< L'apologia di Socrate
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Platone - L'apologia di Socrate (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
Capitolo quattordicesimo
Capitolo XIII Capitolo XV

Ma, Ateniesi, come io diceva, manifesto è che Meleto di queste cose non se n’è curato mai né molto né poco. Nientedimeno di’: come affermi tu, o Meleto, che io corrompo i giovani? O non è chiaro, secondo l’accusa che hai scritta, che insegnando a non credere in quelli Iddii nei quali la città crede, ma bensí in strane cose demoniache, e nuove? Non di’ tu che, con insegnare cotesto, io corrompo quelli?

- Sí, sí, cotesto.

- E via, in nome di questi stessi Iddii dei quali si parla, piú chiaro di’ e a me e a questi giudici. Io non posso intendere: di’ tu ch’io insegno a credere che ci siano Iddii, e ch’io stesso credo ci siano Iddii, e non sono al tutto ateo, non sono cosí reo; ma non quelli che la città crede, ma sibbene diversi, e, perché diversi, tu mi accusi? o proprio affermi che io stesso non credo niente che ci siano Iddii, e che cotesto insegno io agli altri?

- Cosí affermo, che tu non credi proprio niente ci siano Iddii.

- O maraviglioso Meleto, perché tu di’ cosí? sole e luna non credo io dunque che siano Iddii, come credon gli altri uomini?

- Per Giove, no, o Giudici: il sole ei dice che è pietra; e la luna, terra.

- Anassagora credi tu accusare, caro Meleto? e cosí sprezzi costoro, e li credi cosí salvatichi di lettere, da non sapere che di cotali discorsi i libri di Anassagora, il Clazomenio, sono pieni? Oh bella! i giovani imparano da me questa dottrina, che quando vogliano, con una dramma a dir molto molto, possono comperare dall’orchestra, dando la baia a Socrate se se ne vuol fare bello lui e di dottrina sí strana! Ma, per Giove, ti par cosí di me, che non creda in nessuno Iddio?

- Nessuno, nessuno, per Giove.

- Non ti si ha credere, o Meleto, e, a vedere, non credi a te né anche tu. Imperocché costui, Ateniesi, mi par molto procace e prosuntuoso, e che coteste accuse le ha proprio scritte per procacia e prosunzione, e perché giovine. Ch’egli ha l’aria di un che compone enimma, per tentare: «Socrate, il sapiente, o conoscerà che io mi contraddico per pigliarmi gioco di lui, o no; e se no, trarrò lui in inganno e gli altri che odono». Ché manifestamente egli mi si contraddice nell’accusa, come se dicesse: «Socrate è reo, perché non crede esserci Iddii, e crede esserci Iddii». Pare un che burla.

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