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CAPITOLO IV.
Veramente tutte quante, Critobulo disse, non serve che me le dimostri, o Socrate, poichè nè agevole si rende di avere in tutte le arti molti buoni artefici, nè è possibile di rendersi di tutte perito. Ma quelle fra tutte le scienze, che bellissime li sembrano, e delle quali massimamente a me si converrebbe di aver cura, queste ora, e tu me le dimostra, e quelli che ben sanno adoperarle fammi conoscere, e tu stesso per quanto puoi dammi aiuto ad apprenderle. — Al certo, Socrate disse, tu ben parli, o Critobulo, perchè quelle arti, che dette sono meccanniche, si riprovano in un uomo libero, e meritamente di niuna stima sono riputate degne dalle città, contaminandosi per esse i corpi, e di chi vi travaglia, e di chi vi sopraintende, costringendoli a rimanersi quasi sempre seduti e all’ombra, ed alcune di queste, anche a passare tutto il giorno presso al foco. Rovinandosi poi i corpi, anche gli animi s’inviliscono. Di poi queste arti meccaniche lasciano pochissimo tempo da potersi impiegare a pro degli amici, o in servigio della città; quindi coloro, che in tali arti si esercitano sono riputati inutili agli amici, e cattivi difensori della patria. E però nelle città, e in quelle massimamente, che sono tenute per bellicose, non è permesso ad alcun cittadino di esercitare le arti meccaniche. — A noi dunque quali arti, o Socrate, ne consigli? — Certo, disse Socrate, non ci vergogneremo d’imitare il re dei persiani di cui si narra, che fra tutte le cure, che all’uomo si appartengono, avvisandosi essere queste due le più belle, e le più necessarie, l’agricoltura, e l’arte della guerra, egli medesimo ad ambedue con grande studio attendeva. — Udendo ciò, Critobulo disse: e ti persuadi tu che veramente il re dei persiani attendesse egli all’agricoltura? — Se al modo che io ora, o Critobulo, ti anderò divisando, riguarderemo a quello che adoperava, forse potremo sapere, se davvero vi attendeva. E quanto alle cose della guerra, noi siamo d’accordo a confessare, che con gran cura vi soprastava: perocchè in tutte quelle provincie, che gli pagavano il tributo determinava ai capi che vi presiedevano, quante milizie dovessero intertenervisi, distinguendo partitamente il numero de’cavalieri degli arcieri dei frombolieri e di ogni altra qualità di armati, e tante ve ne destinava, quante bastar potessero e a contenere il paese e a difenderlo, quando i nimici sopravvenissero. Separatamente poi da queste alcuni presidii aveva nelle rocche, i quali venivano pure intertenuti da un capo a ciò destinato. Di tutte queste milizie poi tanto assoldate, quanto senza stipendio obbligate a portar le armi, facevasene in ciascun anno un diligente esame, e tutte ragunandole in un luogo, eccetto quelle, che le rocche guardavano, e quivi prendevasene il novero: quelle che erano più presso al luogo dove risiedeva il re, da se stesso visitava, e per le più lontane, persone fidatissime deputava. E tutti quei capi di ogni grado, i quali alle milizie presiedevano, se mostrato avessero di mantenere compiutamente il numero a loro ordinato, e di aver avuto cura, che ciascuno ottimamente provveduto fosse, e di armi e di cavalli secondo che sì richiedeva, a più onorati gradi innalzavali, e con doni splendidissimi li arricchiva: quelli poi, che conosceva essere stati negligenti, o avere atteso a guadagnare con vituperevoli modi, severamente puniva, e cessandoli dal comando, ad altri più degno lo concedeva. In cotal guisa adunque adoperando non pare a noi da dubitare, che alle cose della guerra non ponesse egli grandissima cura. Sappi ora inoltre, seguì a dire Socrate, che tutti quei paesi, nei quali egli recavasi, diligentemente considerava, e dove non andava di persona, altri mandava di sua fiducia, i quali dovessero osservarli e tutto poi ad esso distintamente riferire; e dove egli vedeva, o vi sapeva rendersi le provincie per cura di quelli che vi soprastavano, copiose da per tutto di abitatori, o abbondevoli di ogni qualità di arbori, e di ogni altro genere di prodotti, che quel terreno, e quell’aere potessero comportare, alcuna altra provincia al reggimento di quei comandanti aggiungeva, e ad essi faceva onore di ricchi donativi, ed a più sublimi gradi innalzavali: castigava poi, e rimoveva dal comando quelli, i quali o per l’asprezza con cui governavano, o per le ingiurie che altrui faceano, o pur‘anco per trascuranza rendevano spopolate ed incolte le loro provincie, e a quelle altri ne preponeva. Tutto questo facendo egli ti parrà forse, meno essergli stato cuore, che le terre ben coltivate fossero dagli abitanti, di quello che difese dalle milizie? e ad ambedue questi officii in ciascuna provincia destinato aveva i sopraintendenti, ma non già i medesimi a tutti due erano preposti, soprastando altri agli abitanti e ai lavoratori, riscuotendone i tributi, ed altri avendo il comando delle milizie destinate alla guardia. E da ciò ne avveniva, che mancando il comandante delle milizie nel difendere il paese, accusavalo quegli che agli abitanti soprastava, e che doveva aver cura dei lavori, perchè pon potevasi a questi attendere sendo i luoghi mal sicuri; ma se mantenendosi la pace, e dandosi agio a ciascuno di attendere ai lavori con ogni sicurità, da quegli che alle milizie comandava, pure spopolata e incolta si vedesse la provincia, allora questo medesimo comandante delle milizie accusava l’altro che agli abitanti ed ai lavori era preposto, e nel vero una provincia che ben coltivata non sia, non può guari nè alimentare le milizie nè pagare i tributi. Dove però era preposto al comando un satrapo ad esso erano confidati ambedue questi officii. - Udito ciò Critobulo disse: se così codesto re adoperava, o Socrate, ben parmi che avesse cura, non meno del coltivamento delle terre, che delle opere della guerra. — Di più, disse Socrate, voleva egli ancora che in ogni luogo dove abitava, e dove pure soleva alcuna volta recarsi, da per tutto vi fossero giardini, chiamati colà paradisi, nei quali trovar si potesse tutto ciò, che benignamente a noi conceder suole la terra, o per utilità, o per diletto: e in questi giardini quasi sempre trattenevasi, quando la stagione dell’anno non gliel vietava. — Agevolmente mi persuado, disse Critobulo, che trattenendovisi il re cotanto tempo, di necessità tali giardini adorni esser dovessero, e di arbori, e di ogni altra cosa più bella, che veggiamo generarsi dalla terra. — Dippiù alcuni, o Critobulo, narrano, disse Socrate, che quando cotesto re distribuiva i donativi, primieramente chiamava a se quelli, che si erano dimostrati valorosi nella guerra, dicendo, che a nulla gioverebbe di coltivare le campagne, se non vi fosse chi le difendesse. Di poi quelli chiamava a se, i quali avevano avuto buona cura, che ottimamente si coltivassero le provincie, a cui erano stati preposti: dicendo che i valorosi nemmeno aver potrebbero di che vivere, se non vi fossero i coltivatori della terra. Narrasi pure, che dicesse alcuna volta a coloro, che chiamato aveva a ricevere cotesti donativi, che a buon dritto egli avrebbe potuto prenderesi i doni destinati agli uni, e agli altri poichè esso, e benissimo sapeva render coltivate le terre, e difenderle. — Ciro adunque, disse Critobulo, se in questa guisa parlava, o Socrate, gloriavasi di essere diligente agricoltore, non meno che valente guerriero. — E veramente io aviso, disse Socrate, che Ciro, se fosse vissuto, sarebbe stato un ottimo re: e questo si può conoscere per molti argomenti, massimamente poi da questo; che quando egli andò a far guerra contro il fratello per ispogliarlo del regno, dalla parte di Ciro niuno, si dice, che partisse per seguitare il re; dalla parte poi del re molte diecine di migliaia ne vennero a Ciro. Io poi stimo questo essere un grande indizio della virtù di un comandante, quando di buon grado il seguono i suoi, e nei più terribili casi seco vogliono rimanersi. E con Ciro, in fatti, tutti gli amici combatterono finchè rimase in vita, e quando cadde estinto tutti pugnando intorno al suo corpo con esso perirono, fuori di Arieo, e questo Arieo era stato destinato al comando del sinistro corno. Del medesimo Ciro si narra ancora, che essendo a lui venuto Lisandro a recargli i doni degli alleati, con grandissima cortesia lo ricevette (come lo stesso Lisandro disse, raccontandolo ad un certo suo ospite in Megara) e lo condusse pure a vedere quel giardino, ch’egli aveva in Sardi: e poichè Lisandro ebbelo ammirato, perocchè erano quivi gli arbori di una grande bellezza, e posti con eguale misura onde poi le schiere di quegli dirittissime per ogni parte ne apparivano e la vaghezza della disposizione in qualunque altra cosa vi si scorgeva essere da per tutto mirabilissima, sentendo che mentre con Ciro passeggiava, da molte qualità di soavissimi odori che all’intorno spandevansi erano accompagnati, meravigliando, disse: veramente, o Ciro, tutto questo assai mi piace per la bellezza, ma troppo più ammiro chi ha saputo così bene disporti, e ordinarti ciascuna di queste cose. Ciò udendo, ei narrava, che Ciro se ne mostrò assai lieto, e gli rispose: quanto qui vedi, o Lisandro, tutto ho io medesimo ordinato, e disposto, e fra questi arbori ve n’ha di quelli, che ho pur piantati colle mie mani. Allora, raccontava pure Lisandro, che rivoltosi a lui, e considerando la magnificenza delle sue vesti, e sentendone la fragranza, e ammirando lo splendore delle cinture, e de fermagli, e tutto l’altro suo adornamento gli dicesse: parli tu il vero, o Ciro, che alcuni di questi arbori li abbia tu posti colle tue mani? e che Ciro allora gli rispondesse: e tu di questo ti maravigli, o Lisandro? Ti giuro, per Mitra, che quando sono in buona salute mai non vado a cena se non ho in prima sudato in alcun esercizio, o di guerra o di agricoltura ovvero in altra cosa affaticandomi. Aggiungeva lo stesso Lisandro, che appena udito ciò, prendendogli la destra gli disse: a buon diritto parmi, o Ciro, che ti si appartenga questa tua felicità, perciocchè sendo uomo virtuoso ti godi di così prospera fortuna.