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CAPITOLO PRIMO.
Che sotto forma d’un Asin soffersi,
3Canterò io, purchè fortuna voglia.
Non cerco ch’Elicona altr’acqua versi,
E Febo posi l’arco, e la faretra,
6E con la lira accompagni i miei versi;
Sì perchè questa grazia non s’impetra
In questi tempi; sì perch’io son certo,
9Che al suon d’un raglio non bisogna cetra.
Nè cerco averne prezzo, premio o merto;
Ed ancor non mi curo, che mi morda
12Un detrattore, o palese, o coperto,
Ch’io so ben quanto gratitudo è sorda
A’ preghi di ciascuno; e so ben quanto
15De’ benefizj un Asin si ricorda.
Morsi, o mazzate io non istimo tanto,
Quant’io soleva, sendo divenuto
18Della natura di colui, ch’io canto.
S’io fossi ancor di mia prova tenuto
Più ch’io non soglio, così mi comanda
21Quell’Asin, sotto il quale io son vissuto.
Volse già farne un bere in fonte Branda
Ben tutta Siena; e poi gli mise in bocca
24Una gocciola d’acqua aranda, aranda.
Ma se il ciel nuovi sdegni non trabocca
Contra di me, e’ si farà sentire
27Per tutto un raglio, e sia zara a chi tocca.
Ma prima ch’io cominci a riferire
Dell’Asin mio i diversi accidenti,
30Non vi rincresca una novella udire.
Fu, e non sono ancora al tutto spenti
I suoi consorti, un certo giovanetto
33Pure in Firenze infra l’antiche genti.
A costui venne crescendo un difetto:
Che in ogni luogo per la via correva,
36Ed ogni tempo senza alcun rispetto.
E tanto il padre pur via si doleva
Di questo caso, quanto le cagioni
39Della sua malattia men conosceva;
E volse intender molte opinioni
Di molti Savj, e ’n più tempo vi porse
42Mille rimedj di mille ragioni.
Oltre di questo anco e’ lo botò forse;
Ma ciaschedun rimedio vi fu vano,
45Perciò che sempre, e in ogni luogo corse.
Ultimamente un certo Cerretano,
De’ quali ogni dì molti ci si vede,
48Promise al padre suo renderlo sano.
Ma, come avvien che sempre mai si crede
A chi promette il bene; onde deriva,
51Che a’ medici si presta tanta fede;
E spesso lor credendo, l’uom si priva
Del bene, e questa sol tra l’altre Sette
54Par che del mal d’altrui si pasca, e viva;
Così costui niente in dubbio stette,
E ne le man gli mise questo caso,
57Che alle parole di costui credette.
Ed ei gli fe’ cento profumi al naso;
Trasseli sangue della testa; e poi
60Gli parve aver il correr dissuaso.
E fatto ch’ebbe altri rimedj suoi,
Rendè per sano al Padre il suo figliuolo,
63Con questi patti, ch’or vi direm noi:
Che mai non lo lasciasse andar fuor solo
Per quattro mesi, ma con seco stesse
66Chi, se per caso e’ si levasse a volo,
Che con qualche buon modo il ritenesse,
Dimostrandoli in parte il suo errore,
69Pregandol, ch’al suo onor riguardo avesse.
Così andò ben più d’un mese fuore
Onesto, e saggio, infra due suoi fratelli,
72Di riverenza pieno, e di timore,
Ma giunto un dì nella Via de’ Martelli,
Onde puossi la Via larga vedere,
75Cominciaro a ricciarsegli i capelli.
Non si potè questo giovin tenere,
Vedendo questa via dritta, e spaziosa,
78Di non tornar nell’antico piacere;
E, posposta da parte ogni altra cosa,
Di correr gli tornò la fantasia,
81Che mulinando mai non si riposa,
E giunto in sulla testa della via
Lasciò ire il mantello in terra, e disse:
84Qui non mi terrà Cristo; e corse via;
E di poi corse sempre, mentre visse,
Tanto che il padre si perdè la spesa,
87E il medico lo studio, che vi misse.
Perchè la mente nostra, sempre intesa
Dietro al suo natural, non ci consente
90Contr’abito, o natura sua difesa.
Ed io, avendo già volta la mente
A morder questo, e quello, un tempo stetti
93Assai quieto, umano, e paziente,
Non osservando più gli altrui difetti,
Cercando in altro modo fare acquisto;
96Tal che d’esser guarito io mi credetti.
Ma questo tempo dispettoso, e tristo
Fa, senza ch’alcuno abbia gli occhi d’Argo,
99Più tosto il mal, che il bene ha sempre visto.
Onde se alquanto or di veleno spargo,
Bench’io mi sia divezzo di dir male,
102Mi sforza il tempo di materia largo,
E l’Asin nostro, che per tante scale
Di questo nostro mondo ha mossi i passi,
105Per l’ingegno veder d’ogni mortale,
Se bene in ogni luogo s’osservassi
Per le sue strade i suoi lunghi cammini,
108Non lo terrebbe il ciel che non ragghiassi.
Dunque non fie verun, che s’avvicini
A questa rozza, e capitosa gregge,
111Per non sentir degli scherzi Asinini:
Che ognun ben sa, ch’è sua natura legge,
Che un de’ più destri giochi, che far sappi,
114È trarre un pajo di calci, e di corregge;
E ognuno a suo modo ciarli, e frappi,
Ed abbia quanto voglia e fumo, e fasto,
117Che omai convien, che questo Asin ci cappi.
E sentirassi come il mondo è guasto;
Perch’io vorrò, che tutto un vel dipinga;
120Avanti che si mangi il freno, e il basto;
E chi lo vuol aver per mal, si scinga.