non finirebbe al compiersi dei dieci secoli, venne una smania di fabbricar chiese, donde consociazioni di maestri da uro. Erano o monaci, o diretti da spirito religioso: ond’ebbero voti, giuramenti, forme d’iniziazione: i capannoni che ergeano attorno alle fabbriche, dissero loggie: custodivano in segreto i procedimenti delle costruzioni, e tra loro chiamavansi fratelli; aveano gerarchia di capi, nè venivano ammessi che dopo confessati e colla benedizione del vescovo. Dapprima i Franchimuratori non dirigevansi che a ciò, ma allorché furono distrutti i Templari, essi ne adottarono i riti e le credenze, che dai processi apparvero inchinare alle gnostiche e manichee.

Certo i muratori nel medioevo costituivano corporazioni, come quella de’ Magistri Comacini, ricordata ripetutamente nelle leggi longobarde; ma principalmente in Germania: fra esse tramandavansi arcanamente le regole migliori del fabbricare; e da questo traevano il nome, i gradi ed anche i simboli, ch’erano l’archipenzolo, la squadra, il martello, il grembiule, la cazzuola. Una riforma ebbero tali società nel capitolo generale che, il giorno di san Giovanni Battista del 1307, radunossi da Aumont e Harris fratelli militari, e da Pietro di Bologna fratello ecclesiastico.

Pretendesi abbiano contribuito alla Riforma religiosa, ma noi non ne trovammo indizio di sorta. Ben taluno asserì inventasse queste società il famoso antitrinitario Lelio Soccino a Venezia nel 1546; ma in contrario è noto che già nel 1535 pubblicossi una circolare a tutte le loggie, ove negavasi che loro scopo fosse vendicare Molay e ripristinare i Templari, nè introdur nuovi scismi; fin là aveano creduto bene tacere e celarsi, ma allora trovavano opportuno far pubblico l’antichissimo loro essere e l’intento loro, ch’è la vera morale impressa nei cuori, e difonder la felicità e il regno della luce; non avere altro di secreto che la beneficenza.

Senza discutere quanto v’abbia d’autentico in quelle pretensioni d’antichità, certo è che, durante la rivoluzione d’Inghilterra, i Franchimuratori presero altri assunti politici e religiosi; poi, fuori dell’isola si diffusero dopo il 1719, principalmente nella Germania, inclinata ai concetti mistici, e dove il culto limitandosi a prediche, facilmente si passa dai sistemi all’errore, dall’errore alle sètte. A Parigi la prima loggia fu aperta nel 1725, ove, abbandonato il carattere severo degli isolani, la massoneria si rese gaja e benevola. A tutti i Franchimuratori della nazione presedeva un Grand’Oriente: a ciascuna loggia un Venerabile, e sotto di lui il Vigilante; il Fratello terribile riceveva i neofiti, ai quali erano date le istruzioni dal Maestro delle cerimonie; il Grand’Esperto teneva i sermoni; un Tesoriere, un Elemosiniere, un Secretario aveano gli uffizj indicati dal loro nome. Nella camera dell’adunanza vedeansi quadri emblematici, motti geroglifici, il settangolo, il triangolo, la cazzuola, la squadra, il compasso, il martello, il teschio umano, la pietra cubica o triangolare o rozza, i ponti da fabbrica, la scala di Giacobbe, la fenice, il globo, il tempio, la lavagna co’ motti Lucem meruere labore — Odi profanimi vulgus et arceo — Petite et accipietis — Pulsate et aperietur vobis — O vincere o morire - In constanti labore spes. Attorno a un letto a bruno colla croce e l’ulivo accoglievansi i fratelli in tunica, con emblemi di spade e squadre; sparsi qua e là cazzuole, martelli, il tamburo di pelle d’agnello, fazzoletti chiazzati di sangue, ossa, cranj, stili, e altri apparati da colpir la fantasia, e il cui linguaggio trisense è difficile e incerto.

Diversi erano i gradi, e a proporzione di questi la comunicazione del secreto. I più non doveano vedervi altro scopo che di riunirsi a far cene e discorsi, ajutarsi a vicenda, riconoscersi anche in paesi lontani mediante certi segni e toccamenti; offrire l’ideale della società a cui si aspirava, dove nessun divario di religione, di nazione, di grado, levate tutte le distinzioni sociali; insomma quella fraternità umana che corregge gl’inconvenienti inevitabili in ogni società civile. Ma gl’intriganti utilizzavano a loro profitto quella misteriosa solennità di forme, che copriva e simulava le istituzioni del fanatismo per realizzare la religione filosofica, cioè indipendente da dogmi e da riti, e limitata all’onestà naturale. I gradi esterni e simbolici non sono che l’ombra degli interni: la parte esoterica, non solo tollerata, ma alcune volte favorita dai Governi, è solo il peristilio d’un tempio, inaccessibile a’ profani1.

Quanto alla religione, ammetteano Dio uno e trino, ma varj loro atti, mentre s’intitolano in nome della Santissima Trinità, chiudonsi professando, «Salute al Dio eterno. Noi possediamo il bene di trovarci nella maggior possibile unità dei numeri sacri». Cristo, fu un savio, di eminente moralità, e benemerito dell’uman genere. La Bibbia è parola di Dio, in quanto ogni parola vera uscente da labbro umano ha l’impronta della divinità. Del resto alla rivelazione deve surrogarsi dapertutto la ragione. Questa farà ammettere tutte le religioni, e distruggere la superstizione, l’ignoranza, il fanatismo, coi quali nomi dinotano il cristianesimo e più specialmente il cattolicismo, che esprime assassino, assassinio, assassinato.

Quest’assunto appare principalmente nell’iniziazione del cavaliere kadosc, che è il tricesimo dei 33 gradi. Ivi al neofito si mette in mano un pugnale, ai piedi il Crocifisso, e gli si intima di calpestarlo. Se noi fa, è lodato, ma gli si taciono i grandi arcani: se lo fracassa, seguono fiere rappresentazioni e fin simulata uccisione di tre persone, che simboleggiano la superstizione, il re, il papa.

Questi mistici novatori sono dunque una società religiosa, morale, sociale, e, almen nello svolgimento successivo, vi riconosciamo il razionalismo puro, applicato alle credenze, agli atti, alla società. Che fede? che tradizioni? nulla v’è di superiore all’intelligenza umana: le religioni non sono che le varie forme con cui l’uomo intende Dio; sicchè tutte sono buone del pari, buoni tutti i culti, eccetto quello che pretende esser unico vero. Per ciò, e per abbagliare i vulghi, da tutti i misteri di antiche società ricavarono simboli e segni; le abraxe dei Gnostici, le dodici tribù, le tavole, la colomba de’ riti mosaici e talmudici; la teogonia egizia cogli angeli di due sessi: il sabeismo de 5 Parsi; la lingua ebraica: sincretismo, che dee condurre alla indifferenza: adottarono fin l’I. N. R. I. de’ Cristiani, interpretandolo per Igne Natura Renovatur Integra, oppure Igne Nitrum Roris Invenitur, oppure Iamin Nour Rouch Iebeschal, acqua, fuoco, vento, terra. Perocchè la grande eguaglianza, cui aspira la massoneria, deve demolire le religioni, i governi, le autonomie; non appartenendo essa a verun paese, non ha nazionalità; raggi diversi d’azione, ma unico il centro.

Di qui trapelava l’intento politico: ma la massoneria assunse il carattere odierno dopo che alla sua teosofia s’innestò l’illuminismo del bavarese Adamo Weishaupt, professore di diritto canonico nella Università d’Ingolstadt, il quale ebbe l’arte di combinare queste permanenti cospirazioni in modo uniforme, e tutte convergerle a un fine, ch’era insomma la distruzione e la ricostituzione dell’intero organamento sociale, abbattendo ogni superstizione, ogni monarchia, ogni privilegio di nascita, ogni proprietà individuale. Era il tempo che ispirava sgomento la potenza dei Gesuiti, ed esso che gli avea conosciuti, pensò surrogarvi quest’altra società gerarchica, altrettanto vigorosa ma scevra di religione, e che assumea per dogmi quelli appunto che bugiardamente apponevansi ai Gesuiti. Al 1 maggio 1776, avendo 28 anni, Weishaupt costituiva la sua setta, alla quale innestò ben presto le altre di Germania e le loggie massoniche, ma durò solo fino al 1785. Tutto era disposto gerarchicamente, in modo che ne’ gradi inferiori neppur trapelasse ciò ch’era l’intento dei gradi superiori; e poichè l’obbedienza doveva essere assoluta, gl’infimi compirebbero atti, in apparenza innocui o virtuosi, ma pur sempre diretti al fine de’ superiori; nè a questi poteva essere promosso chi non avesse procacciato due proseliti. E insegnava: «L’arte di rendere infallibile una rivoluzione è illuminare i popoli, insensibilmente conducendo l’opinione pubblica a desiderare cambiamenti, che sono l’oggetto indeterminato d’una prestabilita rivoluzione. Se l’oggetto di questo desiderio non potesse manifestarsi senza pericolo di chi lo concepì, se ne propagherà l’aspirazione nell’intimità delle sètte segrete. Se l’oggetto sia una rivoluzione universale, tutti i membri della società devono cooperarvi, cercando dominare invisibilmente, senza apparenti violenze, e sovra gli uomini di qualsiasi condizione, gente o religione, tutti drizzandoli alla meta stessa. Conquistato così l’impero dell’opinione mediante l’accordo e la moltitudine degli adepti, sottentri la forza; si leghino le mani a chiunque resiste; si soffoghi il male nel suo germe, cioè si opprimano quelli che non si giunga a persuadere»2.

In un famoso congresso di Franchimuratori, uno de’ capi, dopo tributati immensi elogi al Weishaupt, conchiudeva: — Bisogna perpetuare i modi ch’egli ci ha lasciati in eredità, e continuarli instancabilmente fino alla mirifica attuazione, che farà stupire l’universo colla più terribile, ma più felice metamorfosi, accontentando nella tomba questo saggio nemico dei re» . Il primo urto si darebbe alla Francia, indi si abbatterebbe Roma.

Tali intenti venivano celati sotto formole di iniziazione, fra drammatiche e paurose, varie secondo i paesi e i tempi. Tiriamo un velo sull’adozione femminina, sulle misteriose gioje dell’isola della felicità, del fratello sentimento, della sorella discrezione. Ne’ loro matrimonj, fatti dal Venerabile, si dichiara che l’indissolubilità è contro la natura, giacchè più volte trovansi unite persone, che riconosconsi assolutamente incompatibili; è contro la ragione perchè si vuol eterno l’amore, ch’è il più capriccioso e involontario de’ sentimenti.

Quei che li temeano dicevano che gli Illuminati fossero Gesuiti mascherati; e Weishaupt chiamavano il Lojola de’ filosofi, versando così nuovo odio sopra quell’Ordine, il cui nome pare trascelto sempre a indicare ciò che vuol rendersi odioso3: ma anche persone di credito ne conosceano la potenza, e Condorcet, nel famoso opuscolo Sui progressi dello spirito umano, indicava i colpi che all’idolatria monarchica e alla superstizione aveano dato quelle società derivate dai Templari.

E Illuminati e Massoni tendevano del pari ad abbattere: e tutte queste demolizioni (che nella storia aveano poi a costituire la Rivoluzione) doveano disporre a edificar una nuova Gerusalemme coi frantumi dell’antica, per opera del gran sacerdote apocaliptico, il quale compare vestito come la donna mistica dell’Apocalissi, con dodici stelle attorno al capo. È la deificazione dell’umanità, perocchè gli uomini, pervenuti alla massonica purità, sono Dei della terra. Allora non vi sarà più teologia, ma una religione, consistente nel vivere da onest’uomini, credendo ognuno quel che vuole, poichè ogni opinione è per sè stessa giustificata dal diritto della libertà e della contraddizione: fossero anche le stravaganze del socialismo e le iniquità del comunismo; fosse la negazione d’ogni soprannaturale, d’ogni gerarchia umana; fossero i mezzi con cui la rivoluzione sovverte ogni cosa.

I quali mezzi suggeriti sono: accarezzare i principi col fingere di ingagliardirli, rimovendo gli ostacoli che pone alla podestà loro l’autorità religiosa: distrugger pure gli ostacoli messi dalle corporazioni, dagli Stati, dalle università, sicchè l’uomo si trovi isolato a fronte d’un poderosissimo organamento d’impieghi e di eserciti: staccare la scuola dalla Chiesa, riducendola a semplice istruzione; poi ai re sovrapporre la responsabilità dei ministri e le onnipotenti risoluzioni dei parlamenti, appoggiati dalla libera stampa e alla giustizia sottomessa all’opinamento dei giurati; costituendo così un diritto tutto positivo, di fatti compiuti, di opportunità; riducendo l’Europa pochi grandi Stati che inghiottiscano i piccoli, in nome di nazionalità geografiche: e di tal passo, col nome di libertà si riesca a rendere l’individuo interamente servo allo Stato. Ecco perchè La Martine, quand’era capo del potere esecutivo di Francia, ebbe a dire: — Sono convinto che son nate dal seno della massoneria le grandi idee del 1789, del 1830, del 1848».

Quando il neofito vede tutte le spade appuntate contro il suo petto, il venerabile lo rassicura dicendogli: — Non temere. Esse non minacciano che allo spergiuro. Se fedele alla massoneria, esse saranno disposte a difenderti. Ma se tu fallissi, nessun luogo della terra ti assicurerebbe contro l’armi vendicatrici».

E il neofito, in nome del Grande Architetto Dell’Universo, giura non rivelar mai i segreti della massoneria: — Se manco, mi siano bruciate le labbra con ferro rovente; tronche le mani, strappata la lingua, segata la gola; il mio cadavere sia sospeso in una loggia durante l’iniziazione d’un altro fratello, per terrore di tutti: poi sia bruciato e le ceneri disperse al vento, sicchè non rimanga memoria del traditore»4.

Con ciò la compagnia arrogavasi il diritto punitivo, proprio della società civile, e da eseguirsi coll’assassinio: fatto che basterebbe a riprovarla.

Come quest’associazione tenebrosa penetrasse in Italia non è chiaro; ma nel 1733 già esisteva una loggia a Firenze, perocchè fra i cimelj della massoneria sta una medaglia, ivi coniata quell’anno al granmaestro duca di Middlesex. Nel 39 fu introdotta in Savoja, nel Piemonte, in Sardegna, tre paesi aventi un solo granmaestro provinciale, nominato dalla loggia principale d’Inghilterra. A Roma, convegno di tanti forestieri, ve n’avea nel 1742, quando decretarono una medaglia a Martino Folkes presidente della società reale di Londra, ma rimasero secrete fino all’89.

La loggia degli Amici Sinceri alla Trinità de’ Monti fu fondata il 6 novembre 1787 da cinque Francesi, un Americano e un Polacco, che appartenendo a loggie estere, gemeano di viver in mezzo alle tenebre: vi furono ricevute persone d’ogni condizione, e dipendeva dalla loggia madre di Parigi, con cui teneasi in continua corrispondenza; ogni settimana se ne ricevea la parola d’ordine o di passo, e ogni anno vi si mandava un dono: come ogni anno per elezione si rinnovavano i gradi di Venerabile, Vigilante, Fratello terribile, Cerimoniere, Tesoriere, Limosiniere, Secretano, Grand’Esperto ossia Oratore. Il neofito era da un fratello in maschera introdotto nella camera delle riflessioni, parata a nero, illuminata da una candela di cera gialla, e con un tavolino, su cui un teschio. Il fratello terribile lo avvertiva di meditare seriamente, e rispondere a tre quesiti che davansegli in iscritto, concernenti i suoi doveri, e ai quali esso rispondea pure in iscritto: talvolta dovea far la sua confessione ad un finto frate. Il fratello in maschera portava poi queste risposte nella camera superiore, detta il tempio, e le presentava al Venerabile. Sceso, intimava al neofito di deporre oriuolo, spada, fibbie, ogni metallo, abbassar la calza della gamba sinistra, snudare la spalla e il braccio destro. Così ad occhi bendati era condotto nel tempio, dove inginocchiato al Venerabile, dichiarava il nome e le qualità sue e gl’intenti che lo moveano ad aggregarsi. Condotto in giro fra strani e spaventosi rumori, toccando i Vangeli e la spada d’onore giurava il secreto e cieca obbedienza. Levatagli la benda, trovavasi in mezzo a molti fratelli colle spade appuntate contro di lui, pronte a difenderlo se fedele, a ucciderlo se sleale. Allora riceveva l’abbraccio, il grembiule, i guanti; gli si insegnavano i toccamenti e le parole, e finivasi con un banchetto a spese del novizio. Altre cerimonie accompagnavano i gradi seguenti, sempre con teschi e cataletti e finti cadaveri. Alla domanda se obbedirebbe a qualunque comando ancorchè contrario alla religione e alla sovranità, uno esitò; e subito fu rassicurato che nè di religione nè di sovranità mai non trattavasi nella loggia.

La loggia dapprima fu indipendente, poi si fece instituire regolarmente dal Grand’Oriente di Francia: componeasi di francesi e tedeschi; n’era Venerabile un tal Bello; e s’affratellò a molte loggie, quali la Perfetta Eguaglianza di Liegi, l’Armonia di Malta, la Concordia di Milano, il Consiglio degli Eletti di Carcassona, il Patriotismo di Lione, la Perfetta Unione di Napoli. Sui suoi diplomi era disegnato a mano il triangolo inscritto nel circolo, e avente nel centro la lupa lattante.

Varie loggie ebbe Napoli, le quali poi nel 1756 si legarono in una nazionale, che corrispondeva colla Germania; nel 1767 un moribondo per iscrupolo, e un cavaliere per dispetto di vedersi sospesi i larghi sussidj, ne rivelarono l’esistenza e il granpriore di quel regno, ch’era il duca di San Severo. Arrestato questo, immediatamente il suo palazzo andò in fiamme, ma il popolo le estinse, talchè poteronsi avere i carteggi. Esso duca non negò nulla, espose il fine e i mezzi, e accertò che da sessantaquattro mila massoni contavansi nella sola Napoli, a milioni gli adepti. Secondo un ragguaglio steso allora e colle incertezze inerenti a società secrete, la massoneria rimontava a censettantacinque anni indietro, quando il vescovo inglese Cromwel fondò una camera e sette assessori, uno per nazione; ciascuna nazione suddivisa in cinque provincie, con un assessore per provincia.

Questo secretume dovea recare sospetto non men che al clero, ai principi, i quali vollero ripararvi ma colla fiacchezza caratteristica di tutti gli atti di quel secolo. Nel 1737 il granduca (imitando l’Olanda e la Francia) avea proibito le adunanze muratone. Carlo III di Sicilia vi applicò le ordinanze contro i perturbatori della pubblica tranquillità; e il Tanucci, che pur era propenso alle novità, le proibì affatto, massime in occasione che una iniziata restò colpita dalle cerimonie in modo, che cadde malata e morì, onde il pubblico ne levò rumore. Carolina regina le fece ripristinare, onde ne’ banchetti brindavasi alla salute di quest’austriaca, che fra poco doveano esecrare.

A Venezia si aprirono loggie fin dai loro cominciamenti, ma nel 1686 se ne ordinò la chiusura. Ve le ripiantò un Sessa napoletano, e vi erano affiliati nobili abati, negozianti. Quegli oculatissimi inquisitor di Stato n’ebbero conoscenza da un rotolo di carte, che Girolamo Zulian dimenticò in gondola. Subito invasa, mentre nessun v’era, la loggia presso San Simon Grande, se ne asportò quel mistico e burlesco corredo di cranj, pentagoni, seste, tamburi, cazzuole, grembiuli, e si bruciarono al cospetto del popolo, che li credette stregherie. Allora vengono proibite le loggie, anche quelle aperte a Vicenza e Padova, senza però castigare gli aggregati, che forse erano troppi di numero e di potenza, e che non tardarono a rannodarsi e a cospirare per la distruzione della repubblica.

Anche fra loro v’avea protestanti, che faceansi Illuminati o Rosacroce, oppure a forza di evocazioni teurgiche e speranze febbrili, diventavano cattolici, come avviene degli odierni spiritisti.

Nella lista dei primi Illuminati avanti il 1776 trovo, di italiani, Brutus che era il conte Savioli, Coriolano che era Troponero, Diomede che era il marchese di Costanzo, tutti consiglieri a Monaco. Quest’ultimo napoletano impiantò società filiali in Roma e a Napoli; ed essendo andato a Berlino per servigi della setta, Federico II ne prese sospetto, e avvisò l’elettore di Baviera, che sequestrò le carte di questi settarj e le pubblicò.

Giuseppe II, piaggiatore dell’opinione, a’ suoi governanti diramava una circolare del 1 dicembre 1785, professando nulla conoscere della massoneria (e certo, se nella massoneria v’avea secreti, sarebbero appunto i re che non li conoscerebbero), ma sapere che fa del bene, soccorre poveri, incoraggia le dottrine: onde cassa la proibizione fattane da sua madre, e la prende in protezione, diceva:

— La Framassoneria è talmente diffusa ne’ miei Stati, che non v’ha quasi città per piccola dove non abbia loggie: ond’è necessario stabilirvi un certo ordine. Non conosco i loro misteri e non ebbi mai curiosità di penetrarvi: ma il sapere che fa qualche bene, sostiene i poveri, coltiva e protegge le lettere, mi basta per voler fare per essa qualcosa più che gli altri paesi, la ragion di Stato però ed il buon ordine domandano di non lasciar costoro affatto a sè stessi, e senza particolare sorveglianza: onde penso prenderli sotto la mia protezione, e accordar loro la mia grazia speciale, se si conducono bene, sotto queste condizioni:

«1.° Non vi sarà nella città capitale che una o due loggie, al più tre. Nelle città dove siede un governo si permetterà pure una o due o tre loggie. Son proibite nelle città di provincia: e chi permettesse assemblee in sua casa, sarà punito come chi tiene giuochi proibiti.

«2.° Le liste di tutte le loggie coi loro membri saranno mandate al Governo, e i giorni delle adunanze, e ogni tre mesi la distinta de’ membri entrati o usciti, senza annunziare i titoli o gradi che hanno nella loggia.

«3.° Ogni anno si notificherà il direttore delle loggie.

«In compenso il Governo accorda ai Franchimuratori recezione, protezione, libertà: lascia affatto alla loro direzione l’interno delle loggie e la loro costituzione, e non farà mai indagini curiose. Così l’ordine della massoneria, composto di molte persone oneste a me conosciute, può divenir utile allo Stato.

«Giuseppe»5.

Meglio ne avvisarono la natura i pontefici, e come fine reale ne fosse il togliere via le differenze che la religione pose fra gli uomini, ed accogliere chiunque deserta da qualsiasi fede positiva.

Laonde sin dal 28 aprile 1738 Clemente XII denunziava i pericoli di queste accolte di persone d’ogni fede; del segretume che ne proteggeva i riti e gl’intenti; dell’opposizione alle leggi e canoniche e civili. — Vario ne corre il grido (diceva il papa): ma se volgonsi a scopi onesti, perchè tanti arcani?» Laonde ammoniva i fedeli ad astenersene e non favorirle in verun modo, sotto pena di scomunica, la quale non potesse sciogliersi che dal sommo pontefice, salvo che in articolo di morte. Inoltre agli inquisitori ingiungeva di procedere come contra gravemente sospetti di eresia, invocando, ov’uopo fosse, il braccio secolare.

Con ciò la Chiesa non faceva che mostrare il carattere solito di tutrice della libertà, non compatendo vi fossero persone che giuravano obbedire ciecamente ad un capo. A molti bastò quest’avviso per ritrarsene, ma essi (dice il Muratori negli Annali d’Italia) allora pubblicarono le regole loro, dalle quali risultava «terminare la massoneria in una invenzione di darsi bel tempo con riti ridicolosi, ma sostenuti con gran gravità; nè altra maggior deformità vi comparve se non quella del giuramento del segreto preso sul Vangelo, per occultare siffatte inezie»6.

E molti in fatto non ci vedevano che un legame di benevolenza universale, una scuola di pensare spregiudicato; al più un’arte degli astuti per acquistare influenza, distinzioni, denari, in funzioni per le quali nessuno studio occorre. E poichè alle scomuniche attaccavasi ancora qualche importanza, quando morì il papa dissero che la condanna da lui proferita cessava con lui, non avendola il successore confermata. Benedetto XIV stimò dunque bene ripeterla, lodandola in tutto, ed esortando i principi a ricordarsi che furono eletti da Dio a difensori della fede e protettori della Chiesa. Cercavano i mezzi di conoscer tutti i segreti de’ gabinetti, de’ negozianti, delle curie, e comunicarli con gran rapidità, per via di esploratori e di viaggiatori. Conveniva dunque ricorrere a qualunque mezzo, onde Weishaupt non esitò a valersi di Cagliostro, che aveva levato in Europa un rumore, che somigliava alla gloria. Costui fu iniziato in un sotterraneo presso Francoforte, dove seppe di quanti mezzi poteva profittare la setta, e come scopo suo fosse distrugger la monarchia, cominciando dalla Francia per poi passare a Roma. Avutone del buon denaro per andar a costituire nuove loggie, cessa d’essere un ciurmadore volgare, per darsi grand’aria; vuol mistero e ammirazione, e al pari della moglie aspira a successi straordinarj. Non contento della solita società massonica, istituì una riforma di essa, detta degli Egiziani, ammettendovi solo chi fosse già appartenuto ad altre loggie; e sotto emblemi e simboli e con lunghi digiuni e diete esaltanti vi s’insegnava che tutte le religioni sono buone egualmente purchè riconoscano Dio e l’immortalità dell’anima; egli intitolavasi Gran Cofto; ai fratelli assegnava i nomi dei profeti, alle sorelle quei delle sibille, e prometteva condurli alla perfezione mediante il rigeneramento fisico e morale; cioè trovando la pietra filosofica e ’elisir dell’immortalità, e procacciando un pentagono con cifre scritte dagli angeli, per la cui interpretazione si arrivava alla originale innocenza.

A Mittau poche ore gli erano bastate per cattivarsi illustri personaggi, i conti Howen e Medem, il maggiore Vonkorf. A Strasburgo, dove aveva ottenuto onori il milanese Borro che tanto a lui somiglia7, lungamente indugiossi nel 1780, accolto da chi con ammirazione, da chi con sbigottimento, da chi con devozione; poichè, fra tanti altri programmi, dicea venire a convertire gl’increduli e rialzare il cattolicismo, e che a tal fine Iddio gli avea conferito il dono de’ miracoli e la visione beatifica, e realmente fece moltissime guarigioni, e n’ebbe benedizioni infinite. Servivasi per intermedio di fanciulli e bambine, colombe sue, che comunicavano cogli spiriti per mezzo d’una tazza: e per tre anni vi fu festeggiato, riverito, benedetto. Raccomandato dai signori di Segur, di Miromesnil, di Vergennes, visitò Bordeaux e Lione, finchè si credette famoso quanto bastasse per affrontare la pubblicità della gran Babilonia, e profittarvi della credulità de’ celebri increduli.

Preconizzato da affissi apocaliptici e dai giornali, arrivò a Parigi, prese sontuoso appartamento in via Saint-Claude, dove la sala decorata con lusso orientale, aveva il busto d’Ippocrate, e in un quadro nero a lettere d’oro leggevasi la preghiera universale: — Padre dell’universo, tu che tutti i popoli adorano col nome di Jeova, di Giove, di Signore, suprema e prima causa che nascondi a’ miei occhi la tua adorabile essenza, e non mi fai conoscere che la mia ignoranza e la tua bontà, dammi, in questo accecamento, di discernere il bene dal male, e di lasciare alla libertà umana i suoi diritti senza ledere i tuoi santi decreti. Insegnami a temere, più che l’inferno, ciò che la coscienza mia mi vieta, e preferir al paradiso ciò ch’ella m’impone».

Era dunque un pretto deismo, come in tutte le sètte mistiche del secolo XVIII uscente. Ma vi mescolò impostura, artifizj da necromante; per giustificar le ricchezze fingeva alla fin d’ogni mese ritirarsi per due giorni, e all’uscirne mandava vendere verghe d’oro, % che alla pietra di paragone erano più fine che quello dei luigi; introdusse una quarantena di rigenerazione fisica e morale: spacciò predizioni. Pertanto nella sua sala presto affluì quanto v’avea di ricco, di bello, di dotto, di potente: e per un pezzo non parlò che di lui la gran città, dove ogni novità o stravaganza è certa d’avere un momento d’entusiasmo.

Era il tempo che, cadute le dottrine sane e pure, in Germania e in Francia grandeggiava la superstizione, per quell’aspirare alle realtà ideali, così proprio alla natura dell’uomo, che, piuttosto di rinunziare alla speranza, ultima dea, buttasi nella tenebra delle scienze occulte. Nacquero dunque nuovi taumaturghi: e presa in beffa la metafisica, e compressi gli slanci legittimi, non appagandosi d’una filosofia senza ideale, si prestò fede a ciarlatani, o si ricorse al meraviglioso per sottrarsi alle austere lezioni della verità. Alcuni di essi erano mistici, come Swedenburg, Lavater, Saint Martin; altri rivoluzionarj, come Weishaupt, Knigge, Bode; altri giocolieri e furbi, come Giangiorgio Schröpfer, garzone d’osteria, che arrivò ad affascinare ministri, diplomatici, principi con operazioni taumaturgiche, finchè scoperto di vere truffe, s’uccise. La gran città de’ filosofi fu piena di diavoli, vampiri, silfi, come il XVIII, che s’intitola forte pensatore; pochi secoli furono così goffamente creduli, convulsionarj, magnetici, cabalastici, Rosacroce, Massoni, evocatori, elisir di lunga vita8. Il marchese di San Germano, di tenace e vasta memoria, trattava i grandi, i dotti, la società colla massima confidenza, e spacciava bizzarri racconti, asserendosi testimonio oculare di eventi lontanissimi, aver conosciuto David, assistito alle nozze di Gana, cacciato con Carlo Magno, trincato con Lutero; e i Parigini gli credeano9.

Insomma negavansi i miracoli, ma s’accettavano le evocazioni di spiriti di Gassner, gli scongiuri di Cazotte, le potenze invisibili di Lavater: Giacomo Böhme e Martinez aveano discepoli non solo nelle reggie ma negli episcopj. Principalmente Mesmer agli animi annojati della fredda ragione e bisognosi di sensazioni variate avea preparato pascolo di fantasia e preoccupazione delle cose del mondo soprasensibile col magnetismo animale, colla bacchetta, colla vasca. Il secolo nostro non ha più ragione di riderne, come non arrivò a spiegarlo, giacchè l’ipotesi del fluido elettrico nè del fluido animale non corrispondono agli effetti, e a quest’azione della volontà sopra lo spirito altrui10.

Cagliostro accingeasi all’esperienze stesse, e ne fece sperienza in Russia, in Polonia, in Germania; che se non riuscissero ne dava colpa alla mancanza di fede, o ai peccati de’ soggetti. Egli non adoperava nè vasca nè bacchetta nè manipolazioni, bensì il solo tocco: e non voleva guadagno dalle guarigioni, anzi sollecitava i poveri a venire cercargliene, ed esibiva cinquantamila scudi per fondare un ospedale egiziano. Neppure esponeva la sua scienza all’esame degli accademici come Mesmer, ma imponeva coll’audacia, colla bella presenza, colla bizzarra magnificenza del vestire, colla pompa abbagliante. Nelle vetrine non solo, ma sui ventagli, negli anelli, in medaglioni ripeteasi la sua effigie, come ora quella di Garibaldi, e incisioni e busti e bronzi ornarono i palazzi coll’iscrizione Divo Cagliostro: gran personaggi facevangli visita; in Curlandia esibirongli i trono: Bordes nelle Lettere sulla Svizzera non rifina d’ammirarlo: «Il suo aspetto rivela il genio: i suoi occhi di fuoco leggono in fondo alle anime. Sa quasi tutte le lingue d’Europa e d’Asia; la sua eloquenza stordisce; strascina anche in quelle che meno conosce». Eppur sappiamo che ebbe guardatura torva e spaventata, corpo deforme, carattere collerico, superbo, prepotente; senza civiltà di modi nè grazia o correzione di favella.

«Iniziato nell’arte cabalistica (dice un altro contemporaneo), in quella parte che fa comunicare coi popoli elementari, coi morti e gli assenti, è Rosacroce; possiede tutte le scienze umane; è esperto a trasmutare i metalli, e principalmente in oro: è un silfo benefico, che medica i poveri gratuitamente, vende per poco l’immortalità ai ricchi; con corse vagabonde racchiude immensi spazj nel giro di poche ore»11.

E di fatto ci appare or ventriloquo, or alchimista come gli antichi, or elettricista come i magnetizzatori del suo tempo, or come quelli del nostro; muove le tavole, comunica coi medium, produce il sonnambolismo e l’ipnotismo; valeasi pure della necromanzia, tanto che Figuier lo considera come «una prodigiosa personificazione della taumaturgia moderna, nel quale splendeva congiunta la magia orientale colla occidentale»12. Certo egli interveniva a convegni nella via della Sourdrière, ove Martinisti e Swedenburgiani evocavano morti: tanto, allora come oggi, il sincretismo irreligioso accumula tutte le superstizioni onde combattere la fede. E quando, per conciliare allo stesso fine le varie sètte dei Rosacroce, dei Necromaati, dei Cabalisti, degli Illuminati, degli Umanitari si raccolse il gran congresso a Wilhelmsbade, poi nelle loggie degli Amici riuniti, col Saint Martin, col Mesmer, col Saint Germain vi figurava Cagliostro13.

In Prussia principalmente avea preso piede la setta dei teosofi e visionari; e dopochè Federico II, per adulare i filosofi suoi adulatori, aveva messo di moda il filosofismo, cioè la negazione delle avite credenze, prevalsero tutte le superstizioni di tavole semoventi, di magnetismo animale, di evocazione di spiriti; dottrine comode, ove ad un vago sentimento religioso poteasi congiungere costumi liberi, e perciò ben adattata ad anime deboli. Federico Guglielmo, futuro re, avevale adottate; sazio e logoro di voluttà, ne chiedea di nuove alle visioni e alla magia: e anche dopo coronato, compiva le cene di Postdam coll’evocare i morti, e discorrerla cogli spiriti de’ grandi uomini.

Simili ciarlatanerie ci ispirerebbero compassione, se altro sentimento non eccitasse il vederle riprodotte con pochi cambiamenti dalla nostra età, che alla precedente disputa il titolo d’illuminata.

Anche la moglie di Cagliostro esercitavasi attorno al vassojo mesmeriano, e propose dare un corso di magia naturale se trovasse tre dozzine di discepole, che contribuissero cento luigi ciascuna: e prima di sera le ebbe; tutte gran dame, e doveano giurare fede e secreto.

Inconcepibile mescolanza di dignità e furberia, di dottrina e d’ignoranza, avido e generoso, d’un’eloquenza rozza ma capziosa, intrigante eppur capace di entusiasmo; lo chiamavano padre adorato, maestro augusto, divino Cagliostro. Crebbe di fama per avere guarito il duca di Soubise: e più per aver tenuto mano nella tanto famosa baratteria della collana. Per chi non la ricordasse basti accennare come al cardinale di Rohan, invaghito della regina Maria Antonietta, fu fatto credere che essa gli accondiscenderebbe se le donasse una ricca collana di diamanti, che Luigi XVI avea ricusato comprarle. Una finta lettera e un notturno convegno con una La Motte, donna intrigante che le somigliava alquanto, ingannarono il prelato; la collana fu compra, ma sparve nelle mani di truffatori. Erettosi processo contro costoro, si sospettò complice Cagliostro, accusato per vendetta dalla La Motte. Egli dalla Bastiglia pubblicò la sua difesa, dove fra artifizj volgari, incontrasi una certa grandezza. Raccontava la sua storia con particolarità romanzesche, atte ad eccitare l’immaginazione; e conchiudeva:

«Ho scritto quanto basta alla legge, quanto basta a ogn’altro sentimento che quel d’una vana curiosità. Insisterete per conoscer più particolarmente la patria, il nome, i moventi, i mezzi d’uno sconosciuto? Che v’importa, o Francesi? Per voi, mia patria è il primo luogo del vostro impero dove io mi son sottomesso alle vostre leggi: il mio nome è quel che ho fatto onorare fra voi; il mio movente è Dio: miei mezzi il mio secreto».

Egli riuscì a camparsi: e poichè quella società corrotta e gaudente applaudiva allo scandalo, l’accolse in trionfo quando uscì di prigione, per fare izza alla Corte.

Ebbe però lo sfratto; ma ecco la popolazione attrupparsi alla sua casa a Passy, disposta fino ad un’insurrezione per difenderlo e trattenerlo: personaggi di Corte fecero alternata guardia alla sua porta sinchè partì: alla nave a Boulogne più di cinquemila persone l’accompagnarono, alle quali diede, come soleva, la sua benedizione.

Passato a Londra, gridò a voce e a stampa contro i soprusi usatigli alla Bastiglia, e le preziosità involategli: pubblicò un libello violento contro il re e il governo francese, esortando a scuoterne il giogo, e a valersi per ciò della massoneria (20 giugno 1786); stampò anche una memoria, stesa da un abilissimo avvocato, ove ripulsa l’asserzione della La Motte, rivela alcun che delle sue avventure, invoca la testimonianza di personaggi illustri che dice aver praticati, e de’ banchieri che gli somministrarono denari, non indicando però donde li traesse. Vi era anteposta la sua vita, preceduta da magnifico ritratto coll’epigrafe: «Ecco le fattezze dell’amico degli uomini. Tutti i suoi giorni son segnati da nuovi benefizj. Egli prolunga la vita, soccorre l’indigenza; unica ricompensa sua è l’esser utile».

Ma se vi era accolto in trionfo dalla ciurma, la buona società ne fu presto stomacata, viepiù dacchè Morand, redattore della Gazzetta d’Europa, tolse implacabilmente a smascherarlo e deriderlo, tanto che dovette andarsene. Neppure in Isvizzera fece fortuna; la tentò a Torino, ma il re gli intimò di partire, come fece il vescovo principe di Trento, dove fu pubblicato un Liber Memorialis de Caleostro dum esset Roboreti, in cui con frasi scritturali dementino Vannetti raccontava le costui ciurmerie. A Venezia ingannò un mercante promettendogli cambiare la canapa in seta e il mercurio in oro.

Respinto ormai d’ogni parte, lusingossi trovare altri gonzi a Roma, spintovi anche dalla moglie, desiderosa di rimpatriare e cambiar vita. Egli stesso si fìnse convertito, ma ivi trovò pochissima adesione, neppure fra quelli che già erano ascritti alla massoneria ordinaria; e per quanto moltiplicasse segni, toccamenti, parole, gerghi e brandire la spada, e battere tre volte la terra col piede, e applicare le dita al fronte, e alitare in faccia. Egli, che aveva sì bene illuso la giustizia di Parigi, qui, sebbene prevenuto, lasciossi cogliere dal Sant’Uffizio il 27 dicembre 1789 con tutte le carte e i simboli e i libri: e avendo giudici e carcerieri incorruttibili, si trovò isolato dall’immensa sua dipendenza: sicchè non credette’ restargli altro partito che rivelare ogni cosa, mescolandovi certamente vanterie, degne di Benvenuto Cellini o di Pietro Aretino, e fingendo circostanze, che ad un tribunale ecclesiastico attenuassero le sue colpe.

Nel lungo processo confessò dunque che molte v’ha sètte massoniche, ma le più frequenti sono quella della pretta osservanza a cui appartengono gl’Illuminati, e quella dell’alta osservanza: la prima col titolo di vendicare il granmaestro de’ Templari, mira alla distruzione della religione cattolica e delle monarchie: l’altra cerca la pietra filosofale e. gli arcani ermetici. A quest’ultima fu egli ascritto a Londra, passando pei gradi di alunno, compagno e maestro, e n’ebbe le insegne: e sua moglie un nastro, su cui era recamato Unione, Silenzio, Virtù, e quella notte dovea tenerlo cinto alla coscia. Avuti poi certi manuscritti, su quelli confezionò il nuovo rito della massoneria egiziana, eliminandone le superstizioni e la magia, dirigendola a ottenere la perfezione mediante la rigenerazione fisica e morale. I riti e le cerimonie sono i soliti; un giocoliere aveva suggerito a Cagliostro i sacri nomi di Helion, Melion, Tetragrammaton; ma il Gran Cofto, cioè il fondatore, pareggiavasi a Dio, gli si faceano adorazioni, gli si cantavano parodie del Te Deum, del Veni Creator, dei salmi, e credeasi comandasse agli angeli. Ogni religione v’è ammessa, e il grado supremo è per gli uomini quel di profeta, di sibille per le donne. Nelle massonerie ordinarie, all’iniziato si danno due paja di guanti, uno per sè, l’altro per la donna che più stima: qui vi s’univa una ciocca di capelli, che la donna dovea regalare all’uomo che predilige. Oltre la festa del Battista, comune a tutti, questo rito avea quella di san Giovanni evangelista, per la somiglianza che l’Apocalissi ha coi lavori d’esso rito. Fra questi citeremo come, nell’ammettere una alunna, la maestra le soffia dalla fronte ai mento, proferendo: — Questo soffio farà germogliare nel vostro cuore le verità che noi possediamo: e fortificare in voi la parte spirituale, e confermare nella fede dei vostri fratelli. D’ora in poi voi siete per sempre femmina massona e libera».

Quando uno è elevato a maestro, prendesi una fanciulla, a cui dal Venerabile è comunicato il potere che avrebbe avuto prima del peccato originale, e particolarmente quello di comandare ai puri spiriti. Pregasi Dio che permetta l’esercizio del potere che ha concesso al Gran Cofto, e alla pupilla o colomba di servire di medio fra lui e gli spiriti. Vestita di bianco con fascia turchina e rossa, vien chiusa in un tabernacolo, in cui stanno uno sgabello e una tavola con tre candele accese. Allora il Venerabile evoca gli spiriti a comparire alla pupilla, dalla quale fa domandare a un di essi se il candidato sia degno. Più complicata è l’iniziazione delle maestre, con serti e vesti benedette dagli spiriti e da Mosè.

Per ottenere la perfezione morale e la fisica si prescrive un ritiro di quaranta giorni, e una cura corporea. Il primo si fa sopra un monte che s’intitola Sinai, con un padiglione a tre piani, e camere ritualmente formate e con nomi biblici, e sono prescritti indeclinabilmente i lavori di ciascun’ora. I primi sei giorni si occupano al riposo e alla riflessione; poi tre alla preghiera e all’offrire sè stesso all’Eterno; nove alle sacre operazioni del preparare carta vergine e consacrare altri istromenti: gli ultimi alla conversazione e a restaurare le forze. Dopo il trentesimoterzo giorno, i rinchiusi cominciano a comunicare cogli angeli primitivi, e ne conoscono gli emblemi e la cifra, che da quelli vengono impressi su carta vergine. Compiti i quaranta giorni, ognuno ne gode il frutto col ricevere per sè il pentagono, cioè quella carta impressa, per cui il suo spirito è riempito di fuoco divino, il suo corpo diviene puro quanto quel d’un fanciullo, smisurata l’intelligenza eia potenza; nè ad altro aspirerà che al perfetto riposo per giungere all’immortalità e a dire Sum qui sum. Di sette altri pentagoni, ove è impresso il sigillo di un solo spirito, possono disporre a favore di chi vogliono; e chi li possiede comanda a un angelo solo, e in nome del maestro.

La perfezione fisica, per cui uno può o prolungare la sanità finchè a Dio piaccia trarlo a sè, o giungere alla spiritualità di cinquemila cinquecencinquantacinque anni, s’ottiene ritirandosi ogni cinquanta anni nel plenilunio di maggio, in campagna con un amico, e per quaranta giorni serbare dieta rigorosa, cacciar sangue, prendere certe goccie bianche, e infine il grano di materia prima, che è quella che Dio creò per rendere immortale l’uomo, e di cui questi perdette la cognizione per lo peccato, nè può recuperarla che per grazia speciale e pe’ lavori massonici. Resta allora in sopore e convulsione per tre ore, dopo di che viene ristorato con buon manzo; nei dì seguenti altri grani gli producono febbre e delirio, perdita della pelle, de’ capelli, dei denti: poi mediante nuovi cibi, tutto rinasce e rigermoglia, e buoni bagni e balsami lo rendono ringiovanito alla società.

La visione beatificante la spiegava per un’assistenza spirituale angelica, che Dio concede a chi gli piace, o facendosegli visibile come ai patriarchi; o coll’apparizione di angeli, o con impulsi interni. Tale grazia si ottiene stando sempre unito a Dio, alla Chiesa alla fede cattolica, e avendo la ’carità e la fede. Con queste premesse, basta domandarla a Dio con fervore; e se non oggi, vien giorno che la concede. Fu con tali operazioni che egli ottenne il maggior numero de’ suoi adepti.

Cagliostro andò propagando queste pratiche, nell’intento (dic’egli) di provare l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima, e distruggere quanto hanno di superstizioso gli altri sistemi massonici. Dall’Olanda passò a Venezia, poi a Pietroburgo, traversando le varie città di Germania, accolto dapertutto dai Franchimuratori, e dapertutto predicando, profetizzando, guarendo, procurando visioni or di vivi or di morti, e istituendo loggie. A Francoforte sul Meno gli fu ’ mostrato il codice gelosamente custodito, contenente i nomi di tutti i capi e il giuramento di distruggere il presente ordine sociale, prima in Francia, poi in Italia e particolarmente a Roma; e seppe esservi ventimila loggie: e che centottantamila massoni pagavano ogni anno cinque luigi l’uno; col qual denaro manteneansi i capi e gli emissarj, e soddisfaceasi ai bisogni e agli intenti della società.

A Lione istituì la loggia primaria, col titolo di Sapienza Trionfante, consacrandola con riti simili agli ecclesiastici e v’ammise anche personaggi d’alto stato, che stordì coi portentosi apparimenti e colle visioni del pupillo14.

La cerimonia della consacrazione eragli descritta da’ fratelli in lettera che fu unita al suo processo. «Mai non vide Europa cerimonia più augusta e più santa.... I nostri compagni hanno mostrato un fervore, una pietà nobile e sostenuta, che formò l’edificazione de’ due fratelli che aveano avuto la gloria di rappresentarvi.... Nel momento in cui domandammo all’Eterno ci facesse conoscere che i nostri voti gli erano accetti, e mentre il nostro maestro era in mezzo dell’aria, è comparso senz’esser evocato il primo filosofo del Nuovo Testamento, e ci ha benedetti dopo essersi prosternato avanti alla nuvola azzurra, della quale abbiam ottenuto l’apparizione; e sopra quella si è elevato. I due gran profeti e il legislatore di Israele ci han dato segni sensibili di loro bontà, e dell’obbedienza ai vostri ordini».

Chi assistette a sedute magnetiche o spiritiche non trova niente di strano in questa operazione «tenuta nella L=L sabato dodicesimo giorno del secondo mese dell’anno tremila cinquecencinquantotto, diretto dalla venerabile Saba II».

Dopo le dimande consuete, i sette angeli con le loro cifre stanno davanti al pupillo:

D. Di’ loro che un amico del maestro N. essendo passato di qui, e dovendo rivenire domani, ha attestato al nostro compagno venerabile Alessandro II, il desiderio di vedere le nostre operazioni di loggia: che abbiamo ricevuto a quell’oggetto gli ordini del nostro maestro, li quali non essendo abbastanza chiari, noi gli domandiamo se esso possa chiarirceli, e se a quest’effetto dobbiamo pregare il G. C. (Gran Cofto) istesso di favorirci della sua presenza.

R. Io vedo venire la nube del G. C.; egli ne scende: viene accanto a me, io gli ho baciato la mano; ho ancora la sua cifra sul petto.

D. Che la maestra scenda dal trono e lo saluti in suo nome, e di tutta la L=L, ringraziandolo della grazia che si compiace farci.

R. Saluta ancora colla sua spada, fa un circolo nell’aria, pronuncia la parola Eloim, e mette la punta della sua spada in terra.

D. Digli rispettosamente che il suo amico, ecc. Lo preghiamo volerci prescrivere quello abbiamo da fare.

R. Potete farlo entrare nella L=L, tenergli un discorso, poi far lavorare Alessandro. Ecco tutto...

D. Se dobbiamo farlo operare nella caraffa o entrare nel tabernacolo....

R. Meglio farlo operare come sin ora; altrimenti potrebbe andar male....

D. Tutta la L=L desidera che tutto sia riuscito a sua intera soddisfazione.

R. Saluta con la spada....

D. Se vi sono ancora ordini o consigli da darci...

R. No.

D. Andiamo pregarlo di darci la sua benedizione.

R. Stende la mano e la dà di tutto cuore.

D. Ringraziatelo. E voi fratelli e sorelle ricevetela. Gli angeli sono ancora con te?

R. Sì.

D. Mettiti a ginocchio, e di’ loro di far l’adorazione con noi, e accomanda loro la L=L.

Una volta però, invece di angeli, apparvero scimmie; un’altra fu veduto egli nelle nuvole fra Enoch ed Elia. Sperò fino, coll’ajuto della Corte, far approvare questo rito dal pontefice, come già l’Ordine teutonico; ai soliti voti aggiungendo quello di convertire i Protestanti senza violenza.

Quanto ai principi, or suggeriva la subordinazione, or la rivolta, secondo il genio degli uditori; del pontefice e della gerarchia ecclesiastica sempre diceva il peggio; molti testimoni, e principalmente la moglie, confermarono o smentirono le sue asserzioni, e che non riuscì mai se non a convertire i cattolici in miscredenti, gli atei in deisti con quelle ridicole sue prediche sui dogmi, in un gergo fra siciliano e francese, senz’ordine nè scienza. Gl’inquisitori vollero averne qualche saggio, onde escussolo sopra una temeraria allocuzione di lui sulla redenzione, scrissero fedelmente la sua difesa che diceva: — Rispondo che tutto è falso, perchè, nel mio sistema primitivo, in tutte le mie operazioni fo gran caso del serpe col pomo in bocca, che è la mia cifra, che denota la causa del peccato originale e di tutte le nostre disgrazie per cotesto: e che la redenzione di nostro signor Gesù Cristo è stata quella che l’ha trafitto, come noi dobbiamo sempre avere avanti agli occhi e nel cuore costui, come gli occhi ed il cuore sono lo specchio dell’anima; e che tutt’uomo deve essere sempre in guardia contro tutte le tentazioni diaboliche, ed in conseguenza credo tutto questo e la redenzione di nostro signor Gesù Cristo; ed avendo sempre fatto osservare questa, non è possibile che io abbia parlato come sopra, perchè sarei andato a disdire tutto quello che ho detto dapertutto».

Interrogato sul catechismo, se ne palesò affatto ignaro. Chiesto se l’uomo abbia potenza sugli spiriti celesti, rispose: — Io credo che, colla permissione di Dio, l’uomo può comandarli, perchè Dio benedetto, avanti la sua morte, ha lasciata a noi la visione beatificante e divina15, e perchè l’uomo è stato creato a similitudine di Dio, e gli angeli non sono stati creati come l’uomo, ma divinamente».

Eppure molti andavano inebbriati de’ suoi discorsi: li conservavano a mente, li ripetevano: lo considerarono come qualcosa più che umana; nelle lettere era chiamato coi titoli che si profondono oggi ad altri ciarlatani; baciargli la mano, prostrarsegli chiedendo la benedizione. Mio maestro; dopo l’Eterno, mio tutto. — Mi getto ai vostri piedi consegnandovi il mio cuore. — Qualunque possano essere li vostri ordini sovrani, o mio maestro, gli adempirò collo zelo che dovete aspettarvi da un suddito che vi ha giurato l’obbedienza più cieca. — Nessuna cosa uguaglia i vostri benefizj, se non la felicità che ci procurano, son frasi delle lettere trovategli, ed egli sapeva colla condiscendenza o col rigore coltivare quell’entusiasmo, asserendo gli atti suoi esser effetto d’ispirazione superna. Lasciamo via i suoi miracoli e le profezie; le rivelazioni delle pupille talvolta erano artificiosamente preparate; d’altre neppure la moglie dava alcuna ragione se non l’arte diabolica; e l’inesorabile gazzettiere Morand, non volle vedervi che maestria da giocoliere. Cagliostro protestava non aver mai operato coi diavoli, ma «non ne ho, mai capito nè capisco il costrutto». E davvero que’ dialoghi delle pupille ci pareano da pazzi quando le leggevamo in nostra gioventù, lontanissimi dal supporre che, come tant’altri errori e scelleraggini e ridicolezze, che credevamo cadute per sempre, dovessero rinascere a mortificazione della nostra vanità.

Roma che aveva svelato le imposture del Gabrielli e dell’Oliva, di Cardano e di Gabrino, di Pietro d’Abano e del Borri, dissipò le costui. Stretto da argomenti, rispondeva di non capire più sè stesso; non sapere più cosa dire: «Compiango il mio stato infelice: domando solo soccorso per l’anima» e chiedeva di ritrattarsi «in faccia a un milione di suoi seguaci». Poi ricadeva negli errori, e ad inveire contro gli esaminatori, contro la Corte di Francia che, dopo il processo della collana, per rovinarlo avea corrotto fin sua moglie.

Finita l’inquisizione, accettò per suo difensore il conte Bernardini avvocato de’ rei al Sant’Uffizio, al quale volle aggiungersi monsignor Costantini avvocato de’ poveri. Udito a che punto si trovasse, chiese ajuti e istruzioni spirituali, e mostrossi ravveduto e pentito. Atteso ciò, gli si risparmiò d’essere consegnato al braccio secolare, che volea dire alla morte; e fu condannato a carcere perpetuo in fortezza: fatta abjura delle sue eresie, venga assolto dalle censure; resti solennemente riprovato il suo manuscritto Maçonnerie Egyptienne, e bruciato pubblicamente cogli arnesi della setta: si proibirà di nuovo la società de’ Liberi Muratori, con particolare menzione del rito egiziano e di quella degli Illuminati, comminandovi le più gravi pene temporali (7 aprile 1791).

Chiuso nel forte di San Leo, posto in cima d’un monte isolato, entro una camera scarpellata nel sasso, dove si scende per una scala a piuoli, e illuminata solo poche ore da un pertugio, non potè più fare miracoli; chiese di confessarsi, e tentò strozzare il cappuccino per ciò mandatogli, sperando uscire colla tonaca di questo: onde custodito a maggior rigore, più non se ne intese parlare. I Giacobini lo contarono fra i martiri dell’Inquisizione, e m’aspetto che da oggi a domani venga santificato tra le vittime della tirannide romana.


Vedansi Confessions du corate de Cagliostro, avec l’histoire de ses voyages. Parigi, 1748.

Mémoires authentiques pour servir à l’histoire du comte a Cagliostro. Strasburgo, 1786.

Compendio della vita e delle gesta di G. Balsamo denominato il conte Cagliostro, che si è estratto dal processo contro di lui formato in Roma l’anno 1790, e che può servire di scorta per conoscere l’indole della setta de’ Liberi Muratori. Roma, 1791.

N’è quasi traduzione la Vie de J. Balsamo, extraite de la procédure instruite contre lui à Rome. Parigi, 1791.

Saint-Felix, Aventures de Cagliostro. Parigi, 1856.

Figuier, Histoire du merveilleux, tomo V. Parigi, 1860.

L’abate Fiard nella Francia ingannata dai maghi e dai demonolatri fa del Cagliostro un vero spirito infernale, come Mesmer, Comus, Pinotti.

Il famoso Mirabeau ha una Lettre sur mm. Cagliostro et Lavater, ove tratta entrambi da ciarlatani; mostra i pericoli a cui si espone la società coll’esaltare le immaginazioni: e poichè si ciancia di tolleranza, conchiude: «Tollerate Cagliostro, tollerate Lavater, ma tollerate pure quelli che li denunziano come insensati perchè ripugna il dichiararli birbi».

Schiller foggiò sopra Cagliostro il suo Visionario, ove dipinse gli Illuminati, i mistici, i ciarlatani d’ogni specie. Göthe in Sicilia cercò tutte le particolarità attorno al Cagliostro, volle conoscer la madre e i parenti di lui, e secondo quelle informazioni e impressioni scrisse il Gran Copto.

  1. In un famoso discorso recitato a Brema alla loggia del Ramo d’olivo nel 1849, Draeske ebbe a dire: — V’è qualche massone che non giungerà mai a conoscere il nostro segreto, nemmen per mezzo delle logge, e qualunque siane il grado. Egli resta un profano, fosse anche assiso all’oriente del tempio, foss’anche decorato delle insegne di granmaestro.
    Il Barruel, che nella Storia del Giacobinismo rivelò prima e meglio di tutti l’efficienza politica di questa società, si fa premura di scusar ogni tratto la buona fede di coloro che non vi vedeano se non un’associazione di beneficenza e di cortesia. Uno dei loro li qualificò «i babbei dell’ordine». Mirabeau, che vide in Germania il gran movimento delle società segrete, nel 1788 scriveva: — Vedete in Germania tanti principi, ebri della speranza e dell’aspettazione de’ mezzi soprannaturali di potenza, evocare gli spiriti, esplorare l’avvenire, tentar di scoprire la medicina universale e di fare la grand’opera e i suoi secreti, e per ispegnere la sele insaziabile di dominazione e di tesori, strisciare alla voce dei loro taumaturgi, diretti a uno scettro sconosciuto. Vedete i ministri protestanti, dimenticando i motivi che li separano dal cattolicismo, loro antagonista eterno, lodare, predicare, difondere libri di religione, imbevuti di tutta la misticità del XVI secolo; essi medesimi pubblicare scritti per proclamare i riti del cattolicismo, ricevere gli Ordini sacri, pur restando ministri protestanti, o almeno esserne accusati pubblicamente senza potersene difendere ricisamente e senza ambagi: vedete tutto ciò, e tremate sui pericoli delle associazioni secrete.... Forse, finchè le associazioni secrete dureranno con un’importanza pari a quella che hanno oggidì, le buone teste e i cuori generosi devono entrarvi, anzi cercare d’esercitarvi una parte attiva. È il mezzo più sicuro di sventarne le sotterranee macchinazioni, di mandarne a vuoto gl’infami complotti, e anche di distruggerle. — Io non saprei operare là dove non sono «disse un uom virtuoso, profondamente versato in questa materia» . De la Monarchie Prussienne, V, 86.
  2. Discorsi sopra i misteri.
  3. Vedi Bonneville, Les Jésuites chassés de la maçonnerie, et leur poignard brisé par les maçon. Londra, 1788.
    Un Essai sur la secte des Illuminés, 1789, senza data nè nome d’autore, avvenissimo alle sètte ma non meno ai Gesuiti, dice che «le même fanatisme qui les conservait (i Gesuiti) a ressuscité depuis trente ans l’ordre de francs maçons languissant et gardant sans peine un secret que personne ne s’empressait de savoir». Ha un capitolo intero «Du jésuitisme comme source première du système théosophique». Egli stesso trova strano il ravvicinamento fra’ Gesuiti che han per base lo studio, e gli Illuminati che fan professione d’ignoranza: quelli si estendono da un polo all’altro, questi s’appiattano: quelli difendono la fede, questi la combattano: quelli non faceano voti indissolubili che a trentatrè anni, s’educavano attentissimamente, aveano costumi severissimi, poche pratiche religiose, non cercavano dignità, non voleano abbattere i troni, ma divenirne i gerofanti, annunciavano la gloria de’ loro protettori: mentre i Massoni sono il preciso contrario. Ma da’ Gesuiti appresero l’obbedienza cieca a un capo, la perfetta eguaglianza di tutti sotto di lui, lo spirito di corpo, il soccorrersi a vicenda. Dice che «l’Italie s’est sauvée de pareille illusion», cioè dalle sètte arcane, e solo «Naples conserve encore quelques adeptes, nés du sang des martyrs; on n’aperçoit leur influence ni sur l’administration, ni sur les sciences». È curioso come Napoli fosse considerato per la terra maledetta dagli Illuminati, perocchè nella loro iniziazione diceasi: — Voi siete prosciolto da ogni giuramento fatto alla patria e alle leggi.... Onorate l’acqua toffana come mezzo sicuro, pronto, necessario di purgare il mondo.... Fuggite la Spagna e Napoli, fuggite ogni terra maledetta».
    L’autore, per combattere gli Illuminali, propone di meglio sostenere la massoneria. Saint-René Taillandier nella Revue des Deux mondes del febbrajo 1866, crede ancora all’ingerenza de’ Gesuiti nella massoneria.
  4. Fra i molti casi, non è guari si raccontò che un certo Morgan negli Stati Uniti volle premunire i suoi concittadini col rivelare gl’intenti della Massoneria. Il tribunale secreto lo condannò alla morte, e due maestri secreti lo condussero fuor degli Stati Uniti, e più non se ne seppe. Dissero fosse stato gittato nella cascata del Niagara.
  5. Nell’Archivio generale di Milano esiste parte del processo che Gabriele Verri, avvocato fiscale, avea fatto al conte Alari e ad altri per framassoneria.
  6. Le loggie italiane dipendettero dal Grand’Oriente di Parigi, fin quando nel 1833 sè ne istituì una indipendente a Torino, L’Ausonia, di cui furono capi il Dal Pino, poi Camillo Cavour. Alla costui morte si istituì un vero Grand’Oriente autonomo, che sedette a Torino fino al 1864, poi a Firenze sin al 1871 quando fu trasferito a Roma. I granmaestri furono Córdova, Garibaldi, Frapolli, Giuseppe Mazzini.
  7. Giuseppe Francesco Borro nato a Milano il 1625 da un medico e senatore, allevato da’ Gesuiti a Roma, s’insinuò nella Corte papale come chimico e medico, ma accusato delle peggiori sregolatezze, rifuggì in una chiesa (1654), ed evitò il castigo col fingersi emendalo. Cominciò allora a dirsi ispirato da frequenti visioni celesti a riformare il mondo, rimettere la purezza nella fede e ne’ costumi; esser egli il pro-Cristo, cioè difensore di Cristo, che si presenterebbe in piazza del duomo di Milano, comincerebbe a predicar le gravezze del corpo e dell’anima, e fra venti anni stabilirebbe il regno dell’Altissimo, e ridurrebbe tutti in un solo ovile: chiunque ricusasse, foss’anche il papa, verrebbe sterminato per mezzo dell’esercito pontifizio, di cui egli si porrebbe a capo con una spada datagli da san Michele, e coi denari procacciategli dall’alchimia. A Roma sterminati i malvagi, nel Sancta Sanctorum si troverebbero scritture della Beata Vergine; il pontefice succedente a questo sarebbe amico suo: avrebbe triplice corona di spine in oro. E qui impastando una bizzarra religione, diceva che il Figliuolo di Dio ab æterno non fu contento della sua gloria e aspirava alla futura, onde stimolava il Padre a creare ab extra. La divinità della terza persona è ispirata: l’essenza del Verbo è generata e filiale; e questo e quello son inferiori al Padre. Maria vergine è dea, concepita per opera divina; figlia del Padre, eguale in tutto al Figlio e incarnazione dello Spirito Santo; nata da vergine, ond’è detta gratia piena; è presente anch’essa nella Santa Eucaristia; e la chiamava Vergine sacratissima Dea, e da’ suoi sacerdoti faceva aggiungere all’ave e al canone della Messa Unispirata filia altissimi.
    Iddio volle che Lucifero adorasse Gesù e la sua madre con-dea; e avendo ricusato, precipitollo nell’abisso, e con lui molti angeli, mentre quelli che v’aderirono solo col desiderio volteggiano per le regioni dell’aria; per mezzo di questi Iddio creò la materia e gli animali bruti, mentre gli uomini hanno anima divina e ispirata. La creazione non fu atto di libera volontà, ma Dio vi si trovò costretto. I figli concetti nel peccato non possono cancellarne la sozzurra, e rimangono infetti non solo dalla colpa originale, ma anche dell’attuale. Se l’uomo crede, Dio è obbligato concedergli la Grazia.
    Dicendosi autorizzato da san Paolo a criticare san Pietro, molti errori dei libri santi emendava; correggeva e interpretava il pater: nel credo insegnava che Maria uscì dal grembo della divina essenza con anima deificata. Intitolava Ragionevoli od Evangelici i suoi discepoli, dai quali esigeva voti d’unione fraterna, di segreto inviolabile, d’obbedienza a Cristo e agli angeli, di fervente apostolato e di povertà, per la quale consegnavano a lui tutto il denaro; ed egli coll’imposizione nelle mani impartiva ad essi la missione divina. Dio ha riservato a questi tempi l’unione de’ fedeli acciocchè si manifestino le prerogative della divinissima Madre di Dio, eguale in tutto al Figlio.
    Ottenuto il trionfo, la Chiesa godrebbe pace per mille anni, e i soldati vincitori sarebbero raccolti in un Ordine monastico, vestiti di pelle bianca, con un collare di ferro portante il motto «Pecora schiava dell’agnello pastore». Tutto ciò eragli ispirato dal suo angelo, e lo sosteneva con testi scritturali adulterati; copriva gl’insegnamenti di arcano e formole iniziatrici, e tentò attuare la sua Chiesa alla morte di Innocenzo X, quando nei tre mesi di vacanza anche molti fra’ cardinali ordivano d’assicurare l’indipendenza italiana, spossessando la Spagna. Ma succeduto Alessandro VII, il Borro stimò prudente ritirarsi a Milano (1655) continuando a far proseliti quivi e a Pavia. Pare strano che nè il Governo nè il Sant’Uffizio n’avessero sentore fino al marzo 1659: quando egli, sentendosi decretato d’arresto, stabilì un colpo risoluto; presentarsi sulla piazza di Milano fra’ suoi settarj, trucidare l’arcivescovo o i curiali, scarcerare i detenuti, inveire contro gli abusi del governo secolare ed ecclesiastico; gridando, Mora Cristo e Viva Calvino, eccitare alla libertà, ed occupato il Milanese e fattosene duca, di là spingere le sue conquiste. Scoperto, molti suoi settarj furono arrestati, sette dovettero in duomo far abjura solenne; indi furono rimessi a Roma, e condannati a portar «per contrassegno dei loro falli una mantelletta gialla sopra le spalle». Egli fuggì, e in contumacia il Sant’Uffizio lo processò e condannò, ordinando «omnia illius scripta hæeretica comburenda esse; omnia bona mobilia et immobilia confiscanda et applicanda, vetantes sub pœena latæ sententiæ ne quis.cum illo tentet, recipiat, juvet; et mandantes omnibus patriarchis et primatibus ut ipsum Burrum arrestent, vel arrestandum curent, teneant, certiores nos faciant ut statuamus quid ipsi faciendum; relaxantes ut non solum magistratus secularis sed quilibet qui possit et velit in favorenti fidei nostrae ipsum capiat et teneat».
    Ai 3 gennajo 1661 «l’effigie del detto Giuseppe Francesco Borro, depinto al naturale in un quadro, fu portata per Roma sopra un carro accompagnato dalli ministri della giustizia, nella piazza di Campo di Fiore, dove dal carnefice fu appiccata sulle forche, e dopo abbruciata con i suoi scritti».
    Egli era rifuggito in Isvizzera, ben accolto come vittima dell’Inquisizione, e a Strasburgo «è fama incitasse quegli eretici ad abbruciare pubblicamente la statua del pontefice, forse in vendetta d’esser egli stato abbruciato in effìgie a Roma. In Olanda acquistò gran credito come insigne chimico e medico, e cavalieri e principi di Francia e di Germania veniano per le poste a consultarlo» e conoscerlo onde arricchito sfoggiò; faceasi dare dell’eccellenza, fu dichiarato cittadino d’Amsterdam, e dicono avesse dodicimila doppie in denari e gemme quando, caduto di credito colla facilità ond’era salito, fuggì di colà lasciando pessima fama. Ad Amburgo incontrò Cristina regina di Svezia, che gli diede soccorsi per raggiungere la grand’opera, cioè la tramutazione de’ metalli inferiori in oro. Fallitogli il tentativo, fu a Copenaghen, ove re Federico III gli somministrò ancora denari e comodità per fabbricar oro, anzi gli chiedea consigli politici. Ma il succeduto Cristiano V gli diede cinquecento talleri, patto che se n’andasse subito. Difilossi allora verso la Turchia, ma in Moravia arrestato per sospetto, fu dall’imperatore consegnato al nunzio pontifizio, che lo spedì a Roma, con promessa gli sarebbe salva la vita. Al giudizio comparve ben in arnese, «con un vestito di moàro fiorato nero, con un’ongberina dell’istesso, ben fornita di guarnizione: la sua statura è alta, ben proporzionato di membra; capelli neri e ricci, viso tondo, carnagione bianca, sembiante maestoso». Fu tenuto per pazzo ed obbligalo solo a solenne abjura l’ottobre 1672, condotto a Loreto a far amenda presso la Beata Vergine, poi condannato a recitar salmi e credo, e chiuso in prigione perpetua. Quivi restava sempre oggetto di curiosità, e il duca d’Estrée ambasciadore di Francia, gravissimamente malato, ne chiese un consulto; e guarito, impetrò fosse detenuto semplicemente in Castel Sant’Angelo; anzi potesse uscir qualche volta a visitare malati, e tenere corrispondenze. Morì il 20 agosto 1695.
    Le dottrine sue sono deposte nella Chiave del gabinetto del cavaliere G. F. Borro, col favor della quale si vedono varie lettere scientifiche, chimiche e curiosissime, con varie istruzioni politiche, ed altre cose degne di curiosità, e molti segreti bellissimi (Colonia, 1681); e sono dieci lettere che fingonsi scritte a persone qualificate intorno ai segreti della grand’opera. Per la quale Olao Barch non esita a chiamarlo «phoenicem naturæ et gloriam non tantum Hesperiæ suæ sed Europæ». Ma essa fu stampata da altri durante la sua prigionia, ed è strano come, mentre vi discorre degli spiriti elementari, della pietra filosofale, di cosmetici e panacee, mostri beffarsi delle scienze occulte, e «aver sempre sospettato fossero piene di vanità»: ma si giovò della credulità universale; «e così (dice) mi trovai ben tosto un grand’uomo; aveva per compagni principi e gran cavalieri, dame bellissime e delle brutte ancora, dottori prelati, frati, monache, infine persone d’ogni serie. Alcuni inclinavano a’ diavoli, altri agli angeli; alcuni al genio, altri agli incubi; alcuni a guarire d’ogni male, altri alle stelle; alcuni ai segreti della divinità, e quasi tutti alla pietra filosofale». Certo e’ profittava dei creduli, come fanno i ciarlatani de’ nostri giorni.
    Vedi Vita del cavaliere Borri, p. 334. Forse è opera del Leti, come l’Ambasciata di Romolo ai Romani, libro rarissimo stampato a Brusselles il 1671, e mal attribuito al Borri, del quale vi va unito il processo. Questo fu riprodotto nella Amœnitates litærariæ, tom. V, pag. 149, e nella Historia d’Italia del Brusoni (Torino, 1680, da pag. 724 a 732) «perchè veramente di nessun altro eresiarca si leggono tante e sì stravaganti follie nelle materie di fede».
  8. L’autore dell’Essai sur la secte des Illuminés, dice che a Parigi «il existe une foule de petits partis antiphylosophiques, composés de femmes savantes, d’abbés théologiens, et de quelques preteridus sages. Chaque parti a sa croyance, ses prodiges, son hiérophante, ses missionaires, ses adeptes, ses détracteurs. Ainsi Paris, le centre de toutes les charlataneries comme des toutes les lumières, offre des visionnaires de tout genre: chacun tende à expliquer la Bible en faveur de son système, à fonder sa religion, à remplir son tempie, à multiplier ses cathécumenes. lei Jesus Christ joue un grand róle; là c’est le diable; ailleur c’est la nature; plus loin c’est la foi. Barbarin sonnambulise: Cagliostro guérit: Lavater console: Saint-Martin instruit.... tous emploient l’erreur pour arriver à une réputation utile».
  9. Pare fosse figlio del principe Rakosky di Transilvania, e fa molto anche in Italia, prima dicendosi marchese di Monferrato, poi conte di Bellamare a Venezia, cavaliere Schöning a Pisa, cavaliere Weldone a Milano, conte Soltikof a Genova; spesso ricordava avventure sue in Italia e in Ispagna; e fu molto protetto dall’ultimo granduca di Toscana che lo avea fatto istruire.
  10. Di questa azione della volontà sopra altri abbiamo già cenno in Marsilio Ficino, il quale dice che «l’anima, affetta da desiderj passionati, può operar non solo sul proprio corpo, ma anche s’un altro vicino, massime se questo è più debole» (De vita cœlitus comparanda, c. 20), e nel Pomponazio che scrive esservi uomini che hanno proprietà salutari e poderose, le quali si esaltano mercè la forza dell’immaginazione e del desiderio; sono spinte al di fuori per l’evaporazione, e producono effetti singolari sui corpi che le ricevono (De naturalium effectuum admirandorum causis, seu de incantationibus, pag. 44).
  11. Tableau mouvant de Paris, tom. II, pag. 307.
  12. Hist. du merveilleux, vol. IV, c. 18.
  13. Vedansi Barruel e Gyr La Franc maçonnerie en elle méme. Liegi, 1859, e Mémoires autentiques pour servir à l’histoire de Cagliostro.
  14. Pretendesi Cagliostro avesse inventato la cifra L. P. D., adottata allora dai Massoni, e significasse Lilia Pedibus Destrue, cioè la ruina dei re di Francia.
  15. «Ego claritatem quam dedisti mihi, dedi eis».


Note

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