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TAVOLA X.
Sotto i numeri 11., 17. e 19. della Tavola XII. si vedono rappresentate tre varietà di quella stessa Minerva che trionfa nelle tre prime monete di questa serie. Queste varietà sono congiunte al busto di cavallo frenato e alla iscrizione ora diretta ora retrograda ROMANO. Nel busto dee riconoscersi l’impronta del triente de’ volsci, nella iscrizione il diritto di cui questo popolo godeva. Un secondo confronto abbiamo fatto tra queste Minerve coniate con l’epigrafe ROMANO e il busto di Cavallo nel rovescio, e le Minerve pure coniate con l’epigrafe AQVINO, CALENO, SVESANO, TIANO. Il confronto può rinnovarsi con facilità da chi lo brami, perchè queste monete tutte si contano tra le più comuni di questa parte d’Italia, e nel confronto si riconoscerà, che come la provenienza di tutte quasi queste monete è comunemente dalla moderna Terra di Lavoro, cosi i caratteri tutti dell’arte, con che sono operate, pajono tra loro comuni. Della provenienza delle fuse non possiamo dare testimonianza, perchè è grande la loro rarità. Dee tuttavia valere a qualche buon effetto l’accennata cognizione delle coniate. Sopra di essa sola, riconosciuta da noi per assai debole fondamento, stabiliamo non altro, se non la congettura, che agli aurunci possa questa serie aver appartenuto. Gli aurunci toccavano da un lato il Liri, e guardavano le ricordate città d’Aquino, Calvi, Sessa e Tiano, colle quali hanno comune la Minerva: toccavano dall’altro lato le terre de’ volsci, da’ quali pare che prendessero il busto di cavallo nel tempo in che ristabilirono le loro officine; la conchiglia e la clava indicherebbono una qualche relazione che aver poteano co’ latini, da’ quali eran sì poco lontani. Riflettasi anche alla condizione ristretta della loro provincia, da cui potrebbe ripetersi la scarsezza della loro moneta fusa: riflettasi al poco spazio che, occupate le terre latine, rutule e volsche, ne rimane tra il Tevere e il Liri, a cui attribuire questa serie. Non sarebbono tante le nostre incertezze, se conoscessimo tutta la significazione di quel cantaro che trovasi scolpito su tutti que’ sei rovesci. Egli è probabile che quel vaso abbia la virtù medesima, che ha nel suo genere la ruota de’ rutuli; anche perchè Roma nel concedere la nuova moneta non volle concedere l’uso di questa nazionale insegna.
Tra le monete non romane che portan l’epigrafe ROMA, una se ne conserva in questo museo in cui la R è convertita in un K. Credevamo quindi che come qui potevasi attribuire l’errore all’artista, il quale divagato non chiuse la parte superiore della lettera, per cui rimase un K quello che doveva essere un R; cosi nelle monete coniate con l’impronta della Minerva e del busto di cavallo vi potessero essere accaduti altri errori di lettere per cui qualcuno leggesse KOZA. e KOZANO; quella epigrafe che parea non dovesse essere se non ROMA e ROMANO. Ma il medagliere del Cardinal Borgia ne porse di fatti a vedere non il Marte barbato publicato dall’Eckhel e dal Lanzi, bensì la Minerva con l’epigrafe KOZA. Tuttavia la singolarità di questa moneta, benché genuina, non crediamo che sia bastevole ragione di traslocare in Etruria tutto ciò che finora abbiamo scritto in favore del Lazio antico e nuovo.