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Questo testo fa parte della raccolta Poesie inedite (Pellico)


L'ANTICO MESSALE.





Et benedictae reliquiae tuae!

(Deut. 28. 5).



Oh ben a dritto più di gemme e d’oro
     Ch’abbian sol di ricchezza immenso pregio,
     Ami, o Donna gentil, questo tesoro,
     4Che vetustà rarissima fa egregio:
     Muto è al cor de’ mortali ogni lavoro
     Che splenda sol come opulento fregio:
     Qui de’ secoli v’è l’alta parola
     8Che percuote ed in un turba e consola.

Qui v’è un incanto ch’a noi stende innanzi
     Remotissimi giorni, i giorni alteri,
     Allorchè barbarie infra gli avanzi
     12Fiorian città, castella e monasteri,
     E non sol grandeggiavan ne’ romanzi
     Le sante dame e i santi cavalieri,
     Ma di religïone e di portenti
     16Tutte fervean le più elevate menti.

V’abbondavan dolori, e v’abbondava
     D’armati rei la vïolenza atroce;
     Ma mentr’era sì forte ogn’indol prava,
     20Forte in cor degli eletti era la Croce!
     Di forza era un’età che suscitava
     Tra l’iniquo ed il buon guerra feroce:
     Stupor ci fa tal quadro e ci atterrisce,
     24Ma con somme virtù pur ci rapisce.

Io non posso adorar l’età lontane,
     Ma nè pertanto adorar so la mia,
     Chè troppo da vicin veggo profane
     28Opre d’assai maligna e vil genìa,
     Sì che gemendo alle speranze vane
     Di chi grida, or regnar filosofia,
     Io non ami onorar que’ vetust’anni
     32Di cui non sento almen tutti gli affanni.

Da qual lato pur penda la bilancia
     De’ meriti maggiori e de’ delitti,
     Gode la fantasìa quando si slancia
     36Fra monumenti o per magìa di scritti
     In mezzo a quelle stirpi use alla lancia,
     Alle preghiere, ai mistici conflitti,
     Ai romeaggi, ai ruvidi cilìci,
     40A tutta l’energìa de’ sacrifici.

E ciascun che non basso abbia l’ingegno
     Ammira que’ giovanti cenobiti,
     Ch’oggi il diffamator con riso indegno
     44Pinge ozïosi, inutili, insaniti:
     Senza i loro intelletti, avrebbe il regno
     D’ignoranza coverto i nostri liti:
     Ingratitudin dementò la terra,
     48Quando in sua civiltà lor mosse guerra.

L’anima langue e impicciolisce quando
     La ristringiam ne’ quattro dì presenti:
     Nobil uopo ha di spargersi, abbracciando
     52Avi e imperi e costumi e grandi eventi:
     Uopo ha di meditar, commiserando
     Coi nostri error quei delle scorse genti:
     Uopo ha d’uscir di sue natìe catene;
     56Ogni tempo, ogni spazio le appartiene.

Tale, o Donna pensante e generosa,
     Tal è l’arcano che ti molce il core,
     Gli occhi ponendo su vetusta cosa,
     60E più se esprime santità ed amore.
     Dove non sorge l’alma tua pietosa
     Con questo antico libro del Signore,
     Che già posò su chi sa quali altari
     64A’ giorni de’ Crociati e de’ Templari?

A que’ dì tu vi scorgi il Re Luigi
     Forse vivente ancora, o appena estinto,
     La sua bontà, il suo senno, i suoi prodìgi,
     68I prodi cavalieri ond’era cinto,
     Il suo partir dai campi di Parigi
     Per la fatale impresa ove fu vinto;
     Fors’ei nel visitar conventi ed are
     72Queste pagine vide alluminare.

Il rimirar que’ resti e quella polve
     Che a noi tramanda la lontana etate,
     Ci dice come Dio sempre dissolve
     76Tutte le cose sulla terra nate;
     Ci sublima lo spirto, ci disvolve
     Dai vincoli di nostra vanitate:
     Per la scala de’ secoli il pensiero
     80Alza sull’orme dell’eterno Vero.

Di quanti regi e prenci e capitani
     Festeggiando la nascita o la morte
     Questo libro servì nei riti arcani
     84Che al debol uomo uniscono il Dio forte!
     Di quanti celebranti e sguardo e mani
     Lo toccaro, onde ignota oggi è la sorte!
     Quante labbra baciàr questo Evangelo
     88Di sacerdoti or glorïosi in cielo!

Forse colui che tante veglie stette
     Su queste venerate pergamene,
     Fu Paladin che il proprio sangue dette
     92Col pio Luigi sull’Egizie arene,
     E al santo Re l’ultimo dì assistette,
     E fu ludibrio all’ire saracene,
     Poi ritornato nella dolce Francia
     96Appese entro d’un chiostro e spada e lancia;

E venduti i suoi campi e dispensato
     Ogni suo avere a’ poveri e alla Chiesa,
     Volle che il viver suo fosse immolato
     100Ad oscura umiltà d’amore accesa;
     Eccol fattosi monaco e obblïato
     Dalla turba del mondo ai gaudi intesa!
     Eccolo salmeggiante assiso in coro,
     104O in cella volto ad un gentil lavoro!

Al lavoro di splendido Messale
     Che pazïentemente ei sta vergando;
     E poichè per ferite più non vale
     108Sua nobil destra a servir Dio col brando,
     Come già il sangue, ora con gioia eguale
     Gli offre l’ingegno, questo libro ornando,
     E gode in abbellir d’oro e di fiori
     112Quelle preci che tanto alzano i cuori.

Egli il buon Salvator dipinger gode
     Per cui sì volentieri ha combattuto,
     E la Vergin Maria che lo fe’ prode
     116E sempre in guerra gli ha prestato aiuto;
     Del pennello ogni tocco è una sua lode,
     Un sospiro di grazie, un pio saluto:
     Circondano Angioletti il pittor santo
     120Dando all’opera sua celeste incanto.

Ma tu meglio di me, Donna, volgendo
     Quest’antico Messal senti secrete
     Inaudite armonie che appena intendo,
     124Che mal accenna il verso o mal ripete:
     Parla tu stessa, dal tuo labbro io pendo;
     Delle soavi tue parole ho sete.
     Tutta adorna con esse è l’arpa mia,
     128Tutta luce è di te mia poesia!

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