< L'apologia di Socrate
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Platone - L'apologia di Socrate (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
Introduzione
L'apologia di Socrate Capitolo I


L’anno 399 a.C. fu presentata all’arconte re l’accusa di empietà contro Socrate, in questi termini[1]: «Accusa mossa e giurata da Meleto figlio di Meleto del cantone di Pitto contro Socrate figlio di Sofronisco, da Alopece. Socrate commette reato non credendo negli dèi in cui crede la città e cercando d’introdurre nuove divinità; commette anche reato corrompendo i giovani. Pena, la morte». Dietro Meleto stavano un ricco industriale, Anito, e uno screditato demagogo, Licone. Istruito il processo, dopo che la querela era stata accolta dal magistrato, il dibattito si svolse nel giorno fissato davanti a una sezione della corte popolare, l’eliea. Furono letti i testi della querela e dell’opposizione dell’imputato, quindi le testimonianze. Poi parlarono gli accusatori e infine l’accusato. Socrate fu giudicato colpevole, nella votazione che seguì, con 280 voti[2] contro 220. Il magistrato chiese a Meleto di proporre la pena e a Socrate di fare la sua controproposta: si richiese da una parte la pena capitale, dall’altra il mantenimento a vita nel Pritaneo a spese dello Stato, come si faceva per tutti i cittadini benemeriti, in riconoscimento di un’esistenza spesa per il bene morale della città. Irritata, la giuria nella seconda votazione condannò Socrate a morte con una maggioranza superiore di 80 voti alla precedente. L’Apologia fu scritta da Platone parecchi anni dopo l’effettiva celebrazione del processo e in alcuni dettagli risulta diversa da quella di Senofonte; si rifà a quelle circostanze ma è opera del tutto originale. La prima parte (I-XXIV) contiene la difesa di Socrate: l’accusato professa la propria inesperienza retorica, rievoca e controbatte le calunnie di cui da molto tempo è vittima per invidia: egli smascherò l’ignoranza altrui protestando la propria (III-X); né resistono le accuse recenti di Meleto, ch’egli sia un corruttore e un ateo: continuerà anzi nel suo insegnamento, fermo al posto che gli è stato assegnato dal dio e sostenuto dal consenso di molti (XI-XXIV). Avvenuta la prima votazione, che lo riconosce colpevole, Socrate riprende la parola dichiarandosi meritevole di un premio piuttosto che di un castigo. Al più egli pagherà una multa moderata, quanto può del suo, o una maggiore, con l’aiuto di amici (XXV-XXVIII). Qui interviene la decisione del tribunale che Socrate muoia. Socrate mostra allora ai giudici l’ingiustizia e la stoltezza della loro decisione. La morte sarà per lui un bene, sia essa l’annientamento totale dell’uomo o la sua trasmigrazione in un luogo migliore, ove regni la giustizia (XXIX-XXXIII).


Note

  1. La denuncia fu vista da Favorino nell’archivio ateniese del tempio di Cibele durante il secolo II d.C.; cfr. DIOGENE LAERZIO II 40, e Cap. XII nota 2.
  2. Diogene Laerzio in un passo confuso (II 41) parla di 281.
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