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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1834
L'ARBERONE1
Immezzo all’orto mio sc’è un arberone,
Solo ar Monno,2 e oramai tutto tarlato:
Eppuro3 fa er zu’4 frutto oggni staggione
Bbello a vvede,5 ma ascerbo e avvelenato.
Ricconta un libbro che dda quanno è nnato
È vvienuta a ppotallo6 oggni nazzione;
Ma er frutto c’arifà7 ddoppo potato
Pizzica che nemmanco un peperone.
Quarchiduno8 me disce d’inzitallo,9
Perchè accusì er zu’ frutto a ppoc’a ppoco
Diventerebbe bbono da maggnallo.
Ma un Carbonaro amico mio me disce10
Che nnun c’è antro11 che ll’accetta12 e ’r foco,
Perchè er canchero sta in ne la radisce.
15 gennaio 1834
- ↑ L’alberone. Questa è un’allegoria da cercarne il senso nella Vigna del Signore.
- ↑ Unico al Mondo.
- ↑ Eppure.
- ↑ Il suo.
- ↑ A vedere.
- ↑ È venuta a potarlo.
- ↑ Che rifà.
- ↑ Qualcuno.
- ↑ Mi dice d’insitarlo, innestarlo.
- ↑ Mi dice.
- ↑ Altro.
- ↑ La scure.
Note
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