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annunzio ch’io vi reco sopra il vento palpitante
con la mia bocca forte!
Udite, o agricoltori, alzati nei diritti solchi,
5e voi che contro la possa dei giovenchi, o bifolchi,
tendete le corde ritorte
come quelle del suono tese nelle antiche lire,
e voi, femmine possenti in oprare e partorite,
alzate su le porte,
10e voi nella luce floridi, e voi nell’ombra curvi,
fanciulli loquaci, vecchi taciturni,
o vita, o morte,
uditemi! Udite l’annunziatore di lontano
che reca l’annunzio del prodigio meridiano
15onde fu pieno tutto quanto
il cielo nell’ora ardente! V’empirò di meraviglia;
v’infiammerò di gioia; vi trarrò dalle ciglia
il riso e il pianto.
Salirà dai profondi cuori un grido immenso
20come quel che improvviso tonò nel silenzio
del giorno santo.
Ornate di purpuree bende il giogo oneroso,
delle più fresche erbe gli alari che il fuoco ha róso
nel fervido camino;
25sospendete alla trave arida la ghirlanda aulente,
coronate la fronte del toro, il vaso lucente,
la pietra del confino.
La bellezza del mondo sopita si ridesta.
Il mio canto vi chiama a una divina festa.
30Nelle vostre rene rudi, ecco, il mio canto versa
un sangue divino.
annunzio ch’io vi reco sopra il vento giubilante
con la mia bocca sonora,
35nudi nell’ombra cerula delle vele mentre vibra
come nella selva il curvo legno per ogni fibra
da poppa a prora
e il pino dischiomato che per l’alto sal viaggia
pur anco geme in lunghe lacrime la selvaggia
40gomma onde il cuor gli odora,
uditemi! Io vi dirò quel che da voi s’attende,
le vostre sorti auguste, la deità che in voi splende
e il Mar che è divino ancóra.
Gittate le reti su i giardini del Mare
45ove rose voraci s’aprono tra il fluttuare
dell’erbe confuse;
cogliete il ramo vivo nella selva dei coralli
ove fremono eretti gli ippocampi, cavalli
esigui, e le meduse
50trapassano in torme leni come in aere nube;
cogliete i fiori equorei, molli come le piume,
dolci come le ciglia chiuse;
fioritene ogni albero, fioritene ogni antenna,
il timoniere alla barra, il gabbiere alla penna,
55e il piloto che sa i cieli,
e i bracci dell’àncora tenace che sa gli abissi,
e le escubie, occhi della nave aperti e fissi
verso i lontani veli
ove s’asconde l’isola felice o la tempesta!
60Il mio canto vi chiama a una divina festa.
La bellezza del mondo sopita si ridesta
come ai dì sereni.
Echìnadi tonante nella calma d’estate
65verso la nave. Il giorno
spegneasi entro quell’acque, fumido; come una pira
ardea Paxo; Achelòo, pensoso di Deianira
e del divelto corno
dalla forza d’Eràcle nell’iterata lotta,
70
respirava per la sua vasta bocca nel mare e sola
la sua brama era intorno.
O padre fecondatore dei piani, re violento, atroce
sposo, testimonio eterno sei tu. Mentì la voce
che gridò: “Pan è morto!„.
75Ma pieno era il giorno, ma era a sommo del cerchio
il Sole, il maestro dell’opre eccellenti, lo specchio
infaticabile degli umani,
l’amico delle fonti, la chiara faccia, il puro
occhio che vede tutte le cose (udite, udite!); e tutto
80il silenzio dei piani
l’adorava offerendo al suo fuoco le messi
altrici delle stirpi, i mietitori genuflessi
dalle consacrate mani,
e le falci terribili, e i vasi d’argilla proni
85onde l’acqua trasuda, simili alle fronti
madide nella fatica,
tramandati dai padri nella forma immortale,
e i rossi carri aspettanti il peso cereale
fermi presso la bica,
90e le chiome delle femmine seguaci, e le criniere
dei cavalli furibondi sotto la sferza crudele
e la schiuma di quel furore, e le preghiere
grandi su l’opra antica.
95e tutto il silenzio dei mari l’adorava offerendo
al suo fuoco l’aroma
del sale purificante, la felicità dell’onda,
della rupe immobile, dell’alga vagabonda,
della ferrea prora,
100il promontorio fulvo come leone in agguato
con proteso l’artiglio, il golfo dominato
dalla città che dolora
nelle sue mura ansiosa, e i vitrei meandri
delle correnti, e i gemmei limitari degli antri
105che solo il vento esplora.
Tutto era silenzio, luce, forza, desìo.
L’attesa del prodigio gonfiava questo mio
cuore come il cuor del mondo.
Era questa carne mortale impaziente
110di risplendere, come se d’un sangue fulgente
l’astro ne rigasse il pondo.
La sostanza del Sole era la mia sostanza.
Erano in me i cieli infiniti, l’abondanza
dei piani, il Mar profondo.
115E dal culmine dei cieli alle radici del Mare
balenò, risonò la parola solare:
“Il gran Pan non è morto!„
Tremarono le mie vene, i miei capelli, e le selve,
le messi, le acque, le rupi, i fuochi, i fiori, le belve.
120“Il gran Pan non è morto!„
Tutte le creature tremarono come una sola
foglia, come una sola goccia, come una sola
favilla, sotto il lampo e il tuono della parola.
“Il gran Pan non è morto!„
dell’Universo. Ma gli uomini non tremarono, chini
sotto le consuete onte.
Tutte le creature udirono la voce
vivente; ma non gli uomini cui l’ombra d’una croce
130umiliò la fronte.
Ed io, che l’udii solo, stetti con le tremanti
creature muto. E il dio mi disse: “O tu che canti,
io son l’Eterna Fonte.
Canta le mie laudi eterne.„ Parvemi ch’io morissi
135e ch’io rinascessi. O Morte, o Vita, o Eternità! E dissi:
“Canterò, Signore.„
Dissi: “Canterò i tuoi mille nomi e le tue membra
innumerevoli, perocché la fiamma e la semenza,
l’alveare ed il gregge,
140l’oceano e la luna, la montagna ed il pomo
son le tue membra, Signore; e l’opera dell’uomo
è retta dalla tua legge.
Canterò l’uomo che ara, che naviga, che combatte,
che trae dalla rupe il ferro, dalla mammella il latte,
145il suono dalle avene.
Canterò la grandezza dei mari e degli eroi,
la guerra delle stirpi, la pazienza dei buoi,
l’antichità del giogo,
l’atto magnifico di colui che intride la farina
150e di colui che versa nel vaso l’olio d’oliva
e di colui che accende il fuoco;
perocché i cuori umani, come per un lungo esiglio,
hanno obliato queste tue glorie, Signore, e che il giglio
dei campi è un gaudio eterno.„ E il dio mi disse: “O figlio,
155canta anche il tuo alloro.„