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APOLOGHI
IL FIORE E LA RUGIADA.
Non avea tinte vivaci, nè acuta fragranza che ne avvertisse la presenza, ma colori modesti e un lieve, soave profumo, che non si spandeva più in là del cantuccio, che gli serviva d’asilo.
Però la fanciulla che con amorosa cura vegliava sulle aiuole del giardino, aveva dimenticato quel fiore, quando inaffiava largamente le piante arse dal sole. E il meschino reclinava mestamente il capo, non conservando più alcuna speranza di salvezza.
Ma venne la sera, e la rugiada inumidì le foglie del povero fiore, e penetrandovi a poco a poco, soavemente lo rianimò. Al mattino, la sua corolla, rialzata e rivolta al cielo, sembrava, col dolce suo profumo, voler ringraziare e benedire.
Le lagrime di un’anima buona, che conforti una creatura infelice, la rianimano, come la rugiada il fiore appassito.
IL VIOLINO E L’ARTISTA.
Ma venne un altro e, postovi appena le mani sopra e toccate leggermente coll’archetto le corde, ne trasse accordi armonici e soavi melodie.
«Ed è questo lo strumento di poc’anzi?» esclamò que’ che un momento prima l’avea tenuto in dispregio e che ora, raccoltolo con reverente cura, l’andava esaminando meravigliato: «Qual’arte magica ha saputo trasformarlo, e crearvi tale note?»
Ma v’era fra gli astanti un uomo, i cui capelli bianchi e il mesto volto dinotavano, ch’egli avea molto vissuto e molto sofferto.
Accennando al violino: «Quelle note meravigliose,» disse, «non furono già create dall’artista, ma preesistevano nello strumento; tutta la magia sta nel nel saperle far uscire.» Tacque un istante, poi ripigliò: «Così, non disperate mai d’un animo: per quanto nullo o tristo esso vi appaia, non isprezzatelo come strumento inutile e increscioso, ma cercatene le corde sensibili, sappiatele far vibrare, e ne otterrete buone e nobili cose.»
Anna Gallizier.