< L'Uomo di fuoco
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Conclusione
32. L'assalto dei tupinambi

Conclusione.


Dieci giorni dopo Caramurà veniva nominato gran capo dei Tupinambi e fondava un nuovo villaggio all’estremità della baia di Reconcavo, nel luogo ove sorge la città di Bahia.

Per lunghi anni rimase fra i selvaggi che avevano imparato ad apprezzarlo grandemente, difendendoli contro gli assalti di tutte le tribù indiane e rendendosi temuto in tutto il Brasile meridionale.

Sposo di parecchie figlie di capi celebri, aveva già fondata una numerosa famiglia e si era rassegnato a terminare i suoi giorni fra le foreste del Brasile, quando un giorno una nave normanna andò a gettare l’àncora nella baia di Reconcavo.

Il desiderio di rivedere il suo paese e gli uomini della sua razza era diventato tale, che non potè rifiutare le offerte fattegli dal capitano di ricondurlo in Europa.

Dopo aver promesso solennemente alle sue orde di tornare un giorno, s’imbarcò conducendo con sè Paraguazu, la preferita delle sue mogli, non osando mostrarsi fra i suoi con una famiglia così numerosa.

Si narra che le altre mogli, vedendolo abbandonare la costa del Brasile, si gettarono in acqua supplicandolo di condurle con loro e che parecchie preferirono annegarsi piuttosto che dimenticare l’Uomo di fuoco che tutti riguardavano con un semi-dio.

Il normanno però, invece di sbarcarlo a Lisbona, come era stato pattuito, lo condusse in Normandia, mandandolo alla corte di Francia dove Paraguazu, la bella brasiliana, fece furore e fu accolta con grandi onori da Enrico II e da Caterina de’ Medici.

Fu anzi battezzata ed ebbe per padrini il re e la regina che la colmarono di regali.

Se tutte quelle cose lusingavano l’amor proprio di Caramurà, sopra tutto però gli stava a cuore il desiderio di tornare in patria, ciò che invece non garbava ai reali di Francia i quali avevano formato il progetto di valersi di lui per tentare la conquista del Brasile.

Trovato però il modo d’informare il re Giovanni del Portogallo e accordatosi con un ricco armatore francese, riusciva alcuni mesi dopo a lasciare di soppiatto la corte e fuggirsene a Lisbona.

Qualche anno dopo Caramurà, che non aveva dimenticata la sua tribù e che non voleva mancare alla promessa fatta, s’imbarcava alla volta del Brasile guidando una grossa spedizione armata da Francesco Pereira Coutinho a cui il re Giovanni aveva concesso in feudo la vasta provincia marittima compresa fra il fiume San Francesco e la Punta Padram di Bahia.

Era però quel Coutinho un avventuriero senza scrupoli che essendo stato molti anni nelle Indie orientali, aveva contratto l’orgoglio della prepotenza e la crudeltà del conquistatore.

Sbarcato nel Brasile invece di seguire i consigli di Caramurà, aveva cominciato a incrudelire contro gli stessi Tupinambi, senza pensare che quegli indiani erano i più formidabili guerrieri del Brasile.

Che più? Spinse la sua audacia fino ad arrestare l’Uomo di fuoco e tradurlo prigioniero su una nave, per fare dispetto ai selvaggi.

Invece si sparse la voce che Caramurà era stato assassinato.

Paraguazu, la bella brasiliana, arma i suoi sudditi ed invoca anche il soccorso dei Tamoie, altri formidabili guerrieri.

I brasiliani mettono tutto il paese a ferro ed a fuoco. Bruciano i villaggi portoghesi e le fabbriche di zucchero, trucidano i coloni e lo stesso figlio di Coutinho e dovunque fanno fronte, con rara intrepidezza agli avventurieri europei.

Quella guerra durò parecchi anni finchè Coutinho, disperando ormai di vincerli e perdute tutte le fortezze si vide costretto a salvarsi sulla nave e fuggire vergognosamente nella vicina capitaneria d’Os-Ilhèos che cominciava già a prosperare sotto la saggia amministrazione del portoghese Figuredo.

Aveva però condotto con sè Alvaro. Fosse l’influenza di quell’uomo, fosse il desiderio di vivere in pace dopo tanta guerra, fra gli emissari di Coutinho ed alcuni capi dei Tupinambi fu fatto un accordo il quale doveva conciliare l’interesse dei due popoli.

Già stavano per sottoscrivere il trattato, quando l’irascibile Coutinho avendo ricevuto rinforzi, ruppe le trattative e veleggiò nuovamente verso Bahia per punire i Tupinambi.

Aveva già imboccata la baia quando una orribile tempesta lo sorprese e la sua nave si ruppe sulle scogliere di Itaporica.

I Tupinambi che sapevano esservi a bordo Caramurà si armano, salgono sulle loro piroghe e assaltano la nave dell’ammiraglio e le altre caravelle.

Coutinho cade sotto le loro mazze ed il suo tronco, privo della testa, viene portato in trionfo ed i portoghesi caduti vivi nelle mani di quei fieri e vendicativi selvaggi vengono divorati per celebrare la vittoria non ostante la presenza di Caramurà.

Fu quella l’ultima battaglia.

Alvaro ritornato capo delle orde dei Tupinambi, non tardò a riprendere coi suoi compatrioti buone relazioni che non furono mai rotte, nemmeno all’arrivo della grande spedizione capitanata da Tommaso de Souza che fu, si può dire, il più grande colonizzatore del Brasile.

Caramurà si spense assai vecchio, lasciando un gran numero di figli e le famiglie più cospicue di Bahia anche oggi vanno superbe di discendere da quel fortunato avventuriero.




FINE

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