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Tommaso Moro - L'Utopia (1516)
Traduzione dal latino di Anonimo (1863)
Della guerra
Libro secondo - Dei servi Libro secondo - Delle religioni degli Utopiensi

Della guerra.


Gli Utopiensi hanno sommamente in abbominazione la guerra, come cosa d’animali, di cui però niuno così lungamente guerreggia, come l’uomo: nè tengono altra cosa più biasimevole, che la gloria acquistata coll’armi. E quantunque si esercitino nella milizia non solamente i maschi, ma le femmine ancora a certi giorni, per non essere al combattere inetti, quando fosse il bisogno; tuttavolta non si mettono a guerreggiare inconsideratamente, ma solo per difendere i loro confini, o per liberare dalla tirannia e servitù qualche misero popolo. Benchè talvolta porgono aiuto agli amici, non solamente perchè si difendano, ma eziandio perchè ricompensino le avute ingiurie. Questo però fanno, essendosene dimandato loro consiglio, prima che si venga alle armi, ed ove sia provata la causa per giusta; cioè quando gl’inimici di quelli, facendo correrie, abbiano condotto via il bottino, e, ridomandato, non l’abbiano voluto rendere. Ma guerra più atroce intraprendono, quando i loro mercanti sono maltrattati o calunniati ingiustamente appo le altre nazioni. Tale fu quella che fecero, poco avanti la nostra memoria, pei Nefelogiti1 contra gli Alaopoliti2, i quali avendo maltrattato i mercanti dei Nefelogiti sotto colore di osservare le loro leggi, furono con la guerra, sanguinosa però d’ambe le parti, di maniera afflitti, che moltiplicando le calamità, caddero in servitù de’ Nefelogiti medesimi; perchè gli Utopiensi combatterono per questi, e non per proprio interesse. Così gli Utopiensi prendono atroce vendetta delle ingiurie fatte agli amici anco nei danari, ma non tanto fieramente vendicano le proprie; perchè se gli uomini loro per qualche inganno perdono i beni, purchè non sia lor fatto violenza nei corpi, si contentano che si soddisfaccia al danno e più non tengono commercio con quella gente che gli offese. Non che meno curino i loro cittadini che i loro confederati, ma perchè i mercanti di questi, essendo ingannati, perdono del proprio avere, laonde sentono maggior danno; e i cittadini Utopiensi altro non possono perdere che dei beni della repubblica, i quali si mandano ad altri paesi, quando avanzano loro, ed indi quasi niuno ne prova disagio. Perciò reputano che sia una crudeltà voler punire con morte di molti quel danno, dal quale niuno sente incomodo nel vivere o nella vita. Ma se alcuno dei loro cittadini viene ferito o morto ingiuriosamente, sia per consiglio pubblico o privato, mandano ambasciatori a dimandare i colpevoli, e, non essendo loro dati, movono guerra contra quel popolo a cui appartengono. I colpevoli, che sono lor consegnati, ovvero uccidono, o tengono per servi. Si vergognano e pentono della vittoria sanguinosa, parendo loro di aver comperato troppo caro le mercanzie, ancorchè fossero di gran prezzo. Si gloriano di aver vinto i nemici con arte o con inganno; di questo trionfano pomposamente e ne rizzano un trofeo: ed allora si vantano arditamente quando hanno vinto con quell’industria, con la quale l’uomo solamente può vincere, cioè con le forze dell’ingegno, il che reputano un’egregia virtù. Dicono essi: i leoni, gli orsi, i lupi, i cinghiali, i cani e le altre bestie combattono con le forze del corpo; ma siccome assai di quelle ci vincono per valore e ferocità corporale, così noi le superiamo tutte con l’ingegno e con la ragione. Nel loro guerreggiare mirano di ottenere quella cosa, per cagion della quale hanno mosso guerra; e se alcuno ad essi resiste, ne fanno così atroce vendetta, che gli altri per l’avvenire non ardiscono contrapporsi. Propostosi uno scopo, in breve ne vengono all’effetto, avendo però l’occhio principalmente piuttosto a schivare il pericolo, che a farsi gloriosi. Perciò, intimata la guerra, fanno porre segretamente molti scritti col bollo pubblico nei luoghi più frequenti dei nemici, dando a sperare gran premio a chi ammazza il principe, e minore in proporzione per la testa degli altri, che proscrivono, cioè i consiglieri, i quali, dopo il principe, sono autori delle ostilità. Ma danno doppia ricompensa a chi li presenta vivi, ed anco invitano con larghe promesse gli stessi proscritti ad andare contra i loro popoli, e perdonano a quelli ogni passato fallo. Così gl’inimici in breve tempo hanno sospetto di tutti gli uomini, nè si fidano tra loro medesimi, laonde si trovano in gran pericolo e timore. Ed è più volte avvenuto, che in buona parte di essi, e tra questi il principe, siano stati traditi da coloro, nei quali aveano maggiore speranza. Tanto facilmente vengono spinti ad ogni scelleraggine gli uomini coi doni, i quali sono dati dagli Utopiensi in questi casi senza misura alcuna, perchè considerando a quanto pericolo li confortano, studiano di ricompensarneli con la copia dei beneficj. Perciò promettono, ed attendono poi con effetto, non solamente gran somma d’oro, ma eziandio grandi rendite in luoghi sicuri appo gli amici. Questa foggia di apprezzare e mercare il nemico, biasimato appo le altre nazioni, e riputato di animo vile e crudele, appo loro è tenuta per gloriosa impresa. Poichè si credono in questo prudenti, che forniscono guerre grandissime senza venire a conflitto, e pietosi, perchè con la morte di pochi salvano la vita di molti, che morirebbero nei fatti d’arme, parte dei cittadini, parte dei nemici, dei quali hanno quasi tanta pietà come dei loro propri, sapendo che non vengono alla guerra spontaneamente, ma spinti dal furore dei loro principi. Se loro ciò non riesce, seminano e nodriscono discordie tra nemici, dando speranza di ottenere il regno al fratello del principe, o a qualcuno che vi possa aspirare. Quando non valgono queste sedizioni, eccitano i popoli vicini a guerreggiare contra i nemici con mostrare loro qualche ragione, che abbiano nel paese di quelli, e promettendo di favorirli danno ad essi danari copiosamente. Ma di rado vi mandano i loro cittadini, i quali tengono tanto cari, che non ne cangerebbero uno col principe della parte nemica. Danno l'oro e l’argento più facilmente; perchè lo conservano a questo effetto, né vivrebbero meno comodamente ancorché lo dispensassero tutto. Ed anco, oltre le ricchezze che tengono in casa, hanno infinito tesoro, che loro debbono molte nazioni. Mandano però alla guerra soldati di alcuna di quelle, e specialmente dei Zapoleti3. Questo popolo è lontano dall’Utopia cinquanta miglia, verso oriente, orrido, rusticano e feroce, il quale abita le selve, dove ancora è nodrito. Gente dura, atta a patire il freddo, il caldo e la fatica, senza alcuna delicatezza, non si dà all’agricoltura, nè studia come si vesta o fabbrichi; solamente governa gli animali, e vive di cacciagione e di rapina. Nata al combattere, brama la guerra studiosamente, offerendosi per vil prezzo a chi la ricerca. Non ha per sostentamento della vita che questa sola arte, con la quale si cerca la morte; ma serve fedelissimamente e virilmente a chi l'assolda, obbligandosi sino ad un certo giorno, con patto che passato quello possa andare al soldo del nemico: tuttavia ritorna per poco maggior prezzo. Si fanno poche guerre che non vi sia di questo popolo d’amendue le parti. Così avviene che i parenti e gli amici, soldati da questa e da quella parte, concorrano insieme a mortale uccisione, scordandosi dell’amicizia e del parentado, solamente mossi dal ricevuto stipendio, al quale sì avidamente mirano, che potendo aver un danaro di più al giorno, passano alla parte nemica. Tanto sono immersi nell’avarizia! la quale però non giova punto ad essi, perchè consumano a vivere lussuriosamente in breve tempo quanto hanno acquistato col sangue. Questo popolo serve nella guerra agli Utopiensi contra chiunque essi vogliano, perché gli danno maggior stipendio, che altri possano dargli. Siccome gli Utopiensi cercano gli uomini dabbene per accomodarsene; cosi pigliano gli uomini malvagi, per servirsene alla guerra, e quando fa mestieri, con gran promesse gli spingono a grandi pericoli; laonde spesse volte una gran parte di loro non torna a dimandarne l'eseguimento. Gli Utopiensi però le attendono fedelmente a quelli, che rimangono vivi, per accenderli a simili imprese. Nè si pigliano cura se ne muoiono gran numero, parendo loro di giovare alla natura umana, ove potessero purgare il mondo della feccia d'un popolo tanto scellerato e malvagio. Dopo questa mandano le squadre di quei popoli, pei quali combattono, e dietro ad essi la gente degli amici, che porge loro aiuto. Finalmente vi aggiungono i loro cittadini, dei quali uno, che sia per virtù illustre, fanno di tutto l'esercito capitano. A costui sostituiscono due, i quali, vivendo egli prosperamente, siano uomini privati, ma morto lui, o rimanendo prigione, uno di loro gli succede come per eredità. Cosi secondo il caso aggiungono un terzo, acciocché pericolando il capitano (come avviene nella guerra) non si turbi tutto l’esercito. Di ogni città si ammaestrano i soldati, che spontaneamente vogliono militare; perchè niuno fe mandato fuori alla guerra mal suo grado; avendo per cosa certa, che l'uomo timido, oltre che non si porterà virilmente, darà timore agli altri. Movendosi però guerra contro la patria, mettono nelle navi quelli, che sono timidi, purché siano di corpo gagliardi e li mescolano con uomini arditi e valorosi, ovvero li collocano sulla muraglia, in guisa che non possano fuggire. Cosi la vergogna dei suoi, l'aver l'inimico a fronte, ed il non poter fuggire, fa che vincono il timore: e l’estrema necessità spesse volte si muta in virtù. E siccome niuno è tratto a guerra estrema contra sua voglia, cosi confortano e con lodi incitano le mogli a seguire i mariti, e nel conflitto le pongono vicino ad essi, e d’intorno i figliuoli ed altri loro prossimi, i quali sono mossi dalla natura a porgersi aiuto insieme. Il marito che torna senza la moglie è biasimato; così il figliuolo perduto il padre: indi avviene che se il nemico non fugge, si combatte fino allo sterminio. Perché, siccome schivano quanto possono di venir a fatto d’arme, e conducono a quest'effetto soldati forastieri; così quando sono astretti di combattere vi corrono tanto arditamente, quanto prima studiosamente lo hanno schivato. Non s'infuriano da principio, ma a poco a poco pigliano vigore, con animo fermo di morire piuttosto che dare le spalle. Quella sicurezza delle cose al vivere necessarie, senza l’affanno dei loro discendenti (il che in ogni luogo indebolisco gli spiriti generosi) fa gli Utopiensi di animo altiero, e che si sdegna di esser vinto. Si fidano ancora nella perizia che hanno nella guerra, ed anco le dritte opinioni e i buoni istituti della repubblica ehe hanno imparati dalla fanciullezza, aumentano in essi la virtù, con la quale non tanto sprezzano la vita, che la gettino, nè tanto l'hanno cara, che, richiedendo onesta causa di esporla alla morte, se la vogliano avaramente e con biasimo conservare. Quando più fiera in ogni parte arde la pugna, alquanti giovani congiurati mirano ad uccidere il principe nemico, ora a faccia aperta, ora con inganno, di lontano e d’appresso con lunga e continuata squadra, sostituendovi ognora i più freschi agli stanchi. E di rado avviene, se non fugge, che non rimanga morto o prigione. Se sono vittoriosi, non attendono ad uccidere inimici che fuggono, ma piuttosto li pigliano. Nè mai tanto li perseguitano che non tengano sempre una squadra in ordinanza, e piuttosto li lasciano fuggire che guastare i propri loro ordini, avendo memoria che molte fiate essendo rotto il campo avverso, i vittoriosi spargendosi qua e la, e lasciando pochi per retroguardia, hanno dato occasione al nemico di farsi di vinto vittorioso. Non saprei narrare se siano più astuti a disporre le insidie o più accorti a schivarle. Alle volte penserai che fuggano, quando sono più ostinati di non fuggire, nè si può a segno alcuno indovinare quando da dovero si dispongono di farlo. Perchè sentendosi in disvantaggio nel numero, o per sito del luogo, si levano di notte tacitamente o fingono qualche astuzia, ovvero di giorno si partono, ma con tal ordine, che non è minore pericolo assalirli quando so ne vanno, che quando stanno fermi. Fortificano i loro alloggiamenti con larga e profonda fossa, nè si servono in questo dei vili servi; anzi i soldati di lor mano la cavano, gettando la terra dentro, eccetto quelli che per ogni subito caso stanno armati alla guardia. Cosi, adoperandovisi tanto numero, fortificano gran campo in pochissimo tempo. Usano arme a pigliare i colpi ferme, e non inette da portare e muovere, intanto che non gl'impacciano nuotando. Perchè tra gli ammaestramenti della milizia si avvezzano a nuotare armati. Per arme di lontano usano le saette; e sono a lanciar quelle ove disegnano gagliardi ed esperti, non solamente i pedoni, ma eziandio i cavalieri. Dappresso non usano spade, ma accette, che tagliano e pungono acutissimamente, e col peso ancora sono mortali. Fanno certe macchine, le quali tengono nascoste finché fa mestieri di usarle, onde non siano piuttosto di ludibrio che di vantaggio; e mirano a farle tali che agevolmente si possano condurre e girare, come porta il bisogno. Osservano le tregue tanto santamente, che essendo ancora ingiuriati non le violano. Non saccheggiano il paese nemico, nè ardono le biade; anzi a loro potere non le lasciano calpestare dai pedoni, nè da cavalieri, facendo presupposto che crescano per loro. Non uccidono alcuno disarmato, se non è qualche spia. Difendono le città che loro si rendono, e non devastano quelle che pigliano a forza, ma uccidono solamente coloro, che non lasciavano che si arrendessero, e gli altri, che le difendeano, fanno servi. Ma non offendono la turba inetta a guerreggiare. Danno parte dei beni dei dannati a coloro, che persuadevano che la città si rendesse; ed il rimanente, che si vende, donano ai compagni venuti loro in aiuto. Niuno di loro piglia cosa alcuna del bottino. Finita la guerra, non prendono dagli amici quello, che vi hanno speso, ma da quelli che sono vinti: per questa causa parte riscuotono danari, parte si appropriano alcuni terreni, dei quali i popoli vinti pagano loro ogni anno certe rendite, che fra tutte ben montano a più di settecentomila ducati. Mandano in que’ luoghi alcuni lor cittadini per camerlinghi, acciocché vivano magnificamente e vi stiano come nobili, tuttavia ne riportano buone somme nell’erario, ovvero le prestano a’ popoli vinti, nè le riscuotono, se non quando lo ricerca il bisogno: e di raro tutte intere. Di tali campi assegnano parte a quelli, che fanno per loro qualche pericolosa impresa, com’è sopra detto. Se alcun principe si apparecchia di assalire con armi il loro paese, con grande esercito gli vanno subito contra fuori dei loro confini, per non guerreggiare nel proprio paese: nè mai vengono a tanta necessità, che accettino nell’isola aiuto alcuno dagli amici.

  1. Forse da Nεφελογενής, e varrebbe nubigeni.
  2. Nomadi, o girovaghi, o fuorusciti.
  3. Probabilmente invece di Zoepoleti, cioè venditori della vita.

Note

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