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A CHI LEGGE
Quasi tutte le manifestazioni della vita ideale contemporanea vanno da per tutto di male in peggio; il decadimento politico, letterario, morale è cotidiano, perpetuo, confessato ormai da’ più ottimisti, lamentato dai più indifferenti. L’indignazione degli animi onesti si sfoga in tutti i toni; la protesta contro lo sfacelo prorompe confusamente dalla coscienza dei lavoratori. Di tale indignazione e di tale protesta vuol essere questo poema un’artistica rappresentazione: una voce del secolo che si sfascia, una voce del secolo che si rinnova; satira e lirica insieme.
Quando un ordinamento sociale, esaurite le sue forze, e dato quanto di meglio potea, non risponde più ai suoi fini, ogni nobile attività dell’uomo deve essere rivolta ad affrettarne la totale rovina, a sgombrare e preparare il campo alle nuove idee. La poesia, in tali frangenti, suole diventare satirica; ma quando la corruzione non ha neppure il carattere della grandiosità, essa ha il diritto di ricorrere alla parodia. Di questo diritto ha creduto giovarsi l’autore con una libertà, che gli Ateniesi non disdicevano ad Aristofane, ma che sembrerà probabilmente soverchia a questa schizzinosa morale borghese, impastata di tornaconto e d’ipocrisia.
La parodia, quando sia condotta con arte, può riuscire a far ridere e fremere al tempo stesso quanti si serbano ancor sani e incorrotti in un’età di raffinati e di sfatti: il riso, in tal caso, è principio di ribellione alle menzogne e alle turpitudini del tempo; il fremito è foriero di quel benefico temporale, che purificherà, presto o tardi, l’atmosfera morale della nazione.