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LXXXII.
A VITTORIO EMANUELE
Non perché da’ Sabaudi a la marina
Stendi lo scettro de l’avito impero
Su ’l Po regale e il Tanaro sonante,
Non perché a’ cenni tuoi leva ed inchina
5Il subalpino popolo guerriero
I liberi vessilli a te davante;
Ma perché figlio amante
Sei de l’antica madre in ch’io mi vanto,
Al tuo conspetto il pianto
10Di costei reco, onde su l’empie squadre
Già spronasti il cavallo a lato al padre.
Or drizza il guardo a valle; or vedi, o sire!
Dal pian cui parte l’Eridàno e irriga,
De la grande cacciata glorïoso;
15Da le lagune ove il sublime ardire
La strana signoria lenta castiga,
Onde il vecchio leon freme cruccioso;
Dal prisco suol famoso
Che sacro ha il nome piú tra Tebro ed Arno;
20E dove Liri e Sarno
A bestial tirannia nutron le prede;
Tende le braccia Italia e pietà chiede.
Pietà de la gran donna, o cavaliere,
O rege, o figlio! In forza altrui condotta
25Questa dolente il suo Cesare chiama:
Mille stannole attorno ombre severe
C’han la persona di piú punte rotta
E guardan pure in te con muta brama.
Cotal già sovra Rama
30Suonava il pianto di Rachel cattiva,
Che de’ suoi figli priva,
Poi ch’eran morti, non volea conforto,
In fin che Giuda a la vendetta è sorto.
Attendi, attendi. Un suon profondo e lento
35Rimugge da la valle e in alto spira,
E si fa tuono che a l’intorno romba:
Par d’acque molto rumoreggiamento,
Quando il bosco al vicin nembo s’adira
E vorticoso Borea giú piomba.
40Non è rumor di tomba:
È l’itala minaccia a lo straniero;
È fremito guerriero,
Che cresce col romor de le procelle,
E i regi e l’armi avvolve e i troni svelle;
45È grido atroce di calcata plebe
Che sorge contro la ragion de’ forti
E il pio sdegno e le sante ire raguna.
A te commette le paterne glebe,
A te le invendicate ossa de’ morti,
50A te i vóti e la speme e la fortuna,
E i talami e la cuna
De’ pargoletti e il maternal desío.
Deh non cresca, per dio,
Sotto i regni di barbaro soldato
55Chi d’italica donna italo è nato!
Corser due lustri che cruenta al suolo
Gittando Alberto l’itala corona
Ostia sé diede a l’ira alta de’ cieli:
Rinnovellata a la ragion del duolo
60Crebbe altra gente, e l’itala matrona
Incanutí sotto i funerei veli.
Deh! quante volte aneli
Dal cozio sasso protendean lo sguardo
Su ’l bel terren lombardo
65Gli esuli mesti, rimembrando in vano
La pia casa paterna e il dolce piano.
E presso al freddo focolar sedea
Barbaro sgherro, a i padri antichi in faccia
Esplorando il dolor l’ansia la speme:
70Vile! e a le mute lacrime irridea;
E col ferro e lo scherno e la minaccia,
Vile!, l’ira premea che inerme freme.
Or non piú, no! l’estreme
Battaglie affretta la lombarda prole:
75Scintillan sotto il sole
Gli sdegni aperti, e gran fiamma seconda
Torma servile i nostri campi inonda.
Io chieggo a te, de l’itale contrade
Cavaliere scettrato, a te, buon figlio
80Del magnanimo Alberto: Or che più cessi?
Che fanno in val di Po straniere spade?
E quei che Alberto spinsero a l’esiglio
E a morte inconsolata, or non son essi?
Tra oppressori ed oppressi
85Non pace mai, ma guerra guerra guerra!
Armi freme la terra,
Armi i vecchi le donne i figli imbelli,
Armi i templi e le case, armi gli avelli.
Ma pace a te, se nieghi a’ tuoi scettrati,
90Stirpe d’Arminio, il braccio, e te consigli
Con libertà che i popoli compose.
Noi non venimmo del bel Reno armati
A predar le riviere, e non i figli
Strappammo al sen de le tue bionde spose:
95A l’ire generose
Sorride Libertà, l’auspice dea
Che su’ Franchi spingea
La negra caccia del tuo fier Lutzove
Con suon d’inni e di spade a l’ardue prove.
100Pietà vi stringa, o popoli, del duolo
Ond’è sacra l’Italia e de la speme
Che le disperse sue genti nutrica:
Non invidiate che su ’l patrio suolo,
Suolo che ancor del nostro sangue geme,
105Raccolga i figli suoi la madre antica.
Deh, per dio, non si dica
Quest’obbrobrio di voi! de’ nostri danni
Patteggiar co’ tiranni!
Iloti nuovi, su pe’ i nostri liti,
110Volerne servi e miseri e partiti!
Attendete e guardate. Il petto è questo
D’Italia madre, il petto ove attingeste
Onda di civiltà perenne e viva:
L’han macchiato Neroni empi d’incesto,
115L’han solcato di piaghe disoneste,
E il sangue ne gittâr per ogni riva.
Egra giace e mal viva
La Cibele d’Europa: a lei d’intorno
Nel novissimo giorno
120Stanno i suoi figli, in contro a’ fati oscuri
Di feroce pietà forti e securi.
Che se nel cor de’ popoli consorti
Misericordia tace, e se ne’ petti
De’ regi stagna un vergognoso oblio;
125Pe ’l supremo desir de’ nostri morti,
Pe ’l tacito pregar de’ pargoletti,
O italiani, o fratelli, o popol mio,
Leviam! Giudichi Iddio
La causa nostra a l’universo in faccia.
130E tu, Vittorio, abbraccia
L’italica bandiera; il serto scaglia
Oltre Po, nel terren de la battaglia.
Loco è ’n Superga, ov’ha misteri orrendi
La religion di morte, ove aspettando
135Posan gli atavi re dentro gli avelli:
Ivi sali, o signor: la spada prendi
Di Carlo Alberto, e i tuoi padri evocando
Batti lo scudo de gli Emmanuelli.
A quel suon, di novelli
140Fremiti il ciel d’Italia ecco rintrona:
Come nube che tuona
E nel rovente folgore scoscende,
Lungo clamor da l’alpi al mar si stende.
Vapor di sangue orribilmente sale
145Da la fatal Novara, e l’aere invade
E fuma atro su ’l mare e vela il monte
Ecco rabbia di guerra alta immortale,
E strepitar d’incalzantisi spade,
E a le vendette correre Piemonte.
150Di rossa luce a fronte
Già balena Custoza, e già la guerra
Corre l’insubre terra;
E rompono feroci ogni dimora
Brescia e Milano a gridar mora mora.
155Ma il leon di San Marco alza la testa,
E sovra i mille orribile s’avventa
Tra ferro e fuoco ed urla alte e terrore.
Tende l’orecchio, il suon de la tempesta
Napoli attinge; e già spezzò la lenta
160Sbarra e le strambe del regal timore.
Generoso furore
Rapisce i prodi ne le usate prove:
De l’ire antiche e nove
Freme Palermo, e da la sua ruina
165Anche si drizza a battagliar Messina.
Né tu men presto la codarda soma,
Che ne la strage tua fu colorita,
Da te scuoti, o roman popolo altero.
Al folgorar de la novella Roma
170Già tra l’are s’appiatta il re levita,
E ritorna a trattar suo ministero.
Tu fra tanto il cimiero
Vesti di Marte e la visiera abbassi,
E la grand’asta squassi,
175Ricercando il nemico. E teco agogna
Tedesco sangue la viril Bologna.
E noi da gl’indignati ozi riscuote
Noi tósche genti la funerea voce
De i giovinetti in Montanara estinti:
180Quando ne le frequenti aule percuote,
Taccion le danze, e in un desio feroce
Taccion i vólti di pallor dipinti.
O campi insubri tinti
Del sangue nostro, ancor nel dì supremo
185Ancor vi rivedremo.
D’ostie ferite e trïonfali canti
A placar le fraterne ombre aspettanti.
Su dunque, suona a l’ultima riscossa,
Re sabaudo, le trombe, e giú dal monte
190Saettando la guerra urta il destriero.
Sia del tuo brando il lampo e la percossa
Lume di vita a la gran donna in fronte
E fulmine di Dio su lo straniero.
Vantator menzognero,
195De l’armi nostre e de la gran vendetta
Senta l’orrenda stretta;
E troppo Italia ancor gli sembri forte,
Quando ne’ lurchi avventerà la morte.
In van le scuri e le catene, in vano
200Fûr gli ozi e l’ombre di cocolle e stole:
Sangue latin viltà, no, non impara.
O plebi di Bologna e di Milano,
A cui per libertà morir non duole!
O Goito, o Pastrengo, o Montanara!
205O cara Brescia, o cara
Venezia! deh come tu suoni acerba
A chi le piaghe serba
Di Mestre e vide per la notte nera
Tutta affocata folgorar Marghèra.
210Itali esempi fûr nel Barberino
Venti giovani contro a Francia tutta
Rotti di venti colpi il seno invitto:
Son nostri Rossaroll, il Morosino,
Poerio, e su la mole arsa e distrutta
215Medici solo orribilmente dritto.
Questo è roman conflitto,
Pugnato sempre e rinnovato ognora,
Fin che il Cimbro dimora
Nel suol di Mario, e dal carinzio chiostro
220Alarico depreda il terren nostro.
Ma te Mario novel le ocnèe convalli
Ben sentiranno, ne l’immensa clade
Splendenti al cielo di più bei colori.
Esultano al passar de’ tuoi cavalli
225L’ossa fraterne, e a le vittrici spade
Il suolo di Maron cresce gli allori.
Consacra i rei signori
Debite inferie a i santi aviti Mani:
Poi su’ colli italiani
230L’ombra adora di Roma, e il vóto augusto
Sciogli di Giulio e di Traian su ’l busto.